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#PER CHI AMA: Progressive/Alternative Post Metal, Tool, Porcupine Tree |
Quasi due anni fa, facevo conoscenza con un interessantissimo combo proveniente dalla lontana Nuova Zelanda, i Shepherds of Cassini. Il quartetto di Auckland torna oggi sulla scena con un album nuovo di zecca e con un sound come al solito, ricco di contenuti peculiari. Poche le tracce a disposizione dei nostri (6) anche se la durata del disco si assesta sui 60 minuti. Le danze si aprono con la strumentale "Raijin", song che evidenzia la natura post metal a livello delle chitarre, costantemente influenzate da una sorprendente vena mediorientale, confermando quanto di buono già avevo avuto modo di ascoltare nel debut album. Il sound è comunque un saliscendi emozionale già da quello che dovrebbe essere il prologo di questo 'Helios Forsaken'. La seconda traccia è un coro di soli 45 secondi che ci introduce alla lunga suite "The Almagest". Quello che balza subito alle orecchie è una proposta che si muove tra il rock progressivo (alla Porcupine Tree), un che dei System of a Down (soprattutto a livello vocale), la già evidenziata vena orientaleggiante, echi dei Tool, e numeri da circo, affidati all'imprevedibile violino di Felix Lun, alle pulsazioni spaziali del basso di Vitesh Bava, ai funambolici giri di chitarra di Brendan Zwaan e all'esplosivo drumming di Omar Al-Hashimi. I quindici minuti della traccia ci conducono in un lungo viaggio che si sviluppa lungo tre sottotracce che abbracciano il prog, l'alternative rock, ovviamente il post metal e nell'ultima parte, quella che si spinge peraltro verso lidi più estremi, anche una vena rock anni '80, stile King Crimson. È l'ipnotico suono della batteria a farla da padrona nella successiva "Mauerfall", con un inizio in chiaroscuro, lento, suadente, ammiccante e atmosferico, con il basso in sottofondo a dispensare brividi a non finire. Il pezzo è quasi totalmente strumentale; giungono infatti a metà brano due urla sguaiate e la musicalità dei nostri vira prepotentemente verso lidi di tooliana memoria che ci tengono compagnia per una manciata di minuti prima di dirigersi verso un post rock malinconico, nella consueta girandola di tenui colori che gli Shepherds of Cassini sono in grado di infondere nella loro musica, e che ci condurranno a un finale dalla musicalità etnico-tribale. "Pleiades' Plea" inizia in punta di piedi, con la voce di Brendan a deliziarci in compagnia di chitarra e violino. Il brano è un pezzo rock molto delicato in cui assurge al ruolo di protagonista, oltre alla voce del vocalist, l'indemoniato e carismatico violino di Felix. Il finale, musica stratificata inebriante, è affidato a una roboante ritmica che esalta le caratteristiche tecniche dell'act oceanico. Gli ultimi 14 minuti e trenta sono di competenza della title track, song in cui l'approccio post metal torna a farsi sentire più forte, la voce si materializza addirittura in una veste growleggiante, con le chitarre sempre più pesanti. Ma è la solita manciata di minuti che devia come una scheggia impazzita che trova puntualmente modo di volgere verso mille altre sonorità: un rock mediorientale, un break post rock con la voce di Brendan tornata pulita e sofferente, schizofrenici e sincopati cambi di tempo con il vocalist ancora mutevole nella sua performance. E poi la calma, che non preannuncia ovviamente nulla di buono. Il sinistro violino ci prepara al gran finale che non tarda a venire, con divagazioni ipnotiche, suoni oscuri, aperture ariose, growling vocals e tutto e il suo contrario! Pazzeschi! (Francesco Scarci)
(Self - 2015)
Voto: 85