#PER CHI AMA: Black Industrial |
Andiamo a scoprire il quinto album per i Red Harvest, storica band norvegese che debuttò nel '92 su Black Mark con “Nomindsland” e che, lontana dai vari trend che si sono avvicendati nell'arco di questo due decenni nel metal estremo, ha sempre mantenuto fede ad un percorso artistico autonomo. Attraverso lavori come “There's Beauty in the Purity of Sadness”, “Hybreed” e “Cold Dark Matter”, i Red Harvest hanno saputo plasmare il suono embrionale degli inizi, fatto di intuizioni originali ma anche di sperimentazioni talvolta poco riuscite, approdando così ad un industrial-metal molto personale. Se, qualitativamente parlando, “Hybreed” poteva rappresentare il disco della svolta, “Sick Transit Gloria Mundi” acquista un ruolo diverso, imponendosi come il migliore lavoro partorito dal gruppo e facendo emergere i Red Harvest da un "quasi anonimato" che non rendeva certo giustizia al loro reale valore. “Sick Transit Gloria Mundi” è un disco che raggiunge non soltanto la perfezione stilistica ma diventa anche il tramite di un concetto vasto ed attualissimo, che vede coinvolte scienza e spiritualità in una realtà terrificante. Quello che i Red Harvest dipingono è un inferno non molto distante dal mondo reale, un mondo incolore dove l'umanità è totalmente asservita alle macchine e si prostra ad una tecnologia dai connotati quasi mistici. Assorbita la lezione di nomi fondamentali quali Scorn, Ministry, Pitchshifter e Godflesh, la band stravolge questo patrimonio genetico e lo riassembla in modo convincente, conferendo alla propria musica una vena apocalittica, malata e spesso brutale, con ritmi martellanti ed un'atmosfera sempre cupa ed ossessiva. Nascono così dei pezzi devastanti come “AEP”, “Humanoia” e “Beyond the End”, grida disperate d'allarme che giungono impetuose e stridono nell'aria velenosa di una natura ormai al collasso. L'assalto metal industriale dei Red Harvest sa essere distruttivo e inarrestabile ma in episodi come “Desolation”, “CyberNaut” e “Godtech” è un incedere lento e pesante ad accompagnare le immagini aberranti descritte, come se due occhi stanchi seguissero annoiati i fotogrammi terribili di una catastrofe imminente. Dolore, rabbia e grigia frustrazione convivono nell'album più bello che i Red Harvest abbiano realizzato fino ad ora, tracciando un'alternativa estraniante di annullamento e di lenta autodistruzione, un'ultima chance per fuggire da questo mondo intossicato... get off the planet, now! (Roberto Alba)