#PER CHI AMA: Post Metal, Cult of Luna, *Shels |
Una delle cose che più mi fa incazzare è quando una band fantastica come quella che sto per recensire, non viene notata da nessuna etichetta e una release come quella degli australiani Islands, finisca per passare totalmente inosservata anche dagli addetti ai lavori, soprattutto a causa di un'uscita unicamente digitale. In questo caso, al Pozzo abbiamo voluto fare uno strappo alla regola proprio per poter dare valore ad una release davvero interessante in un ambito a dir poco intasato ultimamente come quello del post metal. 'Islands' è un lavoroche consta di 5 pezzi che avanzano lenti e carichi di groove. I punti di riferimento? Gli onnipresenti Cult of Luna, ormai vera e propria istituzione per il genere, tanto da aver a mio avviso surclassato gli ormai disciolti Isis, gli sperimentalismi dei The Ocean e la rigida integrità dei Neurosis. Gli Islands partono da questo sound, offrendo uno spaccato di desolati paesaggi invernali e arricchendolo di qualche orpello tipico di quegli australiani, popolo da sempre ricco di idee innovative. E cosi dopo l'iniziale “Golden Path”, i nostri si mettono a giocare con i riverberi di “Hand Built View”, song che si muove tra il post rock/metal e il progressive, offrendo splendide melodie, qualche bel chitarrone pesante, vocals tra il growl e lo screaming e un'ascendente progressione di suoni e colori, in uno sbarluccichio di emozioni che esaltano la prova di questi ragazzi. Non so se queste mie parole bastino per convincere in primis le etichette, poi chi legge, che abbiamo a che fare con una band dotata di enorme talento che può veramente rivoluzionare un genere. “Clouds Mistaken for Smoke” è una traccia strumentale di dieci minuti che vive di splendide ambientazioni post rock prima di ruggire con eccelse linee di chitarra in un ipnotico viaggio che per certi versi mi ha ricordato le ultime cose degli *Shels miscelati con le melodie dei Ne Obliviscaris. Spettacolari. “March” è il brano più oscuro dei cinque, ma anche il più corto e forse quello che meno riflette i contenuti fin qui uditi, che si fa ricordare solo per l'utilizzo pulito della voce e poco più. Arriviamo ai 13 minuti finali di “I, Destroyer” e ancora gli Island possono dirsi bravi nell'aver riscritto e ampliato i limiti che questo genere ha ancora da offrire, in una song corrosiva, ma comunque pregna di malinconia e dotata di un'accattivante componente progressive/post-hardcore. Inutile ribadire la grandiosità dei suoni contenuti in questo album omonimo, non potete fare altro che collegarvi alla loro pagina bandcamp e scaricarvi (peraltro gratuitamente) il loro lavoro e se anche voi lo apprezzerete come il sottoscritto, beh potreste anche lasciare la vostra offerta per stimolarne la messa su cd. Sarebbe un delitto ignorarli. (Francesco Scarci)
(Self - 2013)
Voto: 85