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venerdì 20 settembre 2013

United Sons of Toil - When the Revolution Comes, Everything Will Be Beautiful

#PER CHI AMA: Post-hardcore, Fugazi, Shellac, Refused
La prima cosa da menzionare a proposito di questo disco e di questa band è che gli United Sons Of Toil non esistono più da circa un anno. La notizia buona è che i due terzi del gruppo fanno parte di un’altra formazione di cui abbiamo parlato da poco, ovvero i Tyranny is Tyranny. Quella cattiva è che gli USOT erano una gran band e questo loro ultimo lavoro, 2011, era un signor disco. Già, perché questo album dal titolo chilometrico (e anche piuttosto esplicativo dei contenuti, se non altro in termini di tematiche affrontate e su quale sia la parte della barricata frequentata dagli autori) è uno di quei dischi che non ci si stancherebbe mai di ascoltare, a patto di appartenere a quella categoria di persone per le quali il solo sentire nomi quali Dischord, AmRep e Touch & Go sortisca ogni volta l’effetto di un tuffo al cuore. Il suono di questo trio di Madison, Wisconsin, affonda infatti le proprie radici in quella terra fertile e meravigliosa che era il noise-rock sviluppatosi nel Midwest americano attorno alla metà degli anni '90 e di cui le etichette sopra citate sono state formidabili fertilizzanti e incubatrici allo stesso tempo. Quello che troverete in questo cd è un condensato i cui riferimenti sono ben identificabili e delimitabili andando dai Fugazi ai Tar, dai Refused agli Unwound fino agli Shellac, ma il modo in cui questi vengono trasferiti e impiegati nel linguaggio fa sì che si vada oltre l’omaggio e la citazione, permettendo agli USOT di apparire sempre, in ogni istante, sinceri, appassionati e serissimi. Quello della serietà è un altro punto da sottolineare: il lavoro è caratterizzato da una unità di tematiche e una visione che lo rendono quasi un concept album su una ipotetica, e nemmeno troppo velatamente auspicata, rivoluzione socialista. Il bello è che mancano del tutto le forzature e gli eccessi di seriosità che troppo spesso appesantiscono gli album tematici, togliendo loro spontaneità e freschezza. Ecco così che diventa difficile citare singoli pezzi, tanta e tale la qualità media, in un susseguirsi di trascinanti singalong, stop and go killer, coltri di feedback assordanti e ruvidezze assortite. Molto particolare anche l’accoppiata delle due voci, una più roca e profonda, l’altra più sottile, affilata e “screamo”. Difetti? Forse una maggiore varietà ritmica avrebbe reso il tutto davvero indimenticabile, difatti per la maggior parte ci troviamo di fronte a pezzi mid-tempo, ma è comunque un dettaglio. Massimo rispetto. (Mauro Catena)

lunedì 16 settembre 2013

Tyranny is Tyranny - Let It Come From Whom It May

#PER CHI AMA: Sonorità Post, Fugazi, Shellac, June of 44, Neurosis
Questa giovane band americana proviene dal Wisconsin ed è al primo lavoro completo autoprodotto. Ricordando che la band si esprime in versi di natura esplicitamente anticapitalisti, ci troviamo di fronte ad un lavoro ruvido e spigoloso, trasversalmente accarezzato da aperture ambient/post rock molto ricercate e vicine al movimento rumorista che fanno da contraltare ideale all'approccio noise rock che pervade tutto l'album. Il canto oltranzista alla Neurosis rende il tutto più duro ma in realtà la musica dei Tyranny is Tyranny si ispira a band di stampo meno metal optando per un suono più alternativo come i magici Shellac, passando per certe intuizioni chitarristiche di casa Fugazi in comunione con il vuoto esistenziale dei primi Mogwai e la scrittura astratta dei June of 44. Velatamente nella tipologia della registrazione usata, volutamente low-fi di qualità, troviamo anche un tocco di sanguigno e intelligente rock stile ultimi Pearl Jam, ovviamente tutto perennemente sotto lo sguardo magnetico del noise rock più radicale. Questo tipo di registrazione ne esalta la ruvidità sonora e li rende più compatti e maturi. Sottolineamo che la costruzione musicale si distanzia nettamente dalla famosa band di Seattle e ricordiamo le salde radici post-core dei Tyranny is Tyranny. L'album scivola velocemente, composto da sette tracce di cui le due finali ("The American Dream is a Lie" e "Always Stockholm, Never Lima") superano i sette minuti e mostrano tutta la vena lisergica/cinematico/psichedelica della band, lunghe suite musicali cariche di tensione e nervosissime che lasciano un nodo in gola, per il loro suono frastagliato e multi direzionale, fatto di stop improvvisi, atmosfere dilatate e un canto straziante che riporta alla mente la crudeltà di questo mondo. Una band autentica e senza fronzoli, che suona a nervi scoperti e a denti stretti. Una band tutta da scoprire! (Bob Stoner)

(Phratry Records - 2013)
Voto: 75

http://tyrannyistyranny.bandcamp.com/