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giovedì 24 maggio 2018

Selva - Doma

#PER CHI AMA: Post Black/Post Hardcore
Ho recensito i Selva nel novembre del 2016: da allora i ragazzi lodigiani si sono prodigati in lungo e in largo in una discreta attività live. Giusto il tempo di trovare uno spazio temporale, visti gli innumerevoli side project del batterista, che per allietare i fan il terzetto lombardo ha deciso di proporre due pezzi nuovi di zecca, che coprono addirittura quasi 25 minuti di scabrose sonorità post black. Ecco ciò che è racchiuso in questo 'Doma', EP uscito per la Overdrive Records e che include appunto "Silen" e "Joy", due schegge impazzite che confermano quanto di buono fatto sin qui dal trio italico che continua imperterrito nel proporre sonorità caustiche, retaggio di un punk/hardcore che ancora scorre nelle vene dei nostri. L'incipit dell'opening track è lunga e cerebrale, ma presto si trasformerà in spessa carta vetrata che trova pace solamente verso il minuto sette dopo un'assalto sonoro fatto di ritmiche serrate e da uno screamo lancinante, lanciandosi poi in dilatate partiture post rock in un break strumentale che dopo un paio di minuti viene lasciato a briglie sciolte per l'ultima cavalcata di rabbia incandescente che chiude un brano che fa perno su una violenza primitiva, fortunatamente spezzata dalle classiche deviazioni soniche tanto care ai nostri. Con "Joy" ritroviamo maggiori variazioni al tema, sebbene si venga travolti immediatamente dalla selva di riff disumanamente tempestosi che affliggono le carni e le menti in abrasive e ridondanti scorrerie sonore (spaventoso a tal proposito il muro di chitarre eretto verso il terzo minuto della song) che troveranno in rallentamenti doomeggianti la calma di una tempesta che non sembra mai accennare a placarsi, ma anzi se possibile, a sprigionare un rifferama sempre più veemente e veloce tra blast beat e urla feroci. La song è più ritmata nella sua seconda metà, con un ampio spazio ritagliato a favore di quelle fughe oniriche in territori post-rock che smorzano i torvi e biechi attacchi strumentali che forse alla lunga rischiano di essere troppo autoreferenzianti, mentre a mio avviso la band è in grado di regalare nei momenti più melodici e atmosferici, il meglio di sé, soprattutto grazie alle potenti e malinconiche linee di chitarra che saturano l'aria irrespirabile di questo 'Doma'. Un gustoso aperitivo in attesa di una prelibata cena? (Francesco Scarci)

(Overdrive Records - 2018)
Voto: 70

https://selvapbs.bandcamp.com/album/d-o-m-a

martedì 29 novembre 2016

Selva - Eléo

#PER CHI AMA: Post Black/Hardcore/Screamo, Deafheaven
Inizio la mia recensione del disco portando alla vostra attenzione alcune raccomandazioni da seguire per reggere l'impatto con questo lavoro. Dotatevi sicuramente di cinture di sicurezza perché, come avrete modo di capire sin dall'opener "Soire", l'approccio alla musica dei Selva risulterà pressapoco analogo allo scontro di un auto con un tir spinto a tutta velocità. Adottate anche misure di tutela per i vostri padiglioni auricolari e timpani annessi, perché la lacerazione dovuta alla musica del trio lodigiano, può provocare severe problematiche al vostro fisiologico impianto acustico. Per il resto, capiremo strada facendo come proteggerci dal suono caustico e infausto dei nostri. Dicevamo del nefasto impatto sonoro della song in apertura, una scorribanda tortuosa fatta di ritmiche in grado di spazzare via ogni forma di vita dalla terra e urla cancrenose che hanno addirittura il merito di acuire la ferocia post black dei Selva, per quanto sia difficile a credersi. La violenza trova comunque modo a metà brano, di attenuarsi almeno per pochi secondi, prima di continuare ad assecondare il proprio io, aspro centrifugatore di suoni, e lanciarsi nel drappeggio di desolate melodie malinconiche fino ad arrivare ad un brusco rallentamento a fine brano, che da 200 km/h ci porta a zero nell'arco di un secondo e in quell'attimo rivivere tutte le emozioni stranianti fin qui provate. Attenzione, l'avevo messo in chiaro, l'ascolto di 'Eléo' non è raccomandato per i deboli di cuore. Se anche voi, come il sottoscritto, avete invece uno stomaco forte, potrete lanciarvi nella centrifuga sonora di "Alma" e dei suoi schizofrenici undici minuti, affidati ad un caos primordiale senza precedenti che nel suo circolare pattern sonoro che sfocia in anfratti torbidi e atmosfere doomish, trova anche il modo per regalare sprazzi di inattesa eleganza classica. Quest'ultima, affidata agli archi del bravo Nicola Manzan dei Bologna Violenta, risulterà capace di annullare la tempesta sonora con il dolce suono dei violini e lasciare incredibilmente spazio ad un nostalgico post rock d'annata che per pochi istanti ci fa dimenticare il post black arrogante dei Selva, e ci consegna una band più vicina agli anglo-statunitensi *Shels e all'eterea traccia "Plains of the Purple Buffalo Part 2", estratta dal loro ultimo album. Non vi fate infinocchiare però da cotanta melodia, perché in "Indaco", il suono delle chitarre sembrerà quello dettato dal roteare delle ruote d'acciaio del treno sui binari, un attrito in grado di generare suoni efferati di chitarre ultra compresse e blast beat da incubo, e di richiamare indistintamente Deafheaven, Wolves in the Throne Room o qualsiasi altra band dedita al più feroce post black. Splendide le percussioni del mostruoso Tommy a metà brano e ancor di più quel senso di vertigine che la song (ma la faccenda può essere estesa all'intero disco), procura, soprattutto nella seconda metà del brano. L'ultimo respiro dei Selva è esalato da "Nostàlgia", un'angosciante traccia strumentale (urla di disperazione a parte) il cui ondeggiare delle chitarre dei primi minuti è più vicino al drone che al black. Peccato per una registrazione in presa diretta che rende la proposta dei nostri sicuramente poco artificiosa ma che ne penalizza a mio avviso la resa finale; mi piacerebbe riascoltare il disco con una produzione più cristallina e poter comparare i nostri con i gods statunitensi e probabilmente scoprire che in casa ci ritroviamo con uno splendido diamante grezzo. (Francesco Scarci)

(OverDrive Records - 2016)
Voto: 75

https://selvapbs.bandcamp.com/

lunedì 13 aprile 2015

Selva – Life Habitual

#PER CHI AMA: Post Black/Punk, Sjenovik, Mollusk, RFT
Ascoltando questo cd mi sono chiesto mille volte quale sia il trait d'union che collega il sound dei Dag Nasty con l'emotività estrema dei Taste the Void e le visioni alternative dei My Head for a Goldfish senza trovare risposta, soprattutto se il tutto è suonato con il fervore ed il malessere tipico di band come RFT in materia hardcore e Sjenovik nel post black. La Argonauta Records li presenta con un assurdo accostamento con gli Alcest e i Russian Circle che proprio non si addice. La giovane band italiana mostra radici nel post core più teso e nella scuola apocalittica dei Neurosis anche se sotto un certo profilo, il modo raffinato di intendere la musica estrema li avvicina di più al versante underground di Osoka e Mollusk, con quel chitarrismo di ampio respiro che rende il tutto molto accessibile all'ascolto, mantenendo sempre e comunque una marcata oscurità e drammaticità nel suono. L'urgenza nevrotica dei pezzi e quelle aperture melodiche e rumorose alla vecchia maniera degli Husker Du li rende ancora più interessanti e originali, diversi e personali. La loro musica logora con effetto benevolo, non è tutta depressione e oscurità, ci sono momenti di distensione che aprono al rock in grande stile che donano grazia e dinamicità ai brani tanto che i primi venti minuti scivolano via velocissimi senza neppure accorgersene. Piacciono anche i momenti più trasversali e sperimentali come il minuto e mezzo di "[ / ]" che rende benissimo l'idea di alienazione seguita da una onnipotente e lunga traccia, "ɛgzɪstəns" che sputa in faccia una voglia di rivalsa spettacolare, violenta e ricoperta di ombre. Anche l'infinita traccia acustica conclusiva, "glomɪŋ" ha un fascino ancestrale mentre l'artwork di 'Life Habitual' (nonostante i titoli volutamente illeggibili) rende bene l'idea di cosa voglia trasmettere la band. Il senso di instabilità emotiva che la musica dei Selva riesce a trasmettere è stupendo. Sempre sull'orlo del precipizio, sul confine della resa e all'inizio della rivolta, un continuo sali e scendi sulle scale che dall'inferno portano al paradiso. Un grido di dolore obbligato per una guarigione da raggiungere. Una Selva densa e oscura da attraversare per arrivare alla luce di cui 'Life Habitual' ne rappresenta la colonna sonora ideale. Album da avere a tutti i costi! (Bob Stoner)

(Argonauta Records - 2014)
Voto: 85