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martedì 17 maggio 2011

Abortus - Process of Elimination

#PER CHI AMA: Death, Thrash
Gli Abortus provengono da Sidney e hanno all'attivo un debutto discografico autoprodotto, risalente al 1999, dal titolo "Judge Me Not". Il secondo album "Process of Elimination" ci presenta una band dal suono deciso, potente e dalle venature lievemente old fashioned. Un death-thrash molto aggressivo è ciò che ci propone il quartetto australiano, una fucina di brani spaccaossa che risente dell’influenza del vecchio thrash americano piuttosto che delle oramai sfruttatissime sonorità svedesi. Qualche eco del death metal europeo lo si trova, tuttavia, nel riffing veloce e quando arriva "God Vision", fa la comparsa una contaminazione black che sembra quasi un tributo agli Impaled Nazarene. "Abort Us", "Revenge Now Sworn", "Redemption", "Sadist-Fy"... tutti i brani sarebbero degni di nota per la perizia tecnica con la quale vengono eseguiti e per il coinvolgimento che provocano nell'ascoltatore, complice un lavoro fantasioso sia nel drumming, sia nelle parti di chitarra, le quali ogni tanto ci regalano qualche assolo. L'unico punto che oscura un po', non il valore ma l'appetibilità commerciale, di questo "Process of Elimination" è da ricercare probabilmente nel suono un po' sporco ottenuto in studio, ma questa è una caratteristica che sottolinea solamente l'intento della band di rimanere grezza e selvaggia. Consigliati. (Roberto Alba)

(Code 666)
Voto: 70

sabato 14 maggio 2011

Defect Noises - Pure Sickness

#PER CHI AMA: Djent, Death Groove, Meshuggah, Cynic, Periphery
È il genere del momento (grazie ad act più famosi quali TesseracT o Periphery), se proprio di genere vogliamo parlare, o forse lo potremo definire un fenomeno musicale. Sto parlando ovviamente del djent che, per chi non lo conoscesse, è in realtà una corrente caratterizzata dal modo di suonare le chitarre, super distorte, con accordature super ribassata e tecnica “palm muting”; tutto chiaro no fin qui? Si insomma, avete presente il sound dei Meshuggah, con le sue ritmiche nevrotiche e sincopate, l’ampio uso di poliritmie e le chitarre a 7, 8 o addirittura 10 corde? Bene, questo descrive il genere di cui sto parlando e quello che ho fra le mani è un lavoro, figlio di questa scuola e Marian Gradinarski incarna alla grande questa filosofia, con una chitarra a 10 corde e un sound poliritmico che penetra le profondità della nostra psiche fino a condurci al delirio. “Pure Sickness” parte alla grande con “Suffering System”, song che mostra già la disumanità di Marian con la sua “arma” contundente nelle proprie mani: virtuosismi da paura si intrecciano infatti con un sound estremamente dinamico e ricco di fraseggi, cambi di tempo e digressioni in territori a noi sconosciuti, mantenendo come unico filo conduttore la ritmica devastante di fondo (opera di un drumkit), che ci fa capire che ci troviamo in territori di extreme metal. Sono immobilizzato, stordito, affascinato da cotanta energia lavica prodotta dalla 10 corde di Marian, ipnotizzato da allucinanti giri di chitarra, arzigogolati fraseggi che non sembrano umani, come se un alieno si fosse impossessato di questo straordinario strumento e lo suonasse in modo a noi misterioso, quasi incomprensibile, ma meravigliosamente piacevole. Sono rimasto fin da subito sorpreso dalla capacità di catalizzare la mia attenzione con dei suoni pazzeschi e pur non essendoci una voce a deviare ogni tanto la mia attenzione, continuo imperterrito a seguire le evoluzioni di questo axeman mostruoso, che attraverso le sue funamboliche scorribande (“Crawl Back In”, “In the Void the Stones are Turning”), riesce a farmi digerire un sound che probabilmente, fatto in altro modo, resterebbe sullo stomaco a molti. La tecnica di Marian è impressionante, il suo spettro di influenze il più vario con il sound a la Meshuggah che si intreccia all’irrazionalità e imprevedibilità dei Cynic, il tutto suonato con la tecnica dei Dream Theater. Ho scritto ovviamente le prime tre band che mi sono venute in mente immediatamente, ma sarebbe assai riduttivo limitare il sound di questo incredibile lavoro, che ha forse la sua unica pecca di non avere un vocalist che ogni tanto possa urlare nel microfono, perché l’unica mia perplessità, è che qualcuno si possa stancare facilmente di una release completamente strumentale. Non di certo il sottoscritto, che sta usurando la sua copia e che forse presto si troverà costretto a richiederne un’altra. Grazie Marian per avermi aperto le porte ad un’altra dimensione con il tuo sound e con la tua chitarra, che con i suoi micidiali riverberi o delay, ma sempre pregna di brutalità, mi ha saputo conquistare e condurre con te là, in mezzo all’universo dove solo melodie aliene trovano spazio. Da ascoltare obbligatoriamente! (Francesco Scarci)

(Self)
Voto: 85

Fragile Art - Axiom

#PER CHI AMA: Swedish Death, Soilwork, In Flames
Dopo colpevole ritardo, ci siamo resi conto di aver lasciato indietro un nuovo gruppo abbastanza interessante, che proviene dalla Russia, i Fragile Art. Il loro primo cd è datato 2007, registrato per la CD-Maximum intitolato “Axiom”. La release in questione è composta da 10 track, mai troppo lunghe, che quindi scorrono via piacevolmente. Il lavoro ci sorprende subito per l’uso notevole e quasi assiduo di synth, che fanno percepire i brani molto diversi dal solito melodic death in voga. “Axiom” si apre con “From Blind Love To Wild Hate”, brano che sorprende e aggredisce subito il nostro udito, sorprende perché c’è una inaspettata parte di synth e poi inizia con una batteria parecchio aggressiva, come anche i riff di chitarra, che suonano distorti e aggressivi; una ottima partenza direi perché il pezzo suona davvero interessante specie nelle parti di “musica elettronica“ (spero la band non si offenda). Il tutto scivola via piacevolmente e non abbandona mai quell’atmosfera poeticamente aggressiva che aveva creato all’inizio. Altra citazione d'obbligo è per “Not Dead Not Alive “ che attacca subito forte, aggressivo e cattivo con la batteria che sembra correre su un binario immaginario di potenza e frenesia. I riff di chitarra nella loro distorsione instillano in chi lo ascolta un'alta dose di adrenalina. La title track ha un inizio molto violento, con la doppia cassa della batteria che arriva in gola. Le chitarre offrono riff molto veloci e distorsioni che non stonano mai l’ascoltatore. Si fa notare la parte di pad, un bel arpeggio che si amalgama alla grande con la ritmica. Il tutto suona molto piacevole, ideale per un bel viaggio on the road. Il pezzo non perde mai il suo mordente iniziale, anzi ad un certo punto va anche in un crescendo di armonie distorte delle chitarre. Non menziono particolarmente la voce con il tipico growling del death metal. Il cd nel suo complesso mi ha particolarmente colpito in positivo, possiamo decisamente ritenerlo un buon punto di partenza, anche se suggerirei alla band di concentrarsi particolarmente sulle parti elettroniche e di synth, che contribuiscono a dare quella caratteristica distintiva e ricercata al cd, senza per forza ammiccare a gente del tipo di Soilwork o ultimi In Flames. Per concludere, mi sento di consigliarne l’acquisto perché la musica proposta dai Fragile Art è valida ed interessante, vi terremo sott’occhio, il margine di crescita è ampio, ora sta solo a loro maturare! (PanDaemonAeon)

(CD-Maximum)
Voto: 75

Indian Fall - Seasons in Equilibrium

#PER CHI AMA: Black Symphonic, Dimmu Borgir
Devo essere sincero, ad un primo ascolto quest’album non mi ha entusiasmato molto. Mi ha deviato sicuramente da “Demonologic Universe”, quasi un copia e incolla del sound dimmuborgiano, una traccia che non avrei certo sistemato in apertura di lavoro. Per il resto, a parte qualche chiara caduta in prevedibili riff death, ammetto che mi sono davvero ricreduto in ascolti successivi. Qui stiamo parlando di un’opera di qualità, di quel metal di classe che oggi è qualità rara. Tracce ben strutturate, giusto equilibrio di potenza sonora e melodie avvolgenti (che sia proprio un caso il titolo “Seasons in equilibrium”?). Siamo di fronte a quello che io ho sempre definito ‘metal ragionato’, un simulacro di suoni che creano atmosfera senza estremizzare con vuota tecnica (comunque molto presente e dalla magnifica resa), un susseguirsi di tracce che mutano, si evolvono in sintonia senza essere ripetitive. Per necessaria coerenza, anche la voce presenta equilibrio, modulata in profondi growl e graffianti screaming a seconda dell’andamento delle canzoni. Voce pulita nelle sezioni intermedie. Si tratta di sacralità. Pura e semplice. Si tratta delle stesse sensazioni che ho provato quando ho ascoltato per la prima volta gruppi come Septic Flesh e altri pionieri del metal mitologico. Gli Indian Fall evocano un mondo antico, primordiale, incontaminato. Raramente sono riuscito a trovare una qualità del genere, tralasciando ovviamente la produzione dei nomi blasonati. L’unico elemento che purtroppo stona, come ho già riferito, è la presenza (per fortuna non ‘in’ tutte le tracce e non ‘per’ tutte le tracce) delle tastiere alla Dimmu Borgir post “Puritanical Euphoric Misanthropia”. Pur non essendo un album di black metal, concedetemi una digressione a tema: dirò una bestemmia per molti, ma questi Indian Fall sono nettamente superiori ai nuovi Dimmu, e non hanno affatto bisogno di imitare le tastiere di chi fatica a raggiungere (o ‘tornare’, in questo caso) alle vette di un tempo. Gli Indian Fall sono un regalo dell’universo sonoro. Un piacere per le orecchie e per lo spirito (la presenza di Dan Swano alla consolle è poi un’ulteriore conferma di qualità). Confido possano in futuro aumentare il contesto ‘atmosferico’ delle loro opere, e liberarsi di pesanti orpelli di cui non hanno bisogno. (Damiano Benato)

(Self)
Voto: 85

Fuelblooded - Off the Face of the Earth

#PER CHI AMA: Thrash/Death, Testament, Soilwork, Darkane, Trivium
Cosa succede quando lo swedish death si miscela con il thrash metal americano? Ne esce un intruglio che, magari non offrendo nulla di particolarmente innovativo, riesce con il proprio mood ad entusiasmare non poco gli ascoltatori. Questo per dire che gli olandesi Fuelblooded sono promossi a pieni voti nel proporre questo death thrash melodico che pone le sue radici di brutalità, pesantezza delle ritmiche e melodia nel thrash “made in USA”, sound che ha reso grandi i Testament e celebri i Trivium, ma che comunque, nel crunchy refrain delle chitarre, nell’alternanza delle vocals (growling e cleaning) e nella complessità dei suoni, paga sicuramente dazio allo swedish sound dei monolitici Darkane, degli In Flames (per quelle aperture estremamente catchy) e degli Scar Symmetry (per i chorus), su tutti. Si insomma, come spesso accade nell’ultimo periodo, nulla di nuovo sotto il sole, però se quello che ne salta fuori è decisamente interessante perché non citarlo o addirittura premiarlo. Quindi perché non dire che il quintetto dei Paesi Bassi suona proprio bene, pur non inventando nulla di nuovo, ma solo esplorando territori già triti e ritriti, non posso che ammettere la bontà della proposta dei “tulipani”. Agevolati poi da una produzione cristallina, certamente all’altezza, opera di Jonas Kjellgren (The Absence, Carnal Forge), i nostri sfoderano la prova della vita a distanza di quattro anni dal precedente “Inflict the Inevitable”. Il disco parte forte con due robuste e dinamitarde songs, per poi assestarsi su binari molto più melodici con “When Passion Dies” e “Recipe for Demise”, dove sopra a una ritmica bella pesante, ma pur sempre melodica e controllata, si assesta una voce quasi in stile primi Metallica e con un assolo da spavento. È l’headbanging qui a prendere il sopravvento e a spingermi a dimenarmi come un pazzo nell’ascolto di questo lavoro. Si prosegue su questa strada e la proposta dell’ensemble mitteleuropeo continua a mantenersi su livelli medio alti, con le proprie radici comunque sempre ben affondate nel thrash metal, offrendoci altre gemme di musica estrema in “Pandemic Persecution” o nella lunga cavalcata “The Cult of Ego”, dove la lezione dei gods svedesi Darkane viene appresa alla grande dai nostri nuovi eroi. Il sudore gronda ancora dalla mia fronte, ma mi sento soddisfatto per questo sfogo dato dall’ascolto di “Off the Face of the Earth”, ennesimo buon lavoro targato ancora una volta My Kingdom Music. Bella scoperta, non c’è che dire! (Francesco Scarci)

(My Kingdom Music)
Voto: 75

My Darkest Side - Death Begins

#PER CHI AMA: Deathcore, Lamb of God, The Black Dahlia Murder
Il nome di questa band, My Darkest Side, mi ha immediatamente fatto riecheggiare nella mente quella degli statunitensi Darkest Hour, quindi quello che mi aspettavo di sentire era sicuramente qualcosa di simile al combo di Washington e cosi sono stato in parte accontentato. Il gruppo capitolino propone infatti un deathcore dalle forti influenze americane ed il risultato non è niente male anche se di originalità, come ben potete immaginare, non v’è alcuna traccia. 4 songs di “Roman Fuckin Metal”, come ribattezzato dai nostri sul cd, capaci di farci esplodere le casse dello stereo con il loro incedere prepotente e sfrontato. La rabbia del quintetto romano deflagra già dall’iniziale “My Sixth Sense”, song dal riffing nervoso e dal mood grooveggiante, oh yeah! Mi piacciono i nostri, spaccano che è un piacere, aiutati anche in sede di registrazione da una produzione veramente all’altezza che ne esalta le qualità, quasi ci trovassimo di fronte ad una band di veterani. Che sia l’inizio di una nuova era per il metalcore nostrano? Mah, nel frattempo spariamoci “Spawning Blood” e “Altar of Star’s Light” con le loro velocità frenetiche e schizoidi, ma che nel loro galoppare, sono in grado di regalarci sprazzi di melodia, furia incontrollata e una tecnica davvero invidiabile che fa dei nostri una grande promessa per il futuro del nostro paese. Se ci fossero state più tracce, magari il vosto sarebbe stato più alto, per ora i My Darkest Side si accontentino di questo e continuino a lavorare in questa direzione, il successo potrebbe essere davvero assicurato. Bravi, bella scoperta! (Francesco Scarci)

(Self)
Voto: 65

lunedì 9 maggio 2011

Exhale - Blind

#PER CHI AMA: Death/Grind, Nasum, Napalm Death
Eccole qui, mi mancavano le schegge di fottutissimo grind a perforare le mie orecchie e ci pensano gli svedesi Exhale, col loro secondo lavoro, a trapanarmi il cervello con queste 15 crivellanti tracce di furioso grind in pieno stile Nasum. Che dire, non sono proprio un grande estimatore del genere anche se ho amato i primi Napalm Death ma qui siamo al cospetto di una formazione che fa della violenza suprema il proprio punto di forza, anche se poi si assiste a dei rallentamenti di chiaro stampo death metal (Entombed era “Clandestine” tanto per capirci). Questo per dirvi che non ci troviamo di fronte a una band di purissimo grind, come i bravi maestri inglesi erano in grado di fare, ma c’è un mix di brutalità, data dall’annichilente sezione ritmica del quintetto scandinavo che viaggia costantemente a livelli di velocità doppi a quelli della luce e qualche sporadico inserto death. Gli Exhale sono sicuramente una band dotata di buona tecnica (incredibile il batterista che si conferma mostruoso dietro le pelli), con il vocalist Peter Andersson che alterna lo screaming a del cavernoso growling. L’unico problema di “Blind” è la noia che affiora dopo pochi minuti, in quanto, come spesso accade per questo genere, la sensazione è quella di ascoltare la stessa canzone per una trentina di minuti. Peccato, se solo si fosse in grado di dosare sapientemente le forze, sono convinto che anche questo tipo di grind avrebbe un maggiore successo. Osare è il verbo che più prediligo, ma anche l’invito che faccio anche a questi cattivi scandinavi! (Francesco Scarci)

(Dark Balance Records)
Voto: 60

Axen - Scream of Desperation

#PER CHI AMA: Thrash Old School, Exodus, Testament, Pantera
Una terrificante intro apre questo MCD di 5 pezzi degli inesperti Axen. Formatisi infatti nel 2009, mostrano in questo lavoro tutta la loro inesperienza, sebbene provengano da altre precedenti esperienze. A partire dalla pessima produzione, che penalizza enormemente il suono della batteria (ricordate “St. Anger” dei Metallica?), il combo siciliano prova a miscelare il thrash anni ’80 con i suoi acuminati riffs di chitarra e le pesanti ritmiche (qui assenti) con il death metal. Il risultato però è ancora distante da poter essere definito sufficiente: mi è sembrato di fare un bel salto nel passato di vent’anni quando le band che seguivo, Alligator o IN.SI.DIA, cercavano di fare il verso ai godz americani, Metallica, Testament o Over Kill, ma l’esito era sempre lontano anni luce dalla proposta d’oltreoaceano. L’interpretazione del thrash metal da parte delle band italiane non ha mai riscosso grandi consensi dal sottoscritto, e questi Axen purtroppo non sono immuni dalla mia falce assassina. A parte la title track, cè’ ben poco da salvare in questi brani, se non qualche bell’assolo qua e là che risolleva per un attimo l’umore di una canzone. La performance del vocalist è poi tutta da dimenticare, per la sua indecisione o voluta scelta, di non usare una voce growl, ma neppure una pulita, bensì optando per uno sporco mix che alla fine finisce col mostrare solo la precarietà qualitativa dell’ensemble italico. Rimandati fino a nuovo ordine: chissà se l’album che stanno scrivendo stia smussando i lati negativi della loro proposta, me lo auguro proprio... (Francesco Scarci)

(Self)
Voto: 55