lunedì 8 dicembre 2025

Elfsgedroch - Voor de Groninger Poorten - Hoogmoed Eindigt in As

#PER CHI AMA: Atmospheric Black
L'EP 'Voor de Groninger Poorten, Hoogmoed Eindigt in As' degli olandesi Elfsgedroch, è un'immersione profonda nel black metal venato di lievi influenze folkloriche. L'EP è interessante in quanto le sue liriche rappresentano una cronaca in musica di un momento cruciale della storia olandese, ossia l'assedio di Groninga del 1672, noto anche come il Gronings Ontzet. A livello musicale tuttavia, la proposta non può dirsi altrettanto entusiasmante, in quando i tre brani che compongono l'EP, tra l'altro concepiti come capitoli narrativi, si dipanano con una musicalità alquanto piatta e scontata che non rende giustizia alle tematiche storiche affrontate. "1665 – De Slag bij Jipsinghuizen" alterna momenti furiosi a passaggi acustici, creando un contrasto dinamico che simboleggia la calma prima della tempesta. "1672 – De Opmars" ricomincia laddove si era conclusa la precedente song, ossia con una ritmica furiosa, un cantato che è un grido rauco e stridulo e un sound che cerca di trovare attimi di atmosfera per stemperare una ferocia intrinseca. La conclusiva "1672 – Gronings Ontzet" conclude l'assedio con una risoluzione quasi epica, in cui il riffing sembra farsi più celebrativo e compassato, pur mantenendo una tonalità cupa e severa. Alla fine però, non mi rimane nulla dentro, se non l'amarezza di aver sprecato una bella occasione di mettersi in mostra. (Francesco Scarci)

(Self - 2025)
Voto: 55

venerdì 5 dicembre 2025

Glorious Depravity - Death Never Sleeps

#FOR FANS OF: Death Old School
New York-based band Glorious Depravity is back with their essential sophomore effort, five years after the remarkably solid debut album ‘Ageless Violence,’ where this young band showed great devotion to 90s metal. The project consists of five members with a good degree of experience in the metal scene, as they are part of different projects that range from traditional heavy metal to more extreme tendencies. With Glorious Depravity, the focus was clear and plain: to display some brutality under the metal banner, with no room for modern tendencies.

'Death Never Sleeps' is the name of the new beast, and it confirms the potential of this band. From the eye-catching album artwork, which depicts a hellish landscape, it is clear that the band has done its best to outperform its debut. The production is faultless, clear yet powerful, allowing both the drums and the guitars to show their full potential and sound like a true wall that hits the listener from the very beginning. Doug Moore’s performance as the singer is undoubtedly one of the highlights of this album. His vocals are tremendous, and even though variety is not usually a characteristic in metal albums, he tries to add some nuances as he combines growls with different levels of depth and occasional high-pitched screams, like the ones you can hear in the devastating track "The Devouring Dust".

Pace-wise, the album is quite varied. Glorious Depravity successfully combines speedy sections with slower ones that are truly headbanging-inducing. I can easily imagine that songs like "Freshkills Poltergeist" or "Carnage at the Margins" could create some nice mosh pits at a concert, which is always a good sign for a metal album. One of my personal favorites is "Stripmined Flesh Extractor" with its relentless fury. This track could certainly create some chaos among fans. In each song, the fast, medium, and slower sections are excellently combined as these tempo changes flow naturally through the entire composition. The riffing is as heavy and solid as you can imagine; the whole album is full of crushing riffs that will make you move your head like crazy. There is almost no room for solo virtuosity, although the album closer "Death Never Sleeps" gives away a glimpse of it.

All in all, ‘Death Never Sleeps’ is a very good album that will delight die-hard fans of 90s metal. This effort, however, has a contemporary feel to its production that makes it sound fresh. In any case, expect no less than a classic and satisfying, neck-breaking dose of pure metal.

(Transcending Obscurity Records - 2025)
Score: 80

mercoledì 3 dicembre 2025

In the Woods... - Otra

#PER CHI AMA: Prog Death
Che cambio stilistico hanno fatto gli In the Woods... dai loro esordi a oggi! Li ho amati nel loro black primordiale ma atmosferico di 'Heart of the Ages', passando per le porzioni progressive di 'Strange in Stereo' e 'Three Times Seven on a Pilgrimage', fino ad arrivare alle ultime uscite, con "Otra" a riaffermare la band nella scena norvegese non come black metal puro, ma come una raffinata fusione di avantgarde, progressive e death melodico, in grado di richiamare l'epos degli Enslaved più riflessivi e la malinconia dei Katatonia. Una produzione pulita e atmosferica, essenziale per gli arrangiamenti complessi contraddistinguono il lavoro; le chitarre sono stratificate, bilanciando un rifferama accattivante a passaggi acustici e melodici, con il basso a pennellare una base progressiva e la batteria a privilegiare ritmiche elaborate. La voce è pulita, baritonale e drammatica, un recitato epico che troverà spesso modo di spezzarsi in scream e growl più crudi. Affidandosi a tematiche introspettive poi, i nostri ci consegnano sette nuovi pezzi: "The Things You Shouldn't Know" è una sintesi prog-black, "A Misrepresentation of I" è un pezzo più diretto con un groove marcato, mentre "The Crimson Crown" è una traccia più riflessiva e compassata nella sua ritmica possente ma pur sempre mid-tempo, che si spingerà verso orizzonti di Katatonia memoria, pur mantenendo presente il cantato growl. Poi spazio alle oscure atmosfere di "The Kiss and the Lie", un brano che dopo un tiepido approccio, deflagra in un'esplosione death melodica. "Let Me Sing" lascia intravedere qualche influenza folk rock, mentre le conclusive "Come Ye Sinners" e "The Wandering Deity" aprono a ulteriori orizzonti musicali, capitanati da Amorphis e soci. Insomma, 'Otra' è un album complesso, non proprio immediato di primo acchito, ma che necessita di ripetuti ascolti per capire la nuova dimensione musicale in cui gli In the Woods... saranno in grado di portarvi. (Francesco Scarci)

(Prophecy Productions - 2025)
Voto: 75

Meteora - Broken Mind

#PER CHI AMA: Symph Death
Gli ungheresi Meteora si ripresentano sulle scene con l'EP 'Broken Mind ', nonostante un altro EP sia uscito solamente ad agosto, ma in realtà, questo lavoro è il secondo capitolo di una trilogia. Il dischetto affonda inequivocabilmente le proprie radici nel death metal sinfonico, epico e grandioso, rievocando la maestosità orchestrale degli Epica, ma anche accostabile a certe sfuriate dei Dimmu Borgir, pur mantenendo una vena progressiva che ricorda i momenti più complessi degli After Forever. E per proporre questo sound, la produzione cristallina è un must, ideale per esaltare ogni strato sonoro: il muro di chitarre e gli arrangiamenti sinfonici sontuosi, tra pianoforti e i cori operistici affidati alla cantante della band, Noémi. La sezione ritmica è bella potente, e l'opener "Broken Mind" lo conferma subito, grazie a un basso che gronda presenza e una batteria dinamica che spazia tra cavalcate furenti (ma melodiche) e groove più compassati, mentre l'alternanza vocale si dipana tra la suadente e potente voce di Noémi e il growling possente di Máté Fülöp. "Morningstar" s'introduce con una vena più melodica, con la voce della frontwoman che tesse delicate linee vocali, un'esemplificazione del bilanciamento tra durezza e melodia che i Meteora hanno affinato nel corso della loro carriera. In "Elysion" compare invece un cantato maschile pulito che sottolinea la versatilità della band magiara, ma che non mi convince pienamente. Il pezzo migliore, a mio avviso, è la conclusiva "In My Name," il brano più lungo del lotto e forse anche quello più ambizioso, che funge da cattedrale sonora, dove tutte le caratteristiche della band convogliano in un unico punto: voci pulite maschili e femminili, riff pesanti sorretti da orchestrazioni sinfoniche e growl, accelerazioni rabbiose, interrotte solo da un intermezzo di piano e violoncello, rievocando le atmosfere più riflessive del doom, prima di riesplodere in un finale di intensità epica. 'Broken Mind' alla fine è un disco che, sebbene di breve durata, è denso e stratificato, un ascolto che mi sento di consigliare a tutti gli appassionati di sonorità sinfoniche ma che non disdegnano incursioni anche nel death metal più tecnico. Ora, non possiamo far altro che attendere il terzo capitolo. (Francesco Scarci)

(H-Music - 2025)
Voto: 70

lunedì 1 dicembre 2025

The Old Dead Tree - London Sessions

#PER CHI AMA: Gothic/Prog/Dark
I The Old Dead Tree sono sinonimo di qualità nella scena prog francese e non solo. Quasi trent'anni di esperienza, per carità inframmezzati da sospensioni della loro attività, e i cinque parigini sono ancora qui. Dopo l'ottimo lavoro dello scorso anno, 'Second Thoughts', ecco arrivare un EP registrato nientepopodimeno che negli Abbey Road Studios di Londra. Da qui 'London Sessions' appunto. Quattro pezzi che si muovono sempre con diligenza ed eleganza nei paraggi di un gothic dark rock possente e ispirato, e in cui la voce di Manuel Munoz la fa sempre da padrona. "Feel Alive Again" apre le danze con una dichiarazione d'intenti ben precisa, guadagnarsi la credibilità dell'ascoltatore con un prog dark ordinato, senza sbavature, e in cui i tremolo picking delle chitarre s'intrecciano con le vocals del frontman, in un contesto malinconico e atmosferico. Nessun atto di forza, non c'è voglia di stupire con chissà quali architetture musicali, ma il solo puro desiderio di emozionare. Un'emozione che si fa più riflessiva nella seconda "Time Has Come", in cui la linea melodica delle chitarre rimane compatta, ma in cui la voce di Manuel, forse si fa più rancorosa. Al contrario della successiva "By the Way", un brano uscito in realtà nel lontano 2005 nello straordinario 'The Perpetual Motion', e qui riproposta semplicemente in modo più cupo e languido, al pari dell'ultima "What Else Could We've Said" (anch'essa presente su 'The Perpetual Motion') per una più melliflua reinterpretazione, con tanto di archi a sostegno, di una vecchia hit della band, che alla fine mi fa riflettere se queste sessioni londinesi siano una semplice mossa commerciale o un dischetto a testimoniare la vitalità della band? A voi l'ardua sentenza. (Francesco Scarci)

(Season of Mist - 2025)
Voto: 70

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domenica 30 novembre 2025

The Pit Tips

Francesco Scarci

Waldgeflüster – Knochengesänge I
Astronoid - Stargod
Novembre - Words of Indigo

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Alain González Artola

H.E.A.T. - Welcome to the Future
Blackbraid - Blackbraid III
Sunken - Lykke

Oceans - We are Nøt Okay II

#PER CHI AMA: Metalcore/Nu Metal
Secondo capitolo per la saga "non stiamo ancora bene" degli abrasivi austro-tedeschi Oceans. Portatori di un post metal/metalcore, la band torna a distanza di un anno dall'album 'Happy', che buoni consensi aveva raccolto all'epoca, con questo 'We are Nøt Okay II'. I quattro musicisti proseguono il loro percorso musicale, in grado di mescolare sonorità a tratti caustiche con altre più malinconiche, frutto probabilmente di testi sempre convogliati verso tematiche di depressione e disturbi mentali. Temi pesanti insomma. Altrettanto la musica, bella tosta, ruvida e aggressiva, già a partire dall'opener "...Ghost" che in quasi quattro minuti, davvero smuove quei fantasmi che forse albergano, e non lo sappiamo, il profondo della nostra anima. Sonorità violente e voci urlate che vengono stemperate dalla delicatezza delle clean vocals e da parti più atmosferiche, come nel break al secondo minuto. Bel biglietto da visita, insomma. Fantasmi nu-metal si palesano invece nella seconda "Still Not Okay", che scomoda facili paragoni con i Korn, ma i cui cori super ruffiani e un cantato al limite del rap, ancora una volta, attenuano quella violenza che è possibile riscontrare in alcuni frammenti della song. La terza "Make me Bleed", il cui titolo sembra quasi voler evocare "Make me Bad" dei Korn, è una song più mid-tempo oriented almeno a livello ritmico, visto che il growling furibondo di Timo Rotten, sprigiona tutta la propria rabbia, a più riprese. A chiudere l'EP, ecco arrivare in soccorso "Atlas", aperta dalle delicate vocals del frontman, in un contesto decisamente più melodico ed educato, anche laddove le ritmiche sembrano accelerare più vorticosamente, a quasi un minuto dalla fine. Il risultato in conclusione, è soddisfacente e consigliato a tutti gli amanti del genere. Una stranezza da sottolineare: il lavoro è uscito su tutte le piattaforme digitali il 7 novembre eppure, non vi è traccia di questa release né sul sito ufficiale della band, né su Metal Archives. (Francesco Scarci)

(Self - 2025)
Voto: 70