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mercoledì 15 aprile 2015

My Shameful / Who Dies in Siberian Slush - The Symmetry Of Grief

#PER CHI AMA: Funeral Doom
Russia e Finlandia non sono mai state cosi vicine. Grazie ai My Shameful, da poco recensiti su queste stesse pagine e a chi ormai è un veterano del nostro sito, i russi Who Dies in Siberian Slush, ci andiamo a gustare uno split cd di 4 pezzi all'insegna di sonorità scure e contrite. Ovviamente sto parlando di funeral doom, tra l'altro di quello di pregevole fattura. Si parte con i venti minuti a disposizione della band moscovita, guidata dalle profonde growling vocals del suo frontman, Evander Sinque. "The Tomb Of Kustodiev" è la prima lunga e asfissiante traccia dell'album che mantiene tutti i caratteri distintivi dei nostri sia a livello della decadente e dolorosa musicalità che a livello solista, dove l'axeman Flint si diletta nell'uso del flanger, creando quel tipico effetto spaziale alle chitarre. La traccia è ovviamente permeata da un profondo senso di solitudine che si esplica attraverso un moto ondoso lento e flessuoso che sul finire del pezzo trova modo di sfociare in una danza bucolica, grazie all'utilizzo del flauto. Flauto che apre anche la seguente "And It Will Pass", song resa ancor più interessante, per l'uso marcato di un sinistro trombone che si posiziona tra le plettrate disarmoniche dei due chitarristi. Il sound è ovviamente lento e cadenzato, addolcito però dalla presenza costante della flautista A.Z.. Con i My Shameful si cambia registro pur rimanendo in un contesto funeral: il terzetto finlandese, come avevamo avuto modo di vedere, è fautore di un death doom meno evocativo e decisamente più ruvido. "The Land of the Living" e "Downwards" graffiano con un infingardo e malefico suono di chitarre, su cui il caustico Sami Rautio esplode la sua ferocia vocale. Fortunatamente le keys trovano modo di equilibrare un sound che altrimenti rischierebbe di peccare in indolenza. Cosi come pure le linee melodiche della seconda traccia, rendono la proposta dei My Shameful decisamente più digeribile. Se dovessi fare un confronto fra le due band, direi che i Who Dies in Siberian Slush si rivelano meno convenzionali e più attrattivi alle mie orecchie. Comunque i 35 minuti di 'The Symmetry of Grief' sono sufficienti per soddisfare i palati degli amanti del funeral doom in toto. (Francesco Scarci)

(MLF Records - 2014)
Voto: 70

martedì 24 settembre 2013

Who Dies In Siberian Slush - We Have Been Dead Since Long Ago...


#PER CHI AMA: Funeral Doom, Pantheist, Thergothon
Un nome, una garanzia. Una delle band più rappresentative della russa Solitude Productions, i Who Dies In Siberian Slush, tornano con "We Have Been Dead Since Long Ago..." un'altra opera di sofferenza e depressione, dopo il degno debut "Bitterness of the Years That Are Lost". Il suono si è evoluto, o per meglio dire, è morto nella fanghiglia siberiana dopo una quotidiana dose di vodka e droghe tagliate con il detersivo. La opener "The Day of Marvin Heemeyer" è la traccia più coinvolgente del disco, probabilmente grazie ai suoi tempi veloci e ai suoi riff oscuri, poco apprezzabile invece il flanger che incontro un paio di volte durante l'ascolto, perchè troppo invasivo, dato che non inficia solamente uno strumento, ma l'intera traccia. La parte centrale del disco rappresenta l'essenza del combo russo: troviamo tristi melodie, uptempi death metal, un diffuso minimalismo sonoro costantemente in chiave minore che esprime tutta la sofferenza del freddo boreale che ragginge il suo apice con "Funeral March N°14", composizione a dir poco estenuante che ci prepara per la chiusura di "Of Immortality", la traccia più completa del disco che equilibra tutti i particolari della band e che chiude perfettamente l'opera. In sostanza, un lavoro decisamente superiore alla media che grazie alle sue opprimenti sonorità trasmette tutto il male di vivere di questi giovani russi. Purtroppo c'è ancora qualche passo falso che compromette le potenzialità di questo lavoro per cui spero vivamente che la prossima volta i nostri riescano a confezionare un prodotto definitivo. (Kent)

lunedì 20 giugno 2011

Who Dies in Siberian Slush - Bitterness of the Years that are Lost


#PER CHI AMA: Death, Funeral Doom, My Dying Bride, Anathema
Rieccoci alle prese con la Solitude Productions e immagino che ormai anche voi come me, avrete già capito che cosa potrà racchiudere, a livello musicale, questo cd dalle tinte chiaro e oscure, addirittura fin dalla sua minimalista cover completamente in bianco e nero. Avete indovinato? Si esattamente, avete risposto correttamente. I russi Who Dies In Siberian Slush propongono un decadente funeral doom. Sorpresi? Io nemmeno un po’, anzi rimango un po’ deluso perché tanto e bene si era parlato del quintetto di Mosca a proposito dei demo usciti negli ultimi anni, mentre ”Bitterness of the Years that are Lost” si presenta come un canonino album death funeral, che fa del classico riffing desolante, pesante e tipicamente doom il suo marchio di fabbrica, fin dall’iniziale”Leave Me” sino alla conclusiva title track. È chiaro (fortunatamente) che ci siano dei picchi di interesse come l’apertura della prima traccia affidata ad un malinconico pianoforte e un riffing ancora una volta preso in prestito dai primissimi lavori di My Dying Bride e Anathema, quasi ci fosse nell’ultimo periodo, il desiderio dilagante di riprendere sonorità ormai andate e riproporle fino alla disperazione. Cosi come riportato nel nome della band, “Slush” (melmoso), il sound dei nostri si presenta molto statico, monolitico nel suo incedere, anche se per spezzare quella monotonia di fondo, l’ensemble moscovita, si gioca la carta della melodia, provando a rincorrere (con poco piglio però) la proposta degli svedesi Draconian, ma li siamo già su alt(r)i livelli. La band le prova tutte per staccarsi dalla rigidità e dal grigiore della propria proposta, quasi come se si fosse accorta di averla fatta grossa e cerchi rimedio in un intermezzo acustico di un pianoforte o in quello di un arpeggio di chitarra. L’atmosfera permane cupa e tenebrosa, con un senso di disagio interiore che continua a crescere lungo i 45 minuti di questo album di debutto. La lunga title track, aperta dal sospiro del vento, ci apre a gelidi paesaggi invernali, quelli tipici della tundra siberiana, con la sezione ritmica che finalmente si gode qualche inatteso sussulto, e la voce di E.S. che si districa tra un growling animalesco e qualche parte sussurrata. ”Bitterness of the Years That Are Lost” non sarà certo un lavoro che rimarrà negli annali del genere funeral, tuttavia è un cd che gli amanti di sonorità depressive e malinconiche dovrebbero avere nella propria discografia. Infelici. (Francesco Scarci)

(Solitude Productions)
Voto: 65