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lunedì 26 marzo 2018

Hecate - Une Voix Venue d’Ailleurs

#PER CHI AMA: Black
Ecate, la dea madre, colei che regnava sui demoni malvagi, sulla notte, la luna, i fantasmi, i morti e la negromanzia. E su questi temi di miti, storia e letteratura, ecco insinuarsi la mefitica figura dei francesi Hecate proprio a ricordare la divinità greca, anche e soprattutto a livello di artwork. La musica poi dell'ensemble di Tours è votata ad un black primordiale, che lungo i sette brani di questo 'Une Voix Venue d’Ailleurs', trova modo di dar voce a una proposta arcigna, oscura che emerge veemente già a metà dell'opener "Silentium Dei", con un sound che non cede a troppi compromessi se non quelli di un corrosivo flusso black. "Consolamentum" apre con un bell'arpeggio, quasi una liturgia a onorare la dea madre e sulle cui note pizzicate di chitarra, s'instaura poi lo screaming fetido di Veines Noires in una traccia che corre malata con un approccio ferale vicino al post black, sebbene non manchino i cambi di tempo e le aperture melodiche in un caotico trambusto sonoro che non lascia troppo scampo. La furia del quintetto della valle della Loira viene mitigato solo nell'incipit della terza "Héraut Aux Balafres", un'altra song che di certo non vede deporre le armi da parte del combo transalpino, anzi sembra divenire sempre più battagliera. Un bel riffone dal sapore rockeggiante apre invece "Une Charogne", una traccia che trova poi modo di abbandonarsi al caos supremo. "Nous Enfants de Personne" è un altro brano che parte più delicatamente prima di trovare ampio sfogo nei vagiti sguaiati del frontman e in una porzione ritmica sempre estremamente serrata e veloce che strizza l'occhiolino ai mostri sacri del black svedese. Ancora tocchi raffinati di piano nell'inizio di "La Prunelle des Éveillés" (ma li troveremo anche al suo interno) e poi un caustico impasto sonoro che si dimena tra tiepidi rallentamenti e sfuriate assassine che si placano solo in un finale a cavallo tra suoni estremi ed orchestral-avanguardistici. Gli ultimi otto minuti sono affidati alle bordate di "Le Bruit du Temps", un pezzo che bilancia frustate black con passaggi più classici e dichiara finalmente la fine delle ostilità di questo secondo aspro lavoro degli Hecate, un viaggio di sola andata per l'aldilà. (Francesco Scarci)