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sabato 25 settembre 2010

Expedicion a las Estrellas - 27


Una delle cose più interessanti che mi sia capitato di ascoltare negli ultimi mesi viene dal Messico e quale piacere ammetto di aver provato udendo le sonorità contenute in questo piccolo gioiello, che mi hanno consentito di ampliare enormemente il mio spettro di ascolti. Pur non essendo infatti un grande amante di sonorità post-metal, con questo “27”, mi sono dovuto ricredere enormemente sulle potenzialità di un genere che ha invece un sacco da dire e gli EALE sono dei maestri in questo: un gruppo follemente geniale che ha concepito un album capace di coniugare il post-rock con plumbee atmosfere doom e grugniti (rigorosamente in spagnolo) in pieno stile black, senza disdegnare invasioni in territori (post)hardcore. Insomma, avrete capito da queste mie parole che qui dentro c’è n’è davvero per tutti i gusti e forse la difficoltà starà proprio nel saper coniugare tutti questi generi in un sol boccone, ma i nostri sono stupefacenti in questo, ve lo garantisco. Insomma non riesco a trattenere l’entusiasmo dopo aver ascoltato un cosi ben fatto album, era da tempo che non mi capitava. So che per voi è difficile decifrare tutte queste mie parole, ma dovete fidarvi di me ancora una volta, cercare l’album navigando in internet sul sito myspace della band e farlo vostro, rimarrete a bocca aperta anche voi, ascoltando solo i primi 4 pezzi (e ce ne sono 15 per più di 70 minuti di musica). Atmosfere rarefatte, ultra mega dilatate, si fondono con un gusto per la melodia assai originale, con un’alternanza di ritmiche frenetiche che ci portano repentinamente dall’headbanging più esasperato al frangente successivo, dove latineggianti chitarre acustiche dipingono tenui paesaggi autunnali, con la voce di Didier Garcia che dal primo all’ultimo minuto vomita nel microfono (da rivedere alla lunga l’utilizzo delle vocals). Tocchi di pianoforte ci deliziano nella furiosa “Nonostante la mia apparenza felice mi sento come se stessi morendo”, song che parte con un intro al limite del black old school e poi si alterna tra funambolici cambi di tempo in un susseguirsi vorticoso di suggestioni ipnotiche. Un malinconico violino apre “Suicidio Lunare”, song che se non fosse sempre per la sempre vetriolica voce, potremo trovare in un disco dei Mogway o degli Explosions in the Sky per quei suoi fraseggi raffinati, il pianoforte costantemente presente e le sue grigie deprimenti ambientazioni. Il quintetto di Zacatecas è veramente in gamba: più ci inoltriamo nei meandri di “27” e più riusciamo a cogliere questo alternarsi di post rock, hardcore, avantgarde e screamo che ben si amalgamano incredibilmente tra loro in un turbinio emozionale unico, senza precedenti che chiarisce la chiara e solida personalità della band centroamericana. “Phoenix” e “Androgyne…” sono altre due magnifiche songs, ove convergono tutte le mirabili influenze del combo messicano. Interessante anche il concept che si cela dietro a “27” che narra la storia di un viaggio verso le stelle e la riflessione sulla dualità tra il bene rappresentato dalla luce e il male delle tenebre. Insomma filosofia (citazioni di Nietzsche), cultura e religione (i Maya e la tanto declamata fine del mondo nel 2012), contribuiscono ad arricchire ulteriormente i contenuti di questo disco che vorrei citare anche per il suo digipack particolare. Escursioni jazz core, math e folk completano uno degli album più entusiasmanti io abbia ascoltato negli ultimi tempi. “27” (2+7=9 , il numero di Dio) sebbene mostri ancora qualche lacuna a livello di produzione o contenga qualche parte (specialmente sul finire del cd) ancora un po’ grezza, si conferma disco eccezionale e di grande intelligenza. Strepitosi! (Francesco Scarci)

(Self)
voto: 85