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lunedì 1 maggio 2023

Stormhaven - Blindsight

#PER CHI AMA: Prog Death
Per i fedelissimi del Pozzo dei Dannati, il nome Stormhaven dovrebbe richiamare qualcosa nella vostra memoria. Recensii infatti nel 2019 il precedente lavoro della band francese, 'Liquid Imagery'. Il quartetto di Tolosa torna ora con questo nuovo 'Blindsight', una mazzata in pieno stomaco e una carezza in pieno volto, attraverso sei sole tracce (per oltre un'ora di musica). Il disco si apre con la dirompente "Fracture", e le sue fragorose ritmiche che chiamano in causa ancora una volta i vecchi Opeth in quelle cascate di riff e bordate alla batteria. Lo stesso dicasi del buon Zachary Nadal alla voce, bravo a districarsi tra un growling purulento e clean vocals che evocano anche qui il frontman degli svedesi, Mikael Åkerfeldt. Se ad una prima lettura, quello degli Stormhaven sembra più un "copia-incolla" degli Opeth, beh vorrei dirvi che la struttura dei brani, i cambi di tempo, la tecnica sopraffina, gli assoli, le parti acustiche, le trovate geniali, i cori e molto altro, sparigliano invece le carte, mettendoci in mano un lavoro solidissimo e assai figo. Questo per dire, che alla fine non me ne frega un cazzo se i nostri possono ammiccare più e più volte a quelli che per me un tempo (prima della famigerata sterzata stilistica) erano i maestri del prog death, quanto contenuto in 'Blindsight' infatti sembra raccogliere definitivamente il testimone dai master scandinavi, aggiungerci un tocco dei Ne Obliviscaris, a cui poi aggiungere una buona dose di personalità. Certo, al pari dei colleghi più famosi, anche in questo album troveremo lunghe partiture dissonanti di chitarra (quasi un tributo a 'My Arms, Your Hearse') come potreste ascoltare per lunghi tratti nella più sghemba "Vision", ma poi i nostri sembrano raccappezzarsi in lunghi e splendidi assoli melodici (scuola classic metal) e ottimi cori che rendono il tutto più fruibile anche in quegli spaventosi attacchi al fulmicotone; si ascolti il finale della stessa "Vision" per credere. Più lineare e ritmata "Shadow Walker", che per almeno i primi 120 secondi sembra rispettare i paradigmi del genere, per poi prendere la tangente e dar sfogo alla propria visione di death progressivo che noi non possiamo far altro che apprezzare, ascoltandolo in rigoroso silenzio, fino al nuovo inebriante assolo da urlo che chiude il brano (ma che lavoro stratosferico è stato fatto qui alle sei corde?). In successione arrivano poi "Hellion" e "Salvation", per altri 17 minuti di sonorità in cui gli Stormhaven si muovono in bilico tra prog, death, suoni sperimentali, classic rock, parti acustiche, e che vedono la band dare il meglio di sè, per un'esibizione davvero coinvolgente e avvolgente. Rimane ancora il classico mostro finale da affrontare, ossia gli oltre 24 interminabili minuti di "Dominion", ma chi glielo ha fatto fare a mettere in piedi un tessuto cosi complesso, mi domando? Comunque mi dò in pasto all'ultimo brano (ora capite anche perchè il disco dura 64 minuti), che sin dall'apertura si dimostra ubriacante a livello ritmico con cambi ritmici vertiginosi, sorretti da uno splendida, quanto inatteso, arpeggio di chitarra, mentre un saliscendi chitarristico ci porta diretti sulle montagne russe, con il vocalist che peraltro assume qui contorni più blackish, e i synth sembrano dare un taglio più sinfonico al tutto. Ma il brano è in continua evoluzione, dal black al prog death, a raffinate sonorità più dark rock oriented. Insomma, la tipica ciliegina sulla torta, che porta con sè nuovi suoni, nuove idee, granitici muri sonori, break atmosferici, un'alternanza vocale da paura e molto molto altro, segno dell'enorme maturità tecnico-compositiva raggiunta da questi straordinari musicisti francesi, di cui l'invito a dargli una chance, è ben qualcosa di più che un semplice consiglio. (Francesco Scarci)

martedì 19 marzo 2019

Stormhaven - Liquid Imagery

#PER CHI AMA: Prog Death, primi Opeth
Originari di Tolosa, gli Stormhaven sono un quartetto prog death che non va confuso con l'omonima band americana. I quattro francesi tornano a distanza di un paio d'anni dall'LP di debutto 'Exodus' con questo nuovo 'Liquid Imagery', dieci pezzi per farci capire come il sound dei nostri sia evoluto in questi 24 mesi e quale sia il loro attuale stato di forma. Il lavoro, che dovrebbe essere una sorta di concept album, narra la storia di un uomo in barca pronto ad affrontare la furia della tempesta. Il cd si apre con l'intro "A Wayward Course", che sembra proprio riflettere la narrazione del protagonista mentre si trova in mezzo alle onde del mare. Poi ecco palesarsi la burrasca attraverso il riffing di "The Storm" e la prima associazione mentale che mi viene spontanea è con il sound degli Opeth periodo di mezzo, anche se in questa traccia, le sfuriate ritmiche sfociano in un techno death talvolta parossistico che prende un po' le distanze da Mikael Åkerfeldt e soci. C'è da dire che comunque la proposta del quartetto transalpino è comunque varia in fatto di cambi di tempo, ed un certo cambio stilistico è da denotare anche a livello delle vocals, che si sbrogliano attraverso un growl possente e a delle altre più graffianti ma pulite. Interessante la porzione solistica con un intreccio di chitarre dal forte sapore classic metal. "Tides", il terzo brano per il quale la band ha peraltro rilasciato anche un video (peccato solo che si vedano i quattro musicisti suonare su sfondo nero e non ci sia alcuna attinenza con quanto dovrebbe richiamare il titolo), sottolinea la capacità di ricerca melodica che appartiene alla compagine originaria dell'Occitania. Dopo i suoi quattro minuti, arriva l'apertura acustica di "Starless Night" a narrare come il cielo stellato sia oscurato dall'incessante pioggia, quasi un parallelismo con la vita tormentata del protagonista. La traccia si presenta elegante e raffinata con ottime malinconiche melodie sia a livello vocale che di linee di chitarra. Poi l'esplosione di "Contemplation", l'unica tappa strumentale del disco, robusta ma sicuramente ispirata, pronta ad introdurre la lunga "Sirens", nove minuti in cui il progressive sembra avere la meglio sugli estremismi sonori della band. La song è di certo assai ritmata, qui gli Stormhaven non lesinano sulle rincorse della sei corde, le parti atmosferiche e i chiaroscuri ritmici, in quella che a mio avviso è la mia song preferita del disco. Ferocissima e dal piglio black è invece "Abyss", una scheggia incontrollabile di ritmiche frenetiche e schizoidi. Ancora un'intro acustica per i secondi iniziali di "Aurora", poi la song vira verso un sound atmosferico a cavallo tra death e black, che vede i nostri ammiccare pesantemente, in un altro break centrale acustico, sia a livello vocale che musicale, agli Opeth. Il disco va migliorando con le partiture prog death di "Vesper", una song piacevole e al contempo più ostica da ascoltare per quel suo rifferama destrutturato e contorto che trova un attimo di quiete nella parte centrale dove le clean vocals si affiancano all'acustica in una parte delicata, malinconica e decisamente più accessibile al pubblico. Il momento di quiete non dura però troppo, il growling maligno e il muro ritmico sono pronti a riprendere là dove avevano sospeso, pronti a ripartire con l'ultima "Echoes", dodici minuti in cui la compagine transalpina mette in campo tutto il proprio repertorio, passando più volte dall'acustica al black epico fino al prog death. Insomma, 'Liquid Imagery' è un disco ben architettato, ben concepito ed in ultimo anche ben suonato, che vede gli Stormhaven proseguire il loro percorso ripercorrendo le orme degli Opeth che furono. Speriamo solo non facciano la stessa fine. (Francesco Scarci)