#PER CHI AMA: Modern Death, Mercenary, Soilwork |
Dopo aver esplorato tutto il mondo, mi sembrava giusto che la nostra attenzione si focalizzasse anche alle piccole isole Fær Øer, arcipelago localizzato a nord della Scozia, ma in realtà regione autonoma di Danimarca. E questa piccolissima regione, la cui squadra nazionale di calcio abbiamo anche recentemente visto impegnata con gli azzurri, dà i natali a questi Synarchy, band dedita ad un modern death metal. Dieci rocciose tracce che si aprono con la melodica title track, che evidenzia subito le influenze a cui i nostri si rifanno: si tratta infatti di un certo death thrash melodico che prende spunto dalla tradizione swedish che vede in Soilwork, Darkane o Mercenary, i principali punti di riferimento. Dico subito che il sound del quintetto danese trasuda groove da tutti i pori e questo permette ai Synarchy di essere facilmente avvicinabili dagli amanti di sonorità “estreme” ma comunque melodiche, melodia che si esplica anche in brillanti assoli come nella seconda “Sært Tù Meg”, con la voce di Leon (tipico nome nordico) ad alternarsi tra un roccioso, ma assai comprensibile, e piacevole growl, e delle ruffiane clean vocals. La proposta dei Synarchy mi piace parecchio, anche se non propone nulla di nuovo, ma la carica che emana è energica, trascina, induce inevitabilmente ad un headbanging sfrenato. Il ruggito delle chitarre è assimilabile a quello dei leoni in cattività nella savana. Rabbiose, ritmate, mai veloci, spesso accompagnate da un piano in sottofondo, come accade in “Plague of Time”, piano che consente di diversificare leggermente la proposta dei nostri, che pur schiacciando l’occhiolino a destra e manca verso sonorità ruffiane, si presenta di certo come musica non indicata alle mammolette. Eccellente anche il lavoro dietro le pelli di Kim Joensen, preciso e dirompente, mentre i due axemen, si divertono non poco con la loro sei corde, disegnando ariose melodie. Il lavoro scivola via attraverso altri begli esempi di death melodico (da segnalare “Out of Breath”), ma all’altezza dell’ottava traccia, mi accorgo di essere un po’ saturo, anche perché in un genere come questo, non si possono avere tracce che superano i cinque minuti e “A Reason to Live”, che ne dura addirittura nove, pur essendo un po’ avulsa dal resto delle song, un po’ malinconia e romantica, finisce per stancare. E cosi i 62 minuti di “Tear Up the World” rischiano di fiaccare la proposta dei Synarchy che con questo lavoro, toppano solo a livello di lunghezza totale dell’album. Fosse durato infatti una ventina di minuti in meno, avrebbe meritato mezzo punto in più. Aiutati poi da una produzione cristallina, i Synarchy convincono appieno con il loro sound, ricco di chorus, groove e partiture che sfociano anche nel metalcore. Limiamo un attimo il punto nevralgico insito nell’eccessiva durata dei brani e probabilmente avremo trovato un’altra grande band… (Francesco Scarci)
(Tutl Records)
Voto: 70