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mercoledì 12 novembre 2025

Doom Cult Commando - Das Erwachen der Schlange

#FOR FANS OF: Raw Black
The older, the uglier. I guess this hits quite perfectly when it comes to aging and also to Doom Cult Commando, at least if you consider that Desaster boss Infernal K. is part of the band.

To be honest, 'Das Erwachen der Schlange' (The Awakening Of The Snake) has almost nothing to do with the typical thrash Desaster has been performing for many decades now, but much more with some raw black metal like Impiety on their masterpiece 'Skullfucking Armageddon' (especially the sound of the instruments). Also, the vocals are quite different from everything concerning Desaster. The vocalist Doom Cult sounds a lot like Attila from Mayhem when he is practicing his demonic chants and praises.

This combination offers a very intense, brutal atmosphere with some super fast and sinister songs on that demo. What is remarkable is that the sound quality differs from song to song. I guess that the guys didn’t record them in a single session; otherwise, I cannot explain the fluctuation in the quality. If you compare the opener "Wie die Fliege zum Licht” with the next track “Geist ist Alles,” you will clearly notice the increase in quality in the recording. Although I like both recordings, to be honest, raw black metal doesn’t have to have a Dimmu Borgir sound, does it?

The sickest track on the demo is probably “Menschenmüll” (Human Waste), which has some very deep growled vocals (does anybody remember the fabulous demo “…by the Force of Sacred Magic Rites” by Darklord?). With a running time of 2:50 minutes, this one is by far the shortest and also the fastest track. And if you listen carefully, you can hear Infernal’s love for punk songs, too.

'Das Erwachen der Schlange' is a really nice demo for everybody who likes war and raw black metal. Let’s hope that the guys will release a full-length soon. (Michael Baier)

(Nomad Snakepit Productions - 2025)
Score: 75

martedì 11 novembre 2025

Dodengod - Heralds of a Dying Age

#PER CHI AMA: Black/Death
Se non avessi saputo la provenienza dei Dodengod (si ringrazia sempre Metal Archives per questi dettagli), avrei pensato che il trio fosse originario della Svezia, per quella loro proposta all'insegna di un death dalle chitarre super ribassate, che mi ha evocato band come Unleashed o Grave. In realtà, i nostri arrivano dal Belgio e questo 'Heralds of a Dying Age' è il loro secondo album. Un lavoro che ci schianta immediatamente in faccia la loro efferata violenza. Fatto salvo per l'intro "In Darkness", le successive "The Grinder Feeds on Hate" e "Breathe Deep the Dark", mi investono con una sezione ritmica debordante, fatta di tonalità oscure e asfissianti. Non c'è un barlume di luce nelle note di questi 10 pezzi. Anzi, l'atmosfera si fa addirittura più cupa in un pezzo come "The Adversary", grazie al suo piglio doomish, che sfocia, per alcune acuminate linee di chitarra, anche nel versante black, ma che sorprende al tempo stesso, per alcuni ghirigori in tremolo picking che ne amplificano la melodia. E non è certo una novità, visto che già le precedenti tracce avevano palesato rallentamenti doom, con una fortissima predilezione per melodie quasi psichedeliche (e ripenso al finale di "The Grinder Feeds on Hate"). Questo per dire che alla fine i Dodengod non sono dei veri e propri picchiatori, o che propongano unicamente un genere monolitico e da lì non si spostano di un millimetro. Direi che seguono un canovaccio, che vede spesso cominciare i brani con una ritmica piuttosto robusta per poi disorientare l'ascoltatore con trovate atmosferiche, lisergiche, sempre inattese. E anche un pezzo come "Devouring Fires" mostra lo stesso comportamento, tra derive psych, accelerazioni deflagranti, un rifferama potente, tagliente e brutale, ma poi ecco che suoni spettrali si palesano in un sottofondo che ha molto spesso da regalare qualche inusuale sorpresa. E sta qui la forza dei nostri, che altrimenti avrei etichettato come l'ennesima band che voleva fare il verso ai mostri del passato. E se ci aggiungiamo anche una buona perizia strumentale, un ottimo gusto nella sezione solistica, le contaminazioni black (spaventosa la ritmica della title track, ma anche quello screaming che talvolta si affianca al growl) e doom (ascoltate la successiva "Born"), potrete intuire anche voi come questo album non debba essere frettolosamente scartato come mera copia dei grandi act del passato. La mia traccia favorita? La diabolicamente sinistra e di scuola Altar of Plagues, "No Distant Flame Ahead". Insomma, per concludere, 'Heralds of a Dying Age' è un lavoro estremo, davvero violento, ma con una sorprendente voglia di stupire con trovate melodiche sempre interessanti. (Francesco Scarci)

(Pest Records - 2025)
Voto: 70

giovedì 6 novembre 2025

Leaving Time - Loop / Live Beneath

#PER CHI AMA: Shoegaze/Dream Pop
Nell'ottica di evadere dagli estremismi sonori, ecco soccorrermi gli statunitensi Leaving Time, fautori di un sound a metà strada tra l'alternative e lo shoegaze. Solo due pezzi, che arrivano giusto un anno dopo l'uscita del loro album di debutto 'Angel in the Sand'. La proposta del quartetto della Florida è molto chiaro: dei bei chitarroni saturi e lineari, su cui estendere le vocals chiaramente eteree tipiche del genere. Niente di nuovo insomma, se non farsi cullare dal contrasto sonoro tra il melodico wall of sound eretto dai nostri e quelle linee vocali sognanti. Nessun sfoggio di tecnica fine a se stessa, niente assoli, fatto salvo per un bridge al limite del noise, nella coda di "Loop". La melodia regna sovrana in "Live Beneath", in quel suo tiepido inizio, parecchio ruffiano (zero chitarroni qui), molto dream pop e contraddistinto da vocalizzi quasi nascosti dal rumore delle chitarre che lentamente salgono di volume e robustezza. Poi, il canovaccio è il medesimo della prima traccia: vocals e melodie litaniche, un break atmosferico che si dilata nel tempo e nello spazio, un apporto chitarristico decisamente più graffiante e i giochi terminano qui, anzi tempo, giusto per saggiare di che consistenza sono fatti questi musicisti di Jacksonville, qualora non li conosceste. (Francesco Scarci)

(Self - 2025)
Voto: 63

De Profundis - The Gospel of Rot

#PER CHI AMA: Death Old School
Nuovo capitolo per i deathster inglesi De Profundis, una band che, in tutta franchezza, non ho mai particolarmente amato. Si tratta di una band dalla lunga militanza nell'underground che dal 2005, anno della loro formazione a oggi, ha visto il quintetto londinese passare dal death doom degli esordi, a un black death a metà del loro percorso, fino a completare la propria trasformazione in un death nudo e crudo di stampo americano. La band fa il suo ritorno sulle scene con questo EP di quattro pezzi, intitolato 'The Gospel Of Rot', che include tre inediti più la cover di "Subtraction" dei Sepultura. Si parte con la corrosiva "I: Corruption", i cui unici punti di interesse risiedono in una basso iper tecnico, in qualche apertura di chitarre in stile Atheist e una buona vena solistica. Per il resto, suoni ormai vetusti, voci al vetriolo in un mix tra screaming e growl, e zero emozioni. "II: Deception" non è da meno, con quella sua galoppata ormai troppo old school per chi come me è cresciuto con questi suoni trent'anni fa e per cui gli originali, rimangono i migliori interpreti di un genere che trovo abbia ben poco da dire, fatto salvo per alcune rare eccezioni. Ribadisco la validità tecnica della band, esplicata attraverso interessanti trame solistiche e un tentativo di riproporre anche il sound svedese nella terza "III: Indoctrination". Per il resto, trovo il tutto poco allettante, anche la cover dei Sepultura riletta in chiave americana, visto che è sparata a tutta velocità manco fosse un pezzo di brutal death. Per me è un no grazie, ascolto altro. (Francesco Scarci)

(Self - 2025)
Voto: 60

mercoledì 5 novembre 2025

Ancient Death - Ego Dissolution

#PER CHI AMA: Death Progressivo
Dalle nebbiose profondità di Walpole, Massachusetts, ecco emergere gli Ancient Death, un quartetto che irrompe sulla scena del progressive death metal con il debut 'Ego Dissolution', dopo qualche uscita di EP e split album. Formatisi nel 2021, la band si fa portavoce di un sound che fonde il death old school con sfumature psichedeliche e progressive. Potete immaginare il mio scetticismo davanti a un artwork di copertina che già lascia presagire tutt'altro. Eppure, già con l'iniziale title track, ho dovuto ricredermi in fatto di proposta musicale e qualità del quartetto statunitense, proprio per una capacità intrinseca di bilanciare brutalità, atmosfera e introspezione, posizionando i nostri come una forza fresca e ambiziosa, giusto a ridosso di Blood Incantation e pochi altri; sarà forse per questo che un'etichetta come la Profound Lore, ci avrà voluto puntare. Fatto sta che i nostri sciorinano otto tracce che, di primo acchito, potrebbero anche sembrare brutali, ma che se poi vai a fargli i raggi X, trovi che possiedano una tecnica davvero notevole, con arrangiamenti che sono un mosaico di riff grooveggianti, tecnici ("Breaking the Barriers of Hope") o più atmosferici ("Breathe - Transcend (Into the Glowing Streams of Forever)", dove peraltro fa la sua comparsa anche una quanto mai inattesa voce femminile), e che si chiudono puntualmente con assoli funambolici che mi hanno evocato i Death del buon Chuck. Mamma mia, quante emozioni, e dire che quell'artwork di copertina mi aveva già predisposto a disintegrare questa band eppure, le ulteriori influenze che arrivano da Cynic, Atheist o Nile, ci consegnano una band e un prodotto già maturi. Brani come la strumentale "Journey to the Inner Soul" (con il suo eco ai Death di 'Human'), "Unspoken Oath" o la conclusiva "Violet Light Decays", esaltano l'estetica psichedelica del death metal, pur non avendo inventato nulla di nuovo. Certo, quella copertina continuo a trovarla imbarazzante. Bravi comunque! (Francesco Scarci)

(Profound Lore Records - 2025)
Voto: 75

Ordinul Negro - Dodekatemoria

#PER CHI AMA: Black Atmosferico
È inevitabile che quando si parli di black metal rumeno, il nostro pensiero vada a band come Negură Bunget o Dordeduh, che hanno delineato un sound intriso di folklore e misticismo, influenzando un'intera generazione di musicisti underground. Eppure, appena nelle retrovie ecco scorgere gli Ordinul Negru, una realtà che contiene membri ed ex delle band sopra menzionate e che, attivi dal 2006, vantano una discografia alquanto sostanziosa, fatta di nove album e 10 tra split ed EP. Musicalmente, potrebbero essere un immaginario ibrido tra Negură Bunger e Deathspell Omega. Il loro ultimo lavoro, questo 'Dodekatemoria', che ci eravamo persi esattamente un anno fa, e per cui la loro etichetta ha voluto darci l'opportunità di riparare, consolida il terzetto come custodi di un black atmosferico e occulto, in un momento in cui il genere cerca di rinnovarsi attraverso temi esoterici, senza tuttavia perdere la sua forza primordiale. Il risultato lo potete già scorgere nei solchi dell'opening track, "Aleph", che combina le dissonanze dei francesi D-O, la veemenza del black, la delicatezza di una voce femminile che a metà brano fa la sua comparsa, accompagnando il growling rauco del frontman, e in generale di un suono oscuro che privilegia tanto l'immersività quanto la crudezza di tutte le sue componenti. Il risultato è davvero interessante, per quanto sia tutt'altro semplice godere dei contenuti del disco. 'Dodekatemoria' è infatti un lavoro scorbutico da digerire, non sono sufficienti le due donzelle a prestare le loro delicate e soavi voci per rendere il tutto più accessibile. C'è ben altro nelle note delle sei lunghe tracce ivi incluse. E non basta nemmeno un inizio timido come quello della title track a farci credere che l'album sia cosi semplice da ascoltare: meravigliose certamente le melodie folkloriche, quasi mediorientali, che si srotolano in sottofondo, ma altrettanto telluriche le accelerate ritmiche, direi post black, a cui ci sottopongono routinariamente i tre musicisti di Timișoara. E sono schiaffoni che volano, sebbene un brano come "Judas Goat", nella sua ritualistica ascesa, sembra cogliere qualcosa di più degli insegnamenti dei Blut Aus Nord, in un lungo finale da brividi. "The Decrepitude of Centuries" se la prende forse con troppa calma (circa tre minuti e mezzo) prima di irrompere feroce e ferale, in una song che nel proprio incedere tribale e monolitico, sembra chiamare in causa anche gli Altar of Plagues. Mid-tempo oriented anche "Zahir", che evolve da un black/doom iniziale a un brano ricco di componenti cariche di groove e folk (chi ha detto Melechesh?), davvero degno di nota. In chiusura, "Palladian Rituals" con i suoi dieci minuti di musica, ci offre un altro spaccato della proposta degli Ordinul Negro, tra atmosfere rarefatte, accelerazioni repentine, vocals pulite in sottofondo, ottime voci femminili e splendide melodie, che mi fanno credere a un futuro radioso per la band. (Francesco Scarci)

(Loud Rage Music - 2024)
Voto: 76

domenica 2 novembre 2025

Aduanten - Apocryphal Verse

#PER CHI AMA: Melo Death/Black
Gli Aduanten risultano essere il side project di Obsequiae, Vex, Panopticon e Horrendous, eppure sul rinomato sito Metal Archives, non trovo traccia di membri di Panopticon e Horrendus, ma vedo semmai citati i Ruins of Honor. Comunque, a parte queste sciocchezzuole, 'Apocryphal Verse' è il secondo EP della band texana, che dovrebbe proporre un death black melodico, come testimoniato dalla lenta e graffiante "Cerulean Dream", una song che chiama immediatamente in causa, una band svedese a me cara, che agli esordi, si muoveva nei paraggi di un melo death, sebbene oggi siano decisamente più black oriented. Quindi, andando a delimitare il perimetro degli Aduanten, direi che ci troviamo nei pressi di un death melodico mid-tempo, che troverà tuttavia modo di aumentare la propria ferocia sul finire del brano. Niente di nuovo all'orizzonte ma la prova del batterista, come spesso accade, è sicuramente da premiare. Avrei gradito un bell'assolo in chiusura, ma niente da fare, è già tempo di "Decameron", un altro esempio di death melodico che non ha granché da chiedere, e che trova nello stridulo del cantante e in un ritmo, a un certo punto e per pochi secondi vicino al post black, le soli componenti black, peraltro alquanto innocue. Un arpeggio apre "Grace of Departure", ma quello che mi pare continui a mancare, è un qualcosa che coinvolga l'ascoltatore, un bridge, un assolo (qui solo un accenno), una parte melodica che rimanga impressa nella testa, insomma un qualcosa che mi faccia pensare che questo lavoro abbia realmente un suo perchè, visto che anche con la conclusiva "The Weakening Sovereign", il trio di Austin non riesce a uscire dalla propria zona di comfort e finisce per spegnersi su una banalissima accelerazione black e un giro di chitarra abusatissimo. Insomma, troppo poco per esaltarne la performance. Attenderò impaziente il full length d'esordio per decretare il mio supporto o meno ai nostri. (Francesco Scarci)

(Nameless Grave Records - 2025)
Voto: 60

sabato 1 novembre 2025

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