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sabato 16 maggio 2020

Hyena/Mandrágora - Bite of Steel

#PER CHI AMA: Heavy Metal, primi Iron Maiden
Con questo split album facciamo conoscenza di altre due realtà della scena peruviana: gli Hyena sono un quintetto originario di Cajamarca, i Mandrágora invece arrivano da Nuevo Chimbote. 'Bite of Steel' l'occasione per vedere da vicino le due band, accomunate dal desiderio comune di dar voce all'heavy metal. Niente estremismi sonori quindi, il che si evince quando "Ready to Explote" dei Hyena fa la sua comparsa nel mio stereo con le sue cavalcate helloweeniane e i suoi chorus che sembrano invece chiamare in causa gli Over Kill. Poi è solo una tempesta di chitarre, le vocals di Miss Diana Cabanillas tirate all'acuto più acuto che c'è, quasi da spaccare i bicchieri. E poi tanto divertimento che non provavo dagli anni '80. Con "Rise Your Fist" addirittura rivivo il mio periodo Motley Crue di metà anni '80, periodo 'Shout at the Devil'. Ecco per chi non avesse bene in mente le date, il balzo indietro nel tempo è di ben 37 anni, non so se è chiaro. Questo per dire che la proposta degli Hyena, per quanto divertente possa essere (figo peraltro l'assolo della seconda traccia), non è proprio freschissima, il pesce comprato al mercato una settimana fa, tenuto fuori dal frezeer, puzzerebbe di meno, giusto per chiarirci le idee. Il che è dimostrato anche dalla successiva "Keep It True", il cui riff di chitarra potrebbe essere preso in prestito dagli Iron Maiden degli esordi, e a quel punto andremo indietro di oltre 40 anni. E con la quarta "It's Shout Rock n' Roll", i nostri sudamericani rischiano addirittura di impantanarsi nelle sabbie del rock heavy di anni '70 ricordando anche un che dei Saxon. Vediamo allora di verificare se i Mandrágora seguono le stesse orme dei loro compagni di viaggio o se la loro assai più lunga esperienza, li ha maturati un pochino. Sempre quattro le tracce a disposizione, dalle durate mediamente più lunghe. La lunga "Bitterness" è il biglietto da visita e l'ombra di Bruce Dickinson e compagni è li ad aleggiare, almeno fino a quando un'altra gentil donzella, alias María Orythia, fa la sua comparsa dietro al microfono a provare solo lontanamente ad emulare il suo esimio collega britannico con un risultato lontano anni luce dall'originale. Il sound poi strizza l'occhiolino al periodo "Powerslave" della Vergine di Ferro, i cui punti di contatto non si limitano al solo rifferama ma anche spudoratamente al basso che ha reso famoso nel mondo il sublime Steve Harris. Buona la porzione solistica, ma sottolineare qualcosa di originale in queste note è impresa ardua. Con "Death to the Witch" posso confermare per lo meno l'omogeneità di fondo del quintetto, a differenza della performance dei colleghi Hyena. Quindi qui il problema rimane semmai quale album degli Iron rievocare, in questa song ci sento un che di 'Piece of Mind' ad esempio, anche se la voce della frontwoman rischia di essere un supplizio per le mie orecchie. Più retrò invece il sound di "Lies" che, per quanto ricca di groove, mi indispone non poco e pertanto preferisco skippare all'ultima più moderna e d'acciaio "Never Surrender", quasi a palesare un differente periodo di stesura dei pezzi, ma anche a sancire la fine di uno split album che rischia di fare la gioia solo di pochi nostalgici del vecchio NWOTHM, presente escluso che continuerà ad amare solo ed esclusivamente gli originali. (Francesco Scarci)