Cerca nel blog

Visualizzazione post con etichetta What Happened to the Little Blind Crow. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta What Happened to the Little Blind Crow. Mostra tutti i post

lunedì 7 gennaio 2019

The Devil's Trade - What Happened to the Little Blind Crow

#PER CHI AMA: Folk/Doom/Rock
Arrivo ad avere questa chicca tra le mani in una sera gelida d'inverno, osservo la grafica di copertina cercando di intravedere segnali per capire di quale musica mi dovrò nutrire e se alla fine il pasto sarà succulento. Inserito il dischetto mi si apre un mondo inaspettato fin dalle prime note della breve intro arpeggiata, è il folk a farla da padrone in questo disco dalla copertina tetra e attraente. The Devil's Trade (al secolo Dàvid Makò) è il moniker con cui questo spettacolare cantautore ungherese esporta la propria arte e la propria maestria, musicale e vocale. Immaginate un banjo che s'interseca con chitarre acustiche, foraggiate da moderate distorsioni cariche di solitudine ed un canto profondo, al limite di una sacra litania cantata con l'estro del Vedder di 'Into the Wild' e l'estasi arcana dei migliori Steve Von Till e Scott Kelly, una voce cosi profonda capace di evocare spiritualità in continuazione, con il tocco oscuro ed epico udibile nei pezzi dei Tyr e in grado di far scatenare una forza così heavy da poterlo immaginare all'opera con i mitici Gran Magus. Il disco in questione è il suo ultimo, perfetto lavoro, intitolato 'What Happened to the Little Blind Crow', licenziato dalla Golden Antenna e devo ammettere che è un'opera splendida, ricca e convincente, nonostante si tratti di una one man band che suona tutto in solitudine. La magia che il cantautore magiaro riesce a far esplodere è frutto di una ricerca che ha portato ad uno stile chitarristico proveniente dai classici del folk e del rock, contaminati e rivisitati con le atmosfere e le cadenze solenni tipiche del doom, si, proprio del doom e seguendo questa direzione, unendola ad una vena epica tipicamente metal, il mastermind ungherese è riuscito a intagliarsi questo stile che lo eleva al di sopra delle righe di un semplice folk singer. The Devil's Trade è straordinariamente rock, oscuro e indomabile ma allo stesso tempo riesce ad essere intenso, primordiale, un bardo seduto in una foresta immersa nella nebbia, di fronte al fuoco e accerchiato dai lupi, che canta storie desolate e di resurrezione umana, in una forma folk rock apocalittica e mantrica (I brani "To an End" e "12 to Die 6 to Rise" con "Your Own Hell" sono delle vere gemme). Otto brani perfetti, prodotti divinamente, suoni profondi, reali, caldi e potenti. La voce si gusta appieno, in tutta la sua forma migliore, maestosa, piena e orgogliosa, il banjo è pura ovazione per la natura e brano dopo brano, ci si immerge in un suono atipico, semplice, ricercato e geniale. Un disco da ascoltare in solitudine, da apprezzare fino in fondo, un artista che merita attenzione, il suo miglior album ad oggi, che può essere idolatrato da ambienti metal, folk, dark o rock indifferentemente. Un album di notevole caratura. (Bob Stoner)