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mercoledì 12 dicembre 2018

Opera IX - The Gospel

#PER CHI AMA: Esoteric Black Metal
Quando penso al black metal in Italia, mi vengono in mente tre band: Mortuary Drape, Necromass e Opera IX. Oggi siamo a celebrare l'agognato come back discografico di questi ultimi, che per rilasciare un nuovo album, ci impiegano da sempre, un bel po' di tempo. Avevamo aspettato otto anni dal poco ispirato 'Anphisbena' a 'Strix - Maledictae in Aeternum'; questo giro, ci accontentiamo di soli sei anni per dare il benvenuto a 'The Gospel'. Per chi si fosse distratto nel frattempo, sappiate che dietro al microfono di questo disco non c'è più Abigail Dianaria, che bene aveva fatto nel corso della sua militanza nell'ensemble piemontese. È approdata infatti negli Opera IX, Dipsas Dianaria, all'anagrafe Serena Mastracco, cantante romana (peraltro di molteplici formazioni black), di indubbio talento. E allora diamo un ascolto a come si è evoluto il sound dei nostri in questo lungo lasso di tempo. Le danze si aprono con la title track che mi riporta in un qualche modo agli esordi della band, complici quelle atmosfere orrorifiche che popolavano i miei incubi notturni ai tempi di 'The Call of the Wood' o 'Sacro Culto'. L'impatto non è affatto male, soprattutto perchè quella primigenia aura sinistra della band, pervade l'intero brano, mentre la voce maligna di Dipsas Dianaria, accompagna quelle esoteriche orchestrazioni che caratterizzeranno tutto il lavoro. Il clima si fa più tetro nella successiva "Chapter II", con un sound che ammicca alle vecchie composizioni dei nostri ai tempi di 'The Black Opera', e un riffing qui più nervoso e meno melodico rispetto al passato, che in taluni passaggi sfiora addirittura il post black nel suo infernale avanzare, e che arriva a toccare anche le partiture gotiche tanto care ai Cradle of Filth. Non mi dispiace affato, anche se per forza di cose, suona come già sentito. Peccato poi che la feroce cantante non riesca ad offrire, almeno fino a questo momento, variazioni alla sua voce, come era invece solita fare l'ineccepibile Cadaveria. Certo non si vive solo di passato, però francamente il pulito della storica cantante, aiutava non poco a caratterizzare il sound di Ossian e compagni. Ora ci troviamo di fronte ad un sound arrembante, estremo, con meno sbavature rispetto al passato e che dà maggior risalto alla porzione sinfonico-vampiresca con "Chapter III", dove finalmente emerge la peculiarità della vocalist, con una preziosa prova in pulito che rende qui la proposta degli Opera IX decisamente più ammaliante e magica, e dando contestualmente più ampio spazio ad ambientazioni mistiche ed arcane. La sacerdotessa alterna uno screaming ferale ad un cantato quasi cerimoniale, mentre le ritmiche si confermano tesissime, quasi un black primordiale, la cui irruenza viene stemperata dalle sempre invasive keyboards. "Moon Goddess" è la riprova che certifica l'adeguatezza vocale della neo arrivata all'interno della band: la musica si muove su linee di black sinfonico che mantengono comunque inalterate le linee serrate di chitarra, che molto spesso sembrano virare verso lidi death metal. Un assolo a metà brano aumenta il mio interesse per la release che ora suona anche più varia. Più lenta e poco originale "House of the Wind", una traccia anonima di cui avrei fatto volentieri a meno. Ben più interessante invece "The Invocation" e le sue tastierone in apertura, sparate a mille all'ora nel roboante impianto ritmico dei nostri, che vanno lentamente ritraendosi per lasciar posto ad un approccio ritmico dal sapore quasi militaresco. "Queen of the Serpents" è un inno dedicatao alla dea Diana che nel suo fosco e disarmonico incedere black doom, si lascia ricordare più che altro per il il chorus in italiano, e per l'utilizzo di strumenti ad arco, a cui avrei dato francamente più spazio, un esperimento alla fine mezzo riuscito. Arriviamo agli ultimi due episodi del disco, "Cimaruta" e "Sacrilego". La prima apre con i bisbigli della vocalist che torna ad incantarmi col suo cantato pulito, e ad una ritmica che si muove sui binari di un black death melodico ed orchestrale. La seconda è l'ultima tirata black di questo 'The Gospel', un rito negromantico, un incantesimo, un inno funerario (che chiama in causa anche il buon Chopìn) che sancisce il ritorno di una grande band sulle scene, da cui però è sempre lecito aspettarsi molto di più. (Francesco Scarci)

(Dusktone Records - 2018)
Voto: 75

https://dusktone.bandcamp.com/album/the-gospel

giovedì 12 gennaio 2017

Årabrot - The Gospel

#PER CHI AMA: Noise Rock, Swans, Killing Joke
Settimo capitolo delle vicende della cult band norvegese capitanata da Kjetil Nernes, ed è uno di quei capitoli chiave che riescono a definire e delineare una storia consegnandole spessore e dignità di grande romanzo. Concepito durante la convalescenza dopo un intervento per rimuovere una forma maligna di cancro alla gola, 'The Gospel' è forse il lavoro più ambizioso ed articolato di Nemes, quello dove lo spettro del male e il racconto della lotta per sconfiggerlo sono protagonisti assoluti, eppure è quello più accessibile dal punto di vista musicale. Prodotto da Steve Albini e registrato in parte nei suoi Electrical Studios e in parte in una vecchia chiesa sconsacrata nella foresta di Dalam, in Svezia, 'The Gospel' risuona di echi solenni, minacciosi e disturbanti, anche grazie alla maestria del notevole cast di musicisti coinvolti, tra cui spiccano Stephen O’Malley dei Sunn O))), Andrew Liles (Current 93, Nurse With Wound) e Ted Parsons (ex-Swans e Killing Joke e ora componente dei Prong). La furia provocatoria e l’incompromissorio noise rock a cui gli Årabrot ci avevano abituato vengono qui in qualche modo stemperati nelle loro espressioni più dirette ma rimangono intrappolate in un monolite nerissimo, grazie ad un insieme emotivo e creativo che suona ora nodoso e intrecciato come una corona di filo spinato, ora vellutato e ricco di avvincenti contrasti. Nonostante una valenza così intima e personale, 'The Gospel' è il disco dove la varietà di stili ed atmosfere è forse più marcata, dai ritmi marziali della titletrack, alle trame oscure e criptiche alla Swans di “I Run”. Il tono generale è più epico e raffinato, intriso di riff e intuizioni armoniche davvero irresistibili come la meravigliosa “Tall Man”, e che trovano la loro sublimazione nei dieci minuti della coraggiosa divagazione doom di “Faustus”, per poi grondare di disperazione e dolore fino alla liberazione finale (“Rebekka”). Gli Årabrot tornano con il loro disco allo stesso tempo più scuro e conciliante, e forse, in definitiva, il loro lavoro migliore, quello che potrebbe consegnare loro un posto di primissimo piano nella scena noise rock mondiale. Nella classifica dei migliori dell’anno 2016 si guadagna un posto ai piani alti. (Mauro Catena)

(Fysisk Format - 2016)
Voto: 80

https://arabrot.bandcamp.com/album/the-gospel