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giovedì 6 settembre 2018

Frust - Elements

#PER CHI AMA: Atmospheric Black Metal
Peccato che l'EP d'esordio degli austriaci Frust duri solo poco più di quindici minuti, avrei voluto ascoltare qualcosa di più per capire maggiormente quest'artista. Si perchè trattasi di one-man-band originaria di Kremsmünster, capitanata da Mario Steiner, che propone un 4-track che tratta i quattro elementi della natura. Si parte con "Earth" e il canto litanico di una donna (forse la Madre Terra) a prendere la scena, prima dell'innesco della malinconica chitarra di Mario su cui poggia il cantato etereo ed evocativo di quella stessa donna, in un incedere compassato dai toni vagamente etnico-ritualistici. Inusuale, affascinante, soprattutto quell'aggiunta nel finale di chitarre più aggressive, solo un po' penalizzante la registrazione non troppo pulita. Comunque la proposta del factotum austriaco si rivela particolare nella sua interezza, anzi direi originale, soprattutto perchè nel secondo atto, "Air", si scatena un'ancestrale furia black all'interno di un contesto comunque melodico e violento al tempo stesso, in cui fanno la loro comparsa anche le grim vocals del mastermind austriaco. Con "Water" ho un deja-vu per l'eterea voce che può ricordare la brava e bella Myrkur; però in pochi secondi una cacofonica ritmica brutale ci assale e assume la guida del brano, prima che lasci posto a frangenti dal sapore più post-rock. Si insomma tanta carne al fuoco che rischia di destabilizzare (e non poco) l'ascoltatore, soprattutto perchè negli ultimi 90 secondi della terza canzone, c'è ancora spazio per quelle voci angeliche e lo stesso veemente uragano ritmico. A chiudere l'EP ecco "Fire", gli ultimi tre minuti scarsi di suoni e vocals belligeranti, un infuocato attacco black che prende le distanze dal resto dell'EP e si àncora alle radici della fiamma nera. Intriganti. (Francesco Scarci)

(Self - 2018)
Voto: 70

https://frust-at.bandcamp.com/

giovedì 20 ottobre 2016

All You’ve Seen - Elements – Part II/Translucence


#PER CHI AMA: Post Rock/Ambient, Mogway, Mono
Di questi All You’ve Seen si sa ben poco, se non che si tratta di un trio proveniente dalla Svizzera, e che 'Elements – Part II' (di cui però non mi risulti esista anche una 'Part I') dovrebbe essere il loro secondo album sulla lunga distanza, in una discografia che, dal 2009, conta peraltro un paio di EP. L’artwork elegante del cd non contribuisce a svelare il mistero, recando informazioni che si limitano ai titoli dei brani e ai crediti delle fotografie e dei field recordings. Il loro è un rock strumentale in cui le chitarre sussurrano e gridano come nella migliore tradizione post rock di modelli come Mogwai o Mono, con una spiccata capacità di costruire crescendo emozionali davvero importanti. Non sono certo dei virtuosi, ma la loro musica tende a toccare ben altri tasti, tutta improntata all’impatto emotivo, al fragore contrapposto ai silenzi, in una perfetta sintesi di quella che sembra essere l’ispirazione del disco, ovvero la potenza degli elementi naturali. Se 'Elements – Part II' viveva di contrasti molto forti e molto fisici, 'Translucence', lavoro del 2016, è un album dai toni più lenti e riflessivi. Il disco ha un andamento ondivago, dall’impatto fragoroso della traccia di apertura "Glass Outline" alle rarefazioni di brani come "Veiled" o "Sinus", gli otto brani sembrano immergersi l’uno nell’altro senza soluzione di continuità, come diversi movimenti di un’unica sinfonia. Mentre il disco precedente era improntato essenzialmente sulle chitarre, in 'Translucence' la sei corde è anche capace di defilarsi e lasciare il campo a tappeti sonori di stampo quasi ambient, tanto che il vero e proprio strumento guida dell’intero lavoro sembra essere la batteria, che scandisce il tempo in maniera solenne, come fosse la pulsione vibrante di un qualche organismo vivente. Il suono degli elvetici sembra fatto di una materia gassosa, capace di diradarsi fin quasi a rendersi impalpabile, tanto quanto poi di espandersi improvvisamente occupando tutto lo spazio a disposizione e saturando l’atmosfera. È una musica fatta di movimenti ampi e lenti, che si muove al ritmo di un respiro largo, consapevole, mai affannoso. Due dischi alla fine non facili ad un primo ascolto (soprattutto l’ultimo), per quanto risultino fin da subito conturbanti. Ma è un fascino sottile e scuro, fatto di strati sottili e semitrasparenti che si depositano uno sull’altro lasciando però intravedere quello immediatamente sottostante, fino a costruire architetture ardite e sempre fortemente guidate da un’emotività mai sopita. (Mauro Catena)

mercoledì 3 settembre 2014

Hyne - Elements

#PER CHI AMA: Rock Stoner
Oggi parliamo degli HYNE, quintetto di Amburgo pubblicato dalla promettente FUZZMATAZZ Records. La band è attiva dal 2010, quando ha rilasciato il suo primo album a cui è seguito un Ep e recentemente il nuovo 'Elements', disponibile anche in vinile (nero o arancione) per gli amanti dell'analogico. Gli HYNE sono cresciuti costantemente nel tempo facendo una sana gavetta in sala prove e partecipando a festival insieme a gruppi più blasonati. Questo ha permesso al pubblico di apprezzare una nuova band che è andata così ad unirsi alla crescente scena stoner. La band opta per un suono curato e legato alla scuola nord europea, meno grossolano di quello in voga qualche anno fa e che alcune band ripropongono ancora, restando fedeli alla vecchia guardia. Questo li porta molto vicini all'hard rock, ma sicuramente i live fugherebbero ogni dubbio, mettendo in risalto il lavoro di sound engineering. Dei nove brani presenti nel disco, parliamo intanto di "The Engine", un pezzo che senza andare molto indietro nel tempo ricorda Truckfighters e Dozer, soprattutto nelle chitarre veloci e instancabili. Invece l'inserimento dell'assolo conferma le fondamenta hard rock della band. Il vocalist è potente e sceglie delle linee di canto classiche per il genere, senza tanti effetti e fronzoli vari. La title track cambia completamente direzione, più lenta (ma non abbastanza per essere un brano doom) e riflessiva, anche se in sette minuti abbondanti mi sarei aspettato un cambio di rotta per far evolvere il brano. Un pezzo equilibrato e arrangiato in modo funzionale, niente di sperimentale o alternativo, in modo da accontentare chi vuole appoggiare la puntina sul disco e sapere già cosa uscirà dagli altoparlanti. La linea vocale conferma la sua importanza nel caratterizzare il sound della band, obiettivo sempre più necessario nel vasto mare di band che vogliono emergere dal brodo primordiale dell' underground. "Pieces if the Universe" inizia con un bel riff di basso distorto che fa da ouverture alla chitarra, prepotente come pure il basso e la batteria. Una bella energia scorre per tutto il brano, con accelerazione e stacchi che fanno assaporare sulla lingua il midollo rock della band tedesca. Alla fine è il brano più azzeccato dell'album e mostra come dovrebbero essere gli HYNE, meno stoner per necessità e più hard rock per indole. (Michele Montanari)

(Fuzzmatazz Records - 2014)
Voto: 70