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giovedì 26 settembre 2013

Our Ceasing Voice – That Day Last November

#PER CHI AMA: Shoegaze, Gothic, Post Rock, Pink Floyd
Non è facile cominciare a scrivere di un disco che ti è piaciuto, e non poco, e non sapere bene come inquadrarlo. Non che sia un amante della classificazione e delle etichette a tutti i costi, anzi, tutt’altro, ma davvero risulta complicato dire che musica fanno gli austriaci Our Ceasing Voice. Per ora vi basti sapere che, se siete alla ricerca di un disco perfetto per le nottate autunnali che si stanno avvicinando, beh, questo “That Day Last November” è quello che fa al caso vostro. Non è cosa semplice capire da dove cominciare per descrivere esaustivamente la musica dei quattro. Potrei cominciare dalla seconda traccia, “Until Your Chest Explodes”, una ballata solenne che ricorda vagamente “Creep” dei Radiohead nella melodia, con alla voce il cantautore statunitense Matthew Ryan, e potrei dire che si tratta di una delle migliori canzoni che mi sia capitato di ascoltare negli ultimi tempi, ma è anche vero che si tratta di un’eccezione rispetto al resto del disco, caratterizzato invece dalla voce bassa e cavernosa di Reinhard Obermeir, una sorta di Roger Waters esalante l’ultimo respiro. Ecco, i Pink Floyd sono uno dei nomi ai quali il suono degli OCV richiama più di una volta, quelli iperrealisti di "The Wall" o quelli Gilmouriani e pacati di "The Division Bell", come nella splendida “One of These Nights”, dove però ad un certo punto entra un muro di chitarre shoegaze, lo stesso su cui ci eravamo infranti dopo i primi due eterei minuti di archi e tastiere nell’iniziale “Afterglow”, prima di essere trascinati da un’onda lenta di voci sovrapposte, sussurri e grida. Lungo tutto il disco si respira un’aria allo stesso tempo pacata e minacciosa, come nella notevole “What Used to Be a Battle Song”, dove la voce si fa urlata e dolente, o nell’intensissima “The Anniversary”, forse il vertice emotivo dell’intero lavoro, dove un crescendo strumentale post metal fa da sfondo per il doloroso racconto, quasi sussurrato ancora da Ryan, di un attentato terroristico vissuto da una prospettiva molto personale. Ma non c’è modo di allentare la tensione, come dimostra “The City That Once Had a Name”, che sposa ancora un lento incedere floydiano a chitarre pesanti ed un cantato strozzato e straziante. Sul filo dell’inquietudine viaggiano anche “Jaded”, tra arpeggi acustici e organi chiesastici, e la conclusiva “Like Wildfire”, che parte piano per poi tramutarsi in una cavalcata epica sorretta da stratificazioni chitarristiche. Menzione d’obbligo per una produzione scintillante, dai suoni curatissimi ma non per questo freddi, ad opera dello stesso Obermeir. Album scurissimo, come la sua copertina, ma in grado di entrarti dentro con facilità disarmante e di toccare tasti nascosti di sentimenti (troppo) a lungo sopiti. Mesmerico. (Mauro Catena)

(Frontal Noize - 2013)
Voto: 80

http://music.our-ceasing-voice.com/