Cerca nel blog

Visualizzazione post con etichetta Abaton. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Abaton. Mostra tutti i post

domenica 7 febbraio 2016

Abaton - We are Certainly not Made of Flesh

#PER CHI AMA: Sludge/Postcore, Fyrnask, Neurosis, Altar of Plagues
Sono certamente toni tetri e minacciosi quelli che si celano nel secondo capitolo della discografia dei forlivesi Abaton, 'We are Certainly not Made of Flesh'. Dopo quattro anni (fatto salvo uno split con i Viscera///), il quintetto romagnolo rompe il silenzio con un lavoro sporco, intriso di rabbia e avvolto da una coltre di caligine che induce il soffocamento. Il nuovo album è una brutta bestia d'affrontare, uno di quei serpenti costrittori che ti avvolge tra le sue spire, stringe e stringe fino a che non sopraggiunge la morte per asfissia. Il suono dei nostri fa altrettando con una rarefazione a livello sonoro che non lascia scampo. Nove pezzi, anche piuttosto brevi visto il genere, devoto al doom sludge più cupo, ma in cui ovviamente non si disdegnano fughe in territori più estremi. "[I]" apre le danze con il suo fangoso mood, fatto di una sezione ritmica in cui si riconoscono chiaramente le sue chitarre morbose e un basso ipnotico che guidano la proposta dei nostri in una direzione che richiama, in certe disarmoniche linee di chitarra, anche Deathspell Omega. Sebbene la traccia duri poco meno di quattro minuti, la sensazione è quella di essere sprofondati per una eternità negli abissi desolanti dell'inferno. "Ananta" è miele per le mie orecchie, per cui quella sensazione di annaspare nell'acqua svanisce quasi del tutto: la song ha un cupissimo flavour sinistro che mette i brividi, è lenta, atmosferica, delicata, ma si capisce che presto accadrà qualcosa, deve, per forza. La voce di Silvio viene fuori, graffiante come sempre, vetriolo urticante che si amalgama alla perfezione con il sostrato musicale che soggiace nelle tenebre. Malsani e suggestivi, non c'è altro da dire e lasciarsi trasportare dal flusso che conduce a "[II]", un altro brevissimo pezzo (meno di tre minuti), in cui un drumming marziale e chitarre roboanti, coesistono alla grande in un frammento di follia omicida. Un breve intermezzo e poi l'acredine di matrice post black (Deafheaven, Fyrnask e Altar of Plagues, giusto per citarne alcuni) incendia l'aria con una serratissima ritmica che farà ben presto posto ad anfratti insalubri di suoni ondivaghi lenti e austeri, il cui unico fine è partorire ansie primordiali. E gli Abaton ci riescono alla grande. Ancora mistero con lo pseudo noise di "Flesh", a cui seguono gli interminabili minuti di "[IV]" ove compare alla voce in qualità di guest (presente anche in "Nadi"), Sean Worrel dei Nero di Marte. La preparazione è formidabile, la band ci cucina a puntino con una serie di suoni destrutturati, pregni di angoscia e alienazione sonica. È drone, doom, sludge, funeral, noise, post-core, ambient, black, psichedelia, crust, hardcore? Non mi è dato saperlo e francamente me ne frego in questo caso di etichette, lasciandomi intrappolare nel delirio perpetrato da questi stralunati ragazzi che a scuola hanno studiato Neurosis, Cult of Luna e Locrian. Delle inquietanti atmosfere si addensano anche nelle conclusive "Eco" e "[V]", altri due episodi di somma catarsi che segnano l'eleganza e la grandezza degli Abaton. Tanta roba, complimenti! (Francesco Scarci)

(Drown Within Records/Unquiet Rec/Martire - 2015)
Voto: 85

https://abaton.bandcamp.com/album/we-are-certainly-not-made-of-flesh

martedì 25 settembre 2012

Abaton - Hecate

#PER CHI AMA: Sludge, Doom, Celeste, Coffinworm
Era il lontano novembre del 2011, ricordo il freddo che mi raggelava le ossa mentre seduto in macchina con una bottiglia di whiskey aspettavo una cara amica per andare a vedere un live dei Forgotten Tomb. Dopo alcuni minuti che ero entrato nel locale, vengo letteralmente malmenato dal suono che la band opener mi propone, e quella band che mi aveva colpito cosi profondamente erano gli Abaton. Ed ora sono qui davanti al pc a raccontarvi della loro prima tappa discografica: "Hecate". Dico subito: se non siete amanti del riverbero e della fitta oscurità, lasciate perdere questa band perché non farà per voi. La proposta è ben strutturata, un artwork in scala di grigi, con un immaginario esoterico e con suoni claustrofobici ed estenuanti; dal primo ascolto si percepisce subito la consistente base di matrice doom e post-core che ospita sonorità che si estendono fino allo sludge e movimenti influenzati dal black più malvagio. Le tracce ci trascinano con un’opprimente atmosfera in un cupo labirinto sonoro, dove la mavoleva musica del giovanissimo gruppo forlivese, con le sue plunbee disarmonie, le voci agghiaccianti e le ritmiche opache, regna incontrastata. I punti deboli di questa pubblicazione sono essenzialmente due: la quasi inesistente differenziazione delle voci e le composizioni troppo simili tra loro. A me piace molto questo disco, ma nonostante il songwriting eccellente, non si è riusciti a raggiungere una proposta così creativa, da far emergere le singole tracce. Durante l'ascolto, sono poche le volte in cui chiaramente si identifica una composizione dall'altra, colpa dell'abuso delle “cavalcate” doom e delle melodie ripetitive. C'è da sottolineare la lama a doppio taglio causata dal riverbero che da una parte rende eccezionali le parti più dilatate e cadenzate, mentre dall'altra, impasta completamente i momenti più veloci ed aggressivi. In definitiva "Hecate" è un album con delle splendide atmosfere e delle idee molto accattivanti, che però non riescono ad evolversi definitivamente e raggiungere una maturità completa, tuttavia l'opera nel suo insieme, seppur monotona, riesce ugualmente a trascinare nell'ascolto. Chiudo consigliandovi di vederli assolutamente live, senza tappi per le orecchie.(Kent)

(Lo-Fi Creatures)
Voto: 70