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martedì 26 febbraio 2013

Doomed - In My Own Abyss

#PER CHI AMA: Death Doom, Hooded Menace, Evoken
Seconda release ma esordio sotto Solitude Production per questa one man band tedesca che si affaccia sul troppo affollato e piatto mare del doom metal più estremo, con un nome poi che non è certamente d'ausilio. Al primo sguardo, l'artwork sulfureo emana un'aurea sciamanica e tribale che a contrasto con il font in stile cirillico, quasi illeggibile, rende agitato lo sguardo di quest'opera. Venendo al sound dei nostri, le tracce si salvano dalla normalità compositiva, o per meglio dire, sono normali perché sono scritte decentemente. Nonostante la musica cerchi di rispecchiare una qualsiasi tradizione old school, con tanto di vocals profonde e melodiche, l'album si regge grazie all'imponente muro sonoro innalzato dalla sezione ritmica, e qui si nota una vena personale non indifferente, grazie alle parti in pulito ed all'inserimento di una carica groove che accompagna l'ascolto abbastanza piacevolmente, anche se, per quanto mi riguarda, non ho troppo apprezzato perché ritenuto un escamotage per sorvolare certe ovvietà delle strutture compositive. Un disco che fa tuttavia trasparire qualche raggio di luce in fatto di originalità, la base c'è, bisogna solo rischiare, soffrire e immergersi un po' di più nel buio. (Kent)

lunedì 25 febbraio 2013

Amily - To All In Graves

#PER CHI AMA: Gothic Doom, Symphonic Metal, Draconian, Nox Aurea
Non c'è molto da dire riguardo il debut degli ucraini Amily, band che esordisce per la Solitude Production con un gothic doom colmo di sinfonie, una combinazione fin troppo abusata nel corso degli anni e degli ultimi tempi. Già dalle prime due tracce si capisce però che c'è qualcosa che non quadra, la musica non è ben amalgamata, si presenta il desiderio di far trasudare dolore e gotico romanticismo senza però provarci veramente, a questo si aggiungono anche delle sonorità sintetiche che fanno perdere del tutto l'atmosfera che il duo ucraino vorrebbe e dovrebbe suscitare. Nonostante la presenza di un growl notevole attiri l'attenzione, il disco si presenta tremendamente piatto ed anonimo, con le orchestrazioni operistiche che dovrebbero arricchirlo e renderlo interessante, ma che in realtà generano l'effetto contrario, raffreddando apaticamente le composizioni, che finiscono per annoiare con la loro semplicità. Suggeriamo a questa neonata band di lavorare molto nel prossimo periodo, per farsi trovare molto più preparata e con personalità, alla loro prossima release. (Kent)

(Solitude Production)
Voto: 55

http://amily.bandcamp.com/album/to-all-in-graves

sabato 23 febbraio 2013

Syd Arthur - On And On

#PER CHI AMA: Canterbury Sound, Neo Psichedelia, Progressive Pop, Folk
Ma che ci mettono nell’acqua, a Canterbury? Dopo aver ascoltato questo esordio sulla lunga distanza di questo quartetto (contrariamente a quello che avevo pensato subito, Syd Arthur è il nome del gruppo, non di un solista) proveniente proprio dalla cittadina inglese, viene proprio da chiedersi che cosa ci sia di così speciale da quelle parti, che già hanno visto il fiorire di una scena ricchissima di talenti musicali, tanto che si ricorre ancora a oggi a termini quali “Canterbury sound” per definire quell’irripetibile ibrido di rock, jazz, pop e prog declinato a cavallo tra anni 60 e 70 da gente come Soft Machine, Caravan, Hatfield and the North. E proprio lì, in quei luoghi e quelle suggestioni, sembra affondare il suono dei Syd Arthur, magnifico connubio di splendide intuizioni pop e delicati impasti vocali, stesi però su un tappeto di tempi dispari e divagazioni strumentali tutt’altro che banali senza mai essere prolisse. Ecco, il dono della sintesi sembrerebbe essere la dote migliore dei quattro, che riescono a far entrare moltissime cose in pezzi concisi e perfettamente compiuti, che mantengono sempre una loro coerenza interna e uno spiccato senso melodico. Il bello è che il loro suono (scintillante e caldo, si stenta a credere che il lavoro sia prodotto e registrato in proprio) risulta alla fine tutt’altro che datato, ricordando a volte la neo psichedelia di Tame Impala e Dungen, o ancora i Motorpsycho zuccherosi epoca Phanerothyme, come nelle magistrali “Ode to the Summer” o “Moving World”, con chitarre fuzzy e violino incalzante. La perizia strumentale è evidente, ma viene tenuta a bada senza mai sconfinare dell’autoindulgenza di un progressive deleterio, si prendano ad esempio la strumentale “Night Shaped Light” (quasi una variazione sul tema della zappiana “Peaches in Regalia”) o la conclusiva Paradise Lost, mini-suite di nove minuti che passano in un secondo. Che dire, non uno di quei dischi che ti cambiano la vita, ma davvero giù il cappello di fronte a un talento così sfacciato, per quella che è una delle cose migliori e più divertenti che ho ascoltato finora nel 2013 (anche se il disco è uscito nel 2012). Se poi ne volete ancora, allora andatevi a cercare anche il bell’ep “Moving World” del 2011. (Mauro Catena)

(Dawn Chorus Records)
Voto:80

http://sydarthur.bandcamp.com/album/on-an-on

Exxasens - Polaris

#PER CHI AMA: Post Rock/Space Rock strumentale
Ritornano gli spagnoli Exxasens e se il precedente album non mi aveva particolarmente colpito, noto subito con piacere che qualcosa è cambiato. I tempi sono maturi e "Polaris" sembra quasi essere l'album dell'età adulta (anche se uscito prima di “Eleven Miles”) con un ottimo lavoro di registrazione e post produzione, accompagnato dal mastodontico impegno per la parte musicale (arrangiamenti e suoni). Nessun cambio di genere, il post rock rimane il pilastro su cui gli Exxasens poggiano il loro credo musicale con degli ottimi excursus elettronici/prog e campionamenti che riempiono il vuoto del cantato totalmente assente. Quello che si nota subito è la totale assenza di arrangiamenti malinconici a favore di molta grinta e slancio verso l'alto, in particolare verso lo spazio. Questo è confermato non solo dalla quarta di copertina (uno shuttle che lascia l'atmosfera terrestre), ma dai vari titoli delle tracce e dai numerosi campionamenti che riprendono comunicazioni radio riferiti alle missioni spaziali. "Blue Space" è il sunto di tutto questo, intro con synt ritmico e countdown dell'accensione motori di un non definito veicolo spaziale. Poi le chitarre (tre nel gruppo) creano una struttura che gioca molto bene con gli altri strumenti, utilizzando le solite sonorità nutrite di riverbero e delay, ma graffianti con l'inserimento di stacchi prog che esplodono e trasportano la mente verso l'infinito. Anche l'utilizzo della chitarra acustica in "Milk Stars" da eterogeneità e spessore alla composizione degli Exxasens che come tutti, arrivando dopo dei pionieri del genere, non possono che sentire il peso del confronto. Ma i nostri catalani possono esibirsi a testa alta, come hanno fatto nel loro ultimo tour in Russia, consapevoli del fatto che stanno lavorando duro per confermare il rispetto dei loro fan e guadagnarne di nuovi in giro per il mondo. Una traccia che continuo ad ascoltare è "Gamma Channel", l'atmosfera in generale e ogni singola nota creano uno stato mentale a cui è difficile sottrarsi. Se un viaggio nello spazio avesse bisogno di una colonna sonora (ovvero una bella stazione radio su cui sintonizzare lo stereo dello Shuttle), questo pezzo sarebbe l'ideale. Ogni fase del viaggio è intuibile, dall'ansia del decollo alla stasi del viaggio nel vuoto fino all'esplosione di emozioni quando si entra in contatto con un nuovo mondo. Pezzo di pregiata fattura, veramente. Il viaggio di "Polaris" si chiude con la decima traccia "Exxasens", breve ma intensa che racchiude tutto il verbo dei nostri spagnoli. Suoni delicati e spaziali corteggiano il riff potente che domina incontrastato e piega tutte le teste a ritmo forsennato, per poi tornare alla calma in assenza di gravità. Quello che si apprezza degli Exxasens è la durate delle tracce che non diviene mai troppo esasperata come per i soliti gruppi post rock, si resta tranquillamente sui quattro minuti in puro standard rock/metal e si focalizza meglio quello che si sta suonando. In questo modo si evita anche di annoiare chi ascolta, obbligandolo spesso a otto/dieci minuti di voli pindarici. Se gli Exxasens passeranno in zona, io prenoto un posto. Fatelo pure voi, intanto cerco di organizzare un festival post rock/shoegaze/math rock in Italia. Non possiamo essere tagliati fuori dal mondo, a quello ci pensano i nostri dipendenti che si fanno chiamare onorevoli. (Michele Montanari)

(ConSouling Sounds)
Voto: 85

http://www.exxasens.com/

Encircling Sea - A Forgotten Land

#PER CHI AMA: Post Black miscelato al Post Rock, Deafheaven
Australia 2013: continua il trend ultra positivo per le band provenienti dal nuovo continente, che giorno dopo giorno continua a scodellare interessanti ed esaltanti nuove realtà musicali. E questi Encircling Sea, con le immagini contenute nel booklet interno (selvagge foreste pluviali) mi restituiscono il ricordo di quello che fu un viaggio che feci proprio laggiù, dieci anni fa. Ebbene, già visualmente la band si mostra accattivante: quando attacca l’infinita dirompenza di “Yearn” (18 minuti) vengo inglobato da una serie di sensazioni lontane, turbinii emotivi che mi lasciano cosi, senza fiato. La cavalcata serrata delle ritmiche non lascia alcun dubbio, se non di essere al cospetto di una realtà post black (se fossero americani direi Cascadian Black), con il comprensibilissimo screaming del bravo vocalist, a guaire come un dannato. Le atmosfere, lungo l’incedere della song si fanno più pesanti, la velocità tenderà lentamente a diminuire, andando a ingrossare le saggie orchestrazioni, sulla scia di sonorità più care ai Neurosis che ad esponenti del black. L’oscurità aumenta, i suoni, sempre più cupi, sfiorano i limiti del doom, il ringhio delle chitarre lascia il posto ad ambientazioni più compassate, verosimile preludio ad una esplosione che a breve non esiterà a riapparire. Il cantato si fa più delirante, le chitarre convergono verso suoni più heavy ma decisamente più pulite, avendo perso quello sporco alone alfiere della musica nera; ma come previsto ecco riesplodere la furia dei nostri per un prorompente finale di violenza, che sfuma nei conclusivi tre minuti di sonorità quasi post rock/ambient. Non mi sono ancora ripreso dalla prima micidiale song, una vera e propria cavalcata emozionale, che mi si prospettano altri 19 minuti con “Transcend”: per mia fortuna parte assai lenta, lasciando largo spazio a suoni più meditativi. Ma le classiche stilettate black sono là dietro l’angolo, e mi assalgono con tutta la loro miscela di ruvidi suoni e vocalizzi al vetriolo. Il muro sonoro che crea l’act di Melbourne si fa quasi insormontabile, mentre il mio respiro diviene più corto, complice la pesantissima aria che satura l’atmosfera. La ritmica è la classica mazzata in pieno volto, fortuna che fanno capolino delle tastiere che rendono il risultato più abbordabile ma anche inquietante; e addirittura ecco udire dei soavi gorgheggi di una giovane donzella, che riesce a conferire al tutto un’impronta quasi gotica, prima del ferale attacco black finale. È il turno di “Become” e del suo acustico approccio, che prende drasticamente le distanze da quanto proposto fino ad ora, sfociando quasi nel folk. Malinconico a tal proposito la presenza di un enigmatico violino che riprende quanto fatto magistralmente dai conterranei Ne Obliviscaris. La traccia si conferma delicata ed evocativa lungo tutti suoi dieci minuti. Un toccasana per riprendersi dagli iniziali quaranta esagitati minuti. Ed ecco lo scoglio più arduo, il picco della montagna più elevato da raggiungere, i venti minuti di “Return”, song che ancora una volta mostra tutte le influenze di cui è permeato questo lavoro: post metal, black, suggestive epiche visioni, rock, ambient e break acustici si amalgamano tutti alla perfezione in quello che è un altro degli intriganti lavori che dall’Australia veleggiano verso il sempre più statico e vecchio continente europeo. Bravi Encircling Sea, magari lavorerei maggiormente sulle durate delle canzoni, forse troppo monolitiche ed estenuanti alla lunga, comunque la strada intrapresa dai nostri, è veramente lastricata da mille splendidi propositi. (Francesco Scarci)

Shiko Shiko - Best New Bestiole

#PER CHI AMA: New Wave, Post Punk, Arcade Fire, Talking Heads, Vampire Weekend
Dunque, immaginate di dover assaggiare una torta, e di riuscire a riconoscerne con una certa sicurezza tutti gli ingredienti, sapori familiari che sapete ricondurre a luoghi, persone, situazioni ben precise, ma che riescono comunque a sorprendervi per il modo in cui sono accostati, usati, dosati. Ecco, questo è un po’ l’effetto che mi ha fatto l’ascolto di questo esordio degli Shiko Shiko, combo francese di Lille e abili pasticceri in grado di combinare con maestria elementi noti, fino ad ottenere un risultato davvero gradevole, curioso, interessante e stimolante. Prima di tutto la torta si presenta bene, che non è cosa da poco; bel digipack e libretto riccamente illustrato. Ora, tagliatene una fetta e portatela alla bocca. Il primo morso, si sa, è importante. È importante la consistenza, è importante il profumo. E qui i denti affondano - nell’iniziale “D.P.M.M.P.D” - in una piacevole crosticina croccante fatta di muri chitarristici, drumming tribale e cori che stanno da qualche parte tra i Liars e i primi Deus; poi, subito sotto, un strato di marmellata new wave con pezzi di veri suonini Atari, e quindi un impasto denso di riff e accelerazioni post punk. Soddisfatti e incuriositi, si viene accolti da dolcezze stile Arcade Fire, con retrogusto kraut-psichedelico inframezzato da asprezze post punk e improvvise accelerazioni simil hardcore. Qua e là qualche candito elettronico e croccante di percussioni ossessive, immersi nella più classica crema Talking Heads, e strati sottili di chitarre affilate alla Vampire Weekend. Il gioco continua, ed ecco allora delicati tappeti elettronici orientaleggianti su cui si poggiano strati di sax, cori enfatici, esplosioni hard e persino, nella bella “Masca Masca”, una chitarra western alla Sergio Leone. Si arriva in fondo con la consapevolezza di aver assaggiato una bomba calorica, ma la bravura dello chef sta nel fatto di averla fatta sembrare leggerissima e, inevitabilmente, di indurvi a volerne tagliare subito un’altra fetta. Questo è un disco importante, che spazza via buona parte delle “new sensation” in ambito new wave e post punk pompate dalla stampa negli ultimi anni. Farselo scappare sarebbe una mossa davvero poco furba, e per rendersene conto è sufficiente dare un ascolto al disco sul bandcamp del gruppo. (Mauro Catena)

venerdì 22 febbraio 2013

Astral Sleep - Visions

#PER CHI AMA: Death Doom, Pantheist, Shape Of Despair, Saturnus
Mi ha preso immediatamente questo ultimo lavoro degli Astral Sleep. L'artwork acceso attira subito verso l'ascolto delle quattro "visioni" proposte dal gruppo finnico che non deludono grazie a dei suoni degni con un'equalizzazione perfetta, riffoni melodici intrisi di pesantezza contornati da atmosfere sonnolente. L'oscurità non manca di certo in questa release ma non è poi così cupa e preminente come nelle altre pubblicazioni Solitude, ed è ciò che accompagna per tutta la durata dell'ascolto, dato che il songwriting e lo stile è differente per ogni traccia, rendendo diviso l'album ed esaltandone le singole composizioni. Una cosa che mi ha fatto veramente molto piacere ascoltare in “Visions” sono le venature progressive rock e jazz che rendono complete le composizioni del quartetto. Gli unici aspetti negativi di quest'opera alla fine sono la voce ed i testi, anche se penso che la prima dipenda dalla seconda, questo perché i testi sono di una banalità ed una bassezza lessicale indirettamente proporzionali alla qualità musicale delle parti strumentali. Per il resto un gran disco che saprà farsi apprezzare da tutti gli ascoltatori del doom metal di matrice sofferente che amano le contaminazioni più soft. (Kent)

(Solitude Productions)
Voto: 70

http://astralsleep.bandcamp.com/album/visions