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sabato 5 maggio 2012

Opera IX - Strix – Maledictae In Aeternum

#PER CHI AMA: Black esoterico
*"Qui la turba malvagia, non paga dei prolungati eccitamenti delle torture, si saziò di sangue innocente. Salva ora la patria, abbattuto ormai il covo del lutto, là dove imperversò la morte rifulgono oggi vita e benessere." Edgar Allan Poe – “Il Pozzo e il Pendolo”.

Sperate di non ricevere mai l'invito per un rituale di magia nera, naturalmente voi non saprete che si tratterà di quello, soprattutto perché l'invito vi giungerà certo da parte di qualcuno di cui vi fidate, ciecamente, da sempre. Di qualcuno per il quale sareste disposti a mettere la mano sul fuoco. Dubitate ancor di più, e soprattutto, se quel qualcuno, di giorno, predica bene. Rimarrete certo sconvolti o ancor peggio morti, a seguito di quel che vi potrebbe accadere, o che sicuramente vedrete accadere, se sarete un po’ più "fortunati", rispetto a qualcun altro. Vi cambierà per sempre. Indietro non potrete più tornare (Requiescat in pace). Sarete volti al male, per sempre. Una sola esitazione, il ripensamento di un attimo, vi condurrà ancor più velocemente alla bara. No. Non ci sarà nessuna bara per voi. La verità è un'altra: sparirete per sempre, all'improvviso, senza lasciare la minima traccia. Di voi parleranno, forse, solo i telegiornali e, se non contate niente, per poco tempo. Vi ho reso partecipi del pensiero vomitato dalla mia mente, evocato per voi dall'ascolto dell'intro "Strix the prologue" degli Opera IX. Ammesso che non abbiate già troppa paura, spero continuerete a sanguinare in mia compagnia, leggendo, perché sarò ben felice di farvi da Polia della situazione e di condurvi, per mano, in questo hypnerotomachico onirico viaggio di "Strix Maledictae in Aeternum", concept album sulla stregoneria. I primi centocinquantaquattro secondi spettano all'intro: un talentuoso artificio di tastiera mi trascina nella più profonda delle ipnosi, un viaggio alla suspiria, senza ritorno, nel tempo, verso il 1313. Mi lascio corteggiare, sedurre, avvolgere, da queste torbide, malsane, atmosfere aiutato anche da una suadente voce femminile. Non ho dubbi, si tratta di una strega: mi sussurra, sbiadita, tra fulmini, saette e canti gregoriani. Parte "1313 (Eradicate the False Idols)", a differenza della prima, è cantata. Uno scream cupo, pieno, che urla come Dio comanda e mi regala un'altra scena: stavolta mi trovo in una piazza e vesto il saio. Si, sono un frate cappuccino dell'Ordo Fratrum Minorum Capuccinorum, ordine che al tempo ancora non esisteva, sarebbe infatti nato poco più di due secoli dopo. Là, proprio di fronte a me, in mezzo ad una folla esaltata, vedo svolgersi la solita pantomima. Una giovane donna, bellissima, dai lunghi capelli neri, seminuda, è stata piantonata ad un palo. Visibilmente malmenata, non mi stupirei se stuprata poco prima dai suoi stessi inquisitori, è sotto lo sguardo crudele della folla assatanata. Tutti gli occhi, iniettati di sangue, sono volti a lei. Sono volti al male. Tutti la additano: Strega! Strega! Loro sono nel giusto, si, perche... credono. Un mefitico substrato di tastiere, come nebbia, si diffonde tra la gente. E' sotto l'influenza di questo malefico manto che la folla si fa’ ancor più violenta, più spavalda. Vi si insinua dentro un vero e proprio empatico odio collettivo. Un assolo di chitarra, come una frusta, sferza uno squarcio alla folla ed eccolo: l'inquisitore, dinanzi a lei, con lo scream che prima vi ho descritto, cita il ben noto versetto del Vangelo di Giovanni (15,6) grazie al quale per secoli, il rogo è stato giustificato: "Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca, e poi li raccolgono e li gettano nel fuoco e li bruciano." Parti lente concedono, a tratti, qualche intarsio di veloce doppia cassa. Un rullo cadenzato, rende trionfale questa specie di marcia ed anche se con qualche sbavatura, colgo comunque quell'attimo: la fiaccola che viene calata sul rogo, le fiamme che divampano. Con quest'ultima immagine vi proietto nella successiva "Dead Tree Ballad" si parte con una batteria trionfale, da parata. Odo poi ancora quelle tastiere che fanno sesso con batteria di un di gusto che non vi dico perché voglio che lo sentiate voi stessi. Buone ma non ottime le rullate sui tom ma quella tastiera è degna di far da organo nella più meravigliosa delle gotiche cattedrali. Vedo i gargoyles prostrarsi ad essa, idolatrano il tastierista come una sorta di pifferaio magico. La batteria semina qualche peccato qua e là. Ricordo che al tempus fugit, se non si era "sin pecado" si bruciava. Nel complesso, comunque, anche questa track mi è piaciuta, mi ha lasciato qualcosa. Segue un secondo intro, "Vox In Rama (Part 1)". Canti in latino e cembali cui prima non avevo accennato, ma che comunque cadean, ogni tanto, qui è là, come coriandoli e l'atmosfera da oscuro rituale è garantita. Era l'introduzione per la successiva "Vox In Rama (Part 2)" un amalgama di scream e batteria che dapprima lenta, si fa poi più veloce, cadenzata, ma senza eccessi. "Mandragora" parte con un buon solo di chitarra anche se la sviolinata di batteria mi lascia un po’ perplesso. Ancora una volta l'entrata della tastiera mi salva da tutti i mali. Seguono "Eyes in the Wheel" su cui non mi soffermo perché ritroviamo un po’ tutti gli ingredienti di cui già vi ho in precedenza accennato. Con l'attacco di "Earth and Fire", riprendo la storia della strega da dove l'avevo lasciata. Le fiamme che divampano e la folla che urla. Ma le vere urla, strazianti, stavolta provengono dalla strega. Le fiamme infatti cominciano a lambirla, ad accarezzarla. Osservo le sue carni sciogliersi, sotto l'effetto del fuoco, ne intravedo le prime superfici del teschio sotto quei pochi lembi di carne che ancora vi restano adesi. Quello che prima era il suo bel viso, adesso si scioglie e cola sotto i miei occhi. Come una candela, si sfalda e pian piano si raggruma, accesa da un pellegrino nella più tetra e oscura delle cripte. I suoi denti ormai insanguinati brillano rossi e accesi come rubini ardenti e poi cadono, tra le fiamme, che si fanno sempre più fameliche e carnivore. Lasciano il nulla dove prima c'erano quelle sue curve voluttuose. Chitarra e scream vocale mischiati al sangue come in un calderone, marchiano nella mia mente quel suo crepitare. Quegli... scoppi. Quell'odore. Segue un'altro intro, anche questo molto suggestivo e ad effetto: "Ecate - The Ritual (Intro)". Mette una certa ansia, devo ammetterlo, ascoltatevelo al buio, magari da soli, in un posto sinistro e vi assicuro che a più di qualcuno metterà una certa paura. Degno di un Sabbah. E su questa parola mi sovviene un'altra immagine, una vera e propria opera d'arte questa volta. "Il Sabba delle Streghe" di Francisco Goya che Baudelaire, in “Fari” (ne “I Fiori del Male”), descriveva così la sua pittura: "incubo colmo d’arcani senza fine; feti cotti in un sabba, su qualche orrida balza; laide streghe allo specchio; ignude ragazzine che per tentare il diavolo si tiran su la calza.". Queste parole, rendono in modo eccezionale l'idea del rituale. Seguono "Ecate" e "Nemus Tempora Maleficarum". Anche qui non si perde certo l'occasione per descrivere un altro oscuro rito, svolto nella notte di San Giovanni e dedicato agli arcani elementi. Vi si citano persino i pianeti. Spetta ad "Historia Nocturna" dare il giro di boa a questo disco, a chiudere questo diabolico girone infernale che per solo averlo ascoltato, colloca al di là di ogni ragionevole dubbio, la mia anima, se mai una ne ho avuta, nel Cerchio VI, quello degli eretici. Quasi dimenticavo, non vi ho raccontato che fine ha fatto la strega: Riesce, prima di andarsene per sempre, a lanciare il suo ultimo anatema:

"Impia tortorum longos hic turba furores sanguinis innocui, non satiata, aluit. Sospite nunc patria, fracto nunc funeris antro, mors ubi dira fuit vita salusque tenent"*

(Rudi Remelli)

(Agonia Records)
Voto: 80