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Visualizzazione post con etichetta Snow Wolf Records. Mostra tutti i post
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martedì 8 agosto 2023

Thumos - Musica Universalis

#PER CHI AMA: Instrumental Post Metal
Recensiti da poco con l’infinita raccolta di loro demo, ecco riaffacciarsi i Thumos e il loro angosciante post-metal strumentale, nonostante in questo 2023, abbiano già visto la luce un full length e un altro EP. ‘Musica Universalis’ è il loro ultimo parto, un lavoro breve che potrebbe fare da preludio ad una nuova, ennesima, più lunga e strutturata release che sicuramente, la prolifica band americana starà architettanto. Nel frattempo, ascoltiamoci “Mysterium Cosmographicum”, un pezzo che riflette tutti i sacri crismi del post metal, grazie a chitarroni super distorti, atmosfere accattivanti, melodie non scontate, ma anche accelerazioni furiose che strizzano l’occhiolino al black metal, come già abbiamo più volte sottolineato in occasione di precedenti recensioni. In questo caso, il sound è piuttosto vario, di più facile ascolto e, sebbene continui a trovare l’assenza della voce penalizzante, non posso che godere della proposta dei quattro anche nella successiva “Astronomia Nova”, un pezzo che nella sua brevità, sembra raccontare in musica, le recenti scoperte fatte dal telescopio James Webb. “Harmonices Mundi” continua su binari similari al primo brano, mostrandosi ancor più varia, sofisticata e in taluni frangenti, davvero aggressiva. Insomma, un buon antipastino in vista di qualche nuovo piatto ricco, che sono certo la band statunitense, stia preparando. (Francesco Scarci)

(Snow Wolf Records – 2023)
Voto: 70

https://thumos.bandcamp.com/album/musica-universalis

venerdì 7 luglio 2023

Thumos - Demo Collection

#PER CHI AMA: Instrumental Post Metal
Questa degli americani Thumos rappresenta una gustosa raccolta per chi segue la band sin dai suoi esordi. Forti di una notevole discografia, pur essendosi formati solamente nel 2018, i quattro gringo ci accompagnano alla scoperta dei loro iniziali cinque demo, 'The Spire' del 2018, 'Mono No Awake' del 2019, 'Lacrimae Rerum' e 'Unwritten Doctrines' del 2020, e infine 'Demiurge' del 2021. Sembra un'opera monumentale, in realtà sono 10 pezzi per 53 minuti di musica, dove apprezzare, se ne sarete in grado, l'evoluzione musicale di una band, votata ad un post metal interamente strumentale. E forse è la mancanza di una voce a rendere più complicata la sfida di capire in che modo i nostri sono maturati in questi quattro anni, in quanto la breve "The Spire" poco si discosta in realtà da "Hiraeth" e "Morriña", contenute nel secondo demo, forse più strutturate, vista anche una lunghezza più importante, se volete più oscure, ma dotate anche di una certa verbosità che sembra diluirne la longevità. Non discuto sulle qualità della band, di cui avevo recensito anche 'The Republic', album d'esordio sulla lunga distanza uscito nel 2022. Potrei dire che "Symbiosis" contenuta nella terza demo sembra più dinamica nel suo incedere, guidata da un bel basso e da una chitarra graffiante, mentre la successiva "Transtemporal" suona un filo più abbottonata all'inizio, per poi lasciarsi andare in una ritmica più fluida e potente nella seconda metà. Scorrendo gli altri pezzi, citerei la dirompente ritmica di "Anamnesis", la brevità devastante di "Emission" che ammica al post black nei frammenti impazziti del suo rutilante incedere, o ancora l'asfissiante "Aporia", in bilico tra doom e post-metal. Sono arrivato all'ultima demo eppure, ribadisco, non trovo sostanziali differenze tra i pezzi, se non in fatto di un certo inasprimento delle sonorità, più vicine al black in un pezzo come "The Betrayer is Come", più pesante invece in "Know the Face of the Destroyer". Il lavoro contiene poi un cd bonus, che include gli EP 'The End of Words' e 'Nothing Further Beyond', usciti nel 2021. Quindi mettetevi comodi perchè troverete altri 55 minuti di musica claustrofobica ("Epithumetikon" e "The Great Beast"), roboante ("Thumoeides" e "The Chariot") e più dissonante ("Metempsychosis" e "The Pillars"). Tutto molto interessante, ma che alla lunga (e dopo quasi due ore statene certi), rischia di annoiare terribilmente e spingerci a premere il quadratino dello STOP sul nostro lettore. (Francesco Scarci)

mercoledì 16 febbraio 2022

Thumos - The Republic

#PER CHI AMA: Post Metal Strumentale
I Thumos sono una misteriosa creatura di cui non ho trovato troppe informazioni. Certo la Bibbia Metal Archive dice che sono americani, si sono formati nel 2018, ma poi non si sa quanti e quali membri costituiscano la band, o di quale città siano realmente originari. Dopo una serie infinita di demo, split, EP e compilation, il gruppo nordamericano arriva finalmente in questo 2022 al tanto agognato full length d'esordio. 'The Republic' è un lavoro di dieci pezzi dediti ad un post metal che supera l'ora di durata. La sua peculiarità? È interamente strumentale, sebbene il disco voglia essere una sorta di rappresentazione musicale de 'La Repubblica', l'opera filosofica in forma di dialogo, del filosofo greco Platone, la quale ebbe una enorme influenza nella storia del pensiero occidentale. Quantomeno stravagante. Il disco si apre con i toni cupi di "The Unjust" che rivela subito la direzione musicale intrapresa dai nostri. Le chitarre infatti sono quelle tipiche del post metal, tuttavia le ambientazioni tendono a farsi, nel corso del pezzo, estremamente rarefatte e paranoiche, complici una serie di rallentamenti dal mood asfissiante. Un filo più tirata "The Ring", dove comunque mi preme sottolineare il piacere nella band di produrre break in cui affidare lo stage ad un singolo strumento. Accadeva con la batteria sul finire del primo brano, accade qui con largo spazio concesso alla chitarra e da qui ripartire con un piglio costantemente in bilico tra post e doom, profumato anche da derive progressive e da qualche accelerazione che ammicca al black. Il disco non è proprio facilissimo da digerire, però non appare alle mie orecchie scontato come tanti altri lavori che ho ascoltato in ambito post, forse per questa capacità di variare il tempo, di inferocire la componente ritmica, cosi come di renderla più mansueta in altri frangenti come accade nella più delicata e melodica "The Virtues" che potrebbe ricollegarsi al IV libro di Platone e alle virtù in esso citate, la sapienza, il coraggio e la temperanza. Più tortuosa invece "The Psyche", d'altro canto con un tema del genere era lecito aspettarsi qualcosa di simile. Si tratta di un brano pesante che si muove su una ritmica lenta e ossessiva, caratterizzata da giri di chitarra sparsi qua e là alquanto bizzarri e da un incedere comunque pachidermico nella sua seconda metà. Si arriva intanto a "The Forms" e al suo sconfortante incipit che evolve in un pezzo che per certi versi mi ha evocato lo spettro dei Cult of Luna di 'Somewhere Along the Highway', quelli più glaciali e desolanti, sebbene le tastiere provino a smorzare i toni e a sopperire all'assenza di un vocalist. "The Ship" è il brano più corto del disco che attacca con un rutilante incedere ritmico. Bordate di piatti e rullante, chitarre super distorte vicine più al death metal che al post, ed una serie di schiaffi in faccia ben assestati. L'oscura "The Cave" non mi lascia alcun dubbio sul fatto che affronti "Il Mito della Caverna", una delle più conosciute allegorie del filosofo greco. Il pezzo è fondamentalmente orientato sulla falsariga dei precendenti almeno fino a quando, poco prima di metà brano, divampa la miccia di un black furibondo che ci accompagnerà, tra rallentamenti e accelerazioni improvvise, fino al termine. "The Regimens" è un'altra song che parte da toni pacati ma con una linea di chitarra un po' più sghemba rispetto alle precedenti. Anche qui il break di batteria non tarderà a materializzarsi, quasi il battito ritmico di un cuore in mezzo al petto, comunque ostico e nevrotico. Un delicato arpeggio apre "The Just", che mi ha colpito per la sua intrinseca malinconia dettata probabilmente dall'utilizzo degli archi che donano una certa solennità a quello che è il pezzo più evocativo del disco, quello che ammicca anche maggiormente al post rock, quello meno originale ma che forse riesce più a toccare la componente emotiva di chi ascolta. In chiusura "The Spindle", la traccia più lunga del lotto, quella che attacca anche in modo più minaccioso con delle chitarre multistratificate che non lasciano presagire a nulla di buono, quasi un black norvegese di altri tempi. In realtà non ci troveremo di fronte a nulla di cosi spaventoso o feroce, sebbene il drumming ogni tanto sembri voler aumentare i giri del motore, ma da qui alla fine ci sarà spazio per qualche accenno di accelerazione, qualche sporadico blast beat e poco altro che si concretizzerà in un pianoforte che chiude delicatamente un disco inaspettato, intrigante e complicato. (Francesco Scarci)

(Snow Wolf Records - 2022)
Voto: 75

https://thumos.bandcamp.com/album/the-republic

domenica 27 giugno 2021

Akvan - City of Blood

#PER CHI AMA: Ethnic Black
Credo sia risaputo quanto il sottoscritto sia alla costante ricerca di band provenienti dagli underground più stravaganti del mondo. Questi Akvan arrivano da Teheran (anche se il mastermind dietro a questa creatura, Dominus Vizaresa, è nato negli U.S. e poi si è trasferito in Iran) e sotto l'egida della Snow Wolf Records ma pure della nostrana Subsound Records, per ciò che concerne l'edizione in vinile, eccoli ritornare con questo nuovo 'City of Blood'. La peculiarità della one-man-band iraniana è quella di proporre un black alquanto primordiale, contaminato però da melodie etniche provenienti dalla tradizione persiana. Certo, l'opening track "Vanquish All" è prettamente un pezzo black grezzo, con tanto di produzione assai scarna, chitarre zanzarose e screaming vocals, molto '90s per intenderci nei suoi contenuti. Tuttavia, alcuni giri di chitarra o alcune melodie punteggiate peraltro da strumenti della tradizione locale, sembrano proprio condurci in quei luoghi cosi carichi di fascino e mistero. E il risultato alla fine ne beneficia alla grande, perchè non vi dirò che gli Akvan sono dei banali persecutori della tradizione black degli anni '90, ma in realtà propongono un sound carico di malinconia, cosi sognante a tratti ma comunque ben caratterizzato a livello musicale e pure a livello solistico. "Hidden Wounds" irrompe con un tremolo picking tipicamente black ma dopo due secondi si capisce che si tratta di melodie tipiche della tradizione mediorientale, che prendono le distanze da quanto proposto da altri esponenti della scena per certi versi affini, come Melechesh o Arallu. Qui ci sento infatti un qualcosa di più integralista, più vero, con le radici ben affondate nella cultura persiana. E fa niente che poi quello che ci ritroviamo fra le mani sia black a tutti gli effetti, le atmosfere che respiro e vivo durante l'ascolto di questo pezzo, cosi come soprattutto nella seguente "In Narrow Graves", pezzo strumentale di tradizione persiana senza chitarra, basso e batteria, mi regalano qualcosa di importante e profondo. La conclusiva "Halabja" è l'ultimo vorticoso capitolo di questo EP, che delinea lo stato di grazia, l'ispirazione e l'originalità di Dominus e dei suoi Akvan. (Francesco Scarci)

(Snow Wolf Records/Subsound Records - 2021)
Voto: 74

https://akvan.bandcamp.com/album/city-of-blood-3