
 A volte trascuriamo assolutamente ciò che si cela al di là delle note di  un disco, cosa si narra nei testi o qual è l’arcano significato che sta  dietro le parole o anche al solo monicker di una band, per concentrarci  esclusivamente sulle note musicali che escono dal nostro stereo, niente  di più sbagliato e superficiale. Ho compreso tutto questo dopo una  interessantissima chiacchierata con il combo in questione e un nuovo  mondo sconfinato mi si è aperto davanti agli occhi. Gli Eloa Vadaath  sono una band proveniente dal sottobosco di Rovigo che, con questo “A  Bare Reminiscence of Infected Wonderlands”, provano a dar sfogo alla  loro immensa creatività, cercando ivi di miscelare il black death degli  esordi con sonorità progressive o ambientazioni epico-sinfoniche e direi  che quasi quasi si può gridare al miracolo. Eh si, perché quello che  viene fuori dalle note di questo affascinante lavoro, è un concentrato  di musica che affonda a piene mani le sue radici nella musica rock  progressive degli anni ’70, estremizzandola poi con influenze moderne  (Opeth tanto per citarne una) che affiorano lungo le undici songs che  compongono questo cd. Non siamo ancora di fronte ad un capolavoro ma di  sicuro le potenzialità, il tempo (il bassista ha solo 17 anni!!!), la  tecnica e le idee innovative, giocano a favore dell’ensemble rodigino.  Già dalla intro “Coalesce…” mi sento proiettato in un’altra epoca  storica, per quei suoi canti gregoriani; con “Coalesce Part I” i nostri  iniziano a pigiare sull’acceleratore e le atmosfere medievali mischiate  al metal che ne vengono fuori sono davvero suggestive: è come ascoltare  una sorta di Skyclad in versione più estrema, con un finale “pink  floydiano” da brividi. È la volta poi di “64 A.D. – Le Flambeau”, song  incentrata sul rogo di Roma: il death black dei nostri è raffinato e  arricchito da ottimi arrangiamenti, cambi di tempo, eccellenti parti  atmosferiche ed un uso quanto mai sapiente di tastiere e violino. Anche  le vocals non seguono i dettami del genere e variano tra un growling mai  troppo esasperato e un approccio cleaning, mai troppo pulito. Con “The  Navidson Record” emergono le influenze provenienti dagli Opeth: parti  acustiche, voci sussurrate, trame chitarristiche complesse, ma poi è la  personalità del quartetto ad emergere in un intreccio surreale tra le  graffianti chitarre e il funambolico violino dei fratelli Marco e  Riccardo Paltanin. Che goduria per le mie orecchie, era da tanto tempo  che non sentivo qualcosa che mi facesse finalmente sobbalzare dalla  sedia e per il momento i nostri ci stanno riuscendo alla grande.  Passando attraverso la tetra e operistica “Elysian Fields” si arriva a  “The Temptation Chronicles”, song strumentale in cui fa la sua comparsa  una vera e propria orchestra con tanto di violini, viola, violoncelli e  altri strumenti a fiato, un breve intermezzo che ci dà modo di respirare  e punto di incontro con la seconda parte del cd, molto più cattiva e  meno sperimentale rispetto ai primi eccezionali pezzi, ma state  tranquilli perché la magia che aleggia intorno a questo  interessantissimo lavoro non va perduta, complice forse anche la  registrazione (non proprio ai massimi livelli però) in un monastero del  17° secolo. A chiudere ci pensano altri due fantastici pezzi che  riprendono quanto proposto all’inizio di questo lavoro: l’intrigante e  schizzata title track e la “cradle filthiana” “Coalesce Part II”, song  ancora più furiosamente folk rispetto alla parte prima (anche qui  compare una dolce damigella come vocalist). Wow, che cavalcata ragazzi,  sono quasi frastornato da questo lavoro, che vado subito a riascoltarmi  per meglio apprezzare le qualità di questo combo che sperò possa far  parlare di sé ancora a lungo. Plauso finale per l’elegante e colorato  booklet interno. Complimenti, ce ne fossero di band con il coraggio di  questi Eloa Vadaath, il mondo musicale sarebbe certamente migliore…  (Francesco Scarci) 
(West Witch Records) 
voto: 75
voto: 75