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mercoledì 24 aprile 2019

Blackfield - Blackfield IV

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Prog Rock
Si porta malauguratamente a compimento il processo di de-Stefanerd-izzazione (di questo 'B-IV', S-W non firma nessuna canzone, né la produzione) e, parallelamente, si schiudono ancora un po' gli orizzonti musicali di questo 'Blackfield IV'. Sentite per esempio, con alternate fortune, le blande dissonanze liofilizzate che chiudono la più che discreta "Pills", oppure gli inopportuni campanelli natalizi di "X-ray" o, nelle melodie, una maggiore attenzione early-psych-beatlesiana ("Kissed by the Devil" e "Firefly"). Oppure ascoltate la giuliva crapuloneria pseudo-celtica della terribile ma divertente "Sense of Insanity", con uno svogliato S-W alla seconda voce, contemporaneamente riflettendo sul fatto che utilizzare Steven Wilson come seconda voce è un po' come usare Pelé come raccatapalle, oppure Glen Hughes come bassista. L'elemento di maggiore freschezza e novità sarebbe rappresentato dalle importanti ospitate (in "X-Ray" Vincent Cavanaugh degli Anathema, vi ricorderà un Paul Carrack disidratato in "The Sky With Diamonds"; in "The Only Fool is Me" – ma, accidenti, perché non in "Kissed by the Devil" – Jonathan Donahue dei Mercury Rev, vi sembrerà l'ex-giardiniere di John Lennon eccezionalmente di buonumore in una rara giornata di sole londinese; in "Firefly", Brett Anderson dei Suede, vi farà venire alla mente un attempato Gene Pitney che canta "Something's Gotten Hold of My Nose" alla prese con una insidiosa caccola recalcitrante) se soltanto fossero state integrate un po' più convintamente nella scialba (e cortissima) scaletta di questo quarto decadente album. (Alberto Calorosi)

(Kscope - 2013)
Voto: 58

https://www.blackfield.org/

giovedì 1 marzo 2018

Blackfield - Blackfield V

#PER CHI AMA: Progressive Rock
Distensivi (il singolo "Family Man" et molto al.) o corrucciati ("How Was Your Ride?" et poco al.) poppettini idroponici monocultivar seminati da Tel Aviv Geffen, arati a nido di porcospino da Steven King Wilson e incellofanati da Alan Prostatite Parsons, che vanno a costituire l'impronta di dinosauro di quest'album e, più in generale, dell'intera seconda reincarnazione Blackfield (da 'Welcome to My DNA' a questo 'Blackfield V' compresi: la ampiamente annunciata e pubblicizzata rinascita della partnership non è altro che una mozzarella di bufala). Torpidi lentoni 100% Blackfield-iani ("Sorrys", "October" et tantissimi al.), e qualche timidissima concessione progressive, cfr. l'ammorbidente in 7/8 erogato in "We'll Never Be Apart", oppure l'architettura traballante tardo(ne)-Yes di "Life is an Ocean", unica composizione firmata da entrambi gli spaventapasseri del Campo Nero. Ovunque, un registro narrativo (eccessivamente) patinato e trattenuto, nei testi (ascoltate il modo tristerello in cui A-G canticchia "my happiness" in "October") e nei contenuti sonori (cfr. "Lately", la canzone più tardo(ne)-Parsoniana dell'intero album) e, ahimè una diffusa, fragorosa mancanza di ispirazione. (Alberto Calorosi)