lunedì 8 dicembre 2025

Asunojokei - Think of You

#PER CHI AMA: Blackgaze/Post Hardcore
Il terzo album dei giapponesi Asunojokei, 'Think of You', rappresenta un ulteriore e deciso passo avanti nella definizione del loro stile unico, da loro battezzato Blackened J-Rock. Questa particolarissima commistione di blackgaze, prende vita grazie a un sapiente equilibrio tra la grinta del black metal atmosferico e l’eleganza melodica tipica del pop e del post-hardcore nipponico. È un mix che s'ispira a illustri predecessori come i Deafheaven, ma che porta queste sonorità su un piano inedito, aggiungendo una profondità emotiva rara. La produzione è incredibilmente pulita, fin quasi al limite della perfezione per un genere che solitamente abbraccia una certa ruvidità sonora. Questo rende però possibile cogliere ogni singolo dettaglio degli arrangiamenti. Le chitarre di Kei Toriki brillano con un carattere cristallino, dove i riff in tremolo picking si distendono in melodie aperte e luminose. Il basso fretless di Takuya Seki dona una dimensione jazzata che sorprende per quanto s'integri naturalmente nel tessuto sonoro. Alla batteria, Seiya Saito si muove con estrema versatilità tra frenetici blast beat e passaggi più lenti e riflessivi. Dal canto suo, Daiki Nuno si destreggia tra urla screamo cariche di intensità emotiva e linee vocali pulite molto più confidenziali rispetto ai lavori precedenti. Ci sono momenti in cui il suo screamo, talvolta dal taglio quasi punk, può sembrare un po' in contrasto con la ricchezza strumentale, ma questa scelta aggiunge una tensione che non passa inosservata. L’album si apre con "Dawn", una traccia che funge da dichiarazione d’intenti. Qui i toni post-hardcore iniziali sbocciano in una travolgente esplosione blackgaze, stabilendo subito il mood del disco. "Stella" è un altro snodo fondamentale: i delicati arpeggi iniziali creano un’atmosfera sospesa che viene poi interrotta da growl rabbiosi, in un gioco di contrasti tra presente e ricordi più oscuri. "Angel" si distingue per una tonalità più melodiosa nella sua apertura e si impreziosisce ulteriormente con un assolo di basso sinuoso e jazzato che sembra quasi avvolgere l'ascoltatore nel cuore della notte, prima di sfociare nell’inevitabile climax sonoro. Il richiamo ai Deafheaven rimane ben percepibile lungo tutto l’album, ma gli Asunojokei sanno come affermare la propria identità, seppure con influenze evidenti. Ad esempio, in "Zeppelin", il gruppo intraprende un viaggio che parte da un’introduzione emo-punk dal taglio malinconico per arrivare a esplosioni di riff travolgenti e orecchiabili. Questa traccia emerge come uno degli inni più memorabili del disco, rimanendo impressa nella mente molto dopo l’ascolto. 'Think of You' alla fine brilla per personalità: ogni brano mostra la maturazione della band, sia nella composizione che nelle intenzioni emotive. Il risultato è un lavoro potente e ben definito, in grado di sposare la forza del metal con una sensibilità più melodica e riflessiva. È una colonna sonora perfetta sia per le giornate illuminate dal sole sia per le notti cariche di malinconia. Un ascolto consigliatissimo per chi ama il lato più emozionale e intimo del metal, dove le atmosfere "gaze" prendono il sopravvento sull’austerità tipicamente associata al genere. (Francesco Scarci)

(Vinyl Junkie Recordings - 2025)
Voto: 73

Tsorvat - Reflections of Solitude

#PER CHI AMA: Suicidal Black Metal
M piace andare a pesca negli acquitrini più isolati, lo trovo decisamente stimolante. Il pescato di oggi mi porta negli States con la one-man band dei Tsorvat e il demo di debutto, 'Reflections of Solitude', che si colloca nella scia del depressive suicidal black metal, con riferimenti stilistici che vanno dai primi Shining (quelli svedesi) agli umori rarefatti e disperati di altre formazioni più atmosferiche (Lustre). Come spesso accade in questi casi però, non si va a reinventare la ruota, si prova semmai a farla girare nel modo più corretto per i canoni del genere. Questo per sottolineare che il mastermind originario della California, non propone nulla di nuovo, regalando riff glaciali, tetri e al contempo introspettivi in un contesto estremo, mitigato dalla presenza di sinistre tastiere ("From the Ruins of Memory"), quasi una rinnovata versione dei Burzum dei tempi d'oro, quelli dotati di un suono monotono e ipnotico, in cui il gracchiato isterico delle vocals s'insinua in una ritmica in cui la batteria predilige blast beat veloci ("White Nail") per contrastare la melodia delle chitarre o un sound che si farà decisamente più oscuro ("The Murmuring Grove"). La catarsi si raggiunge nella conclusiva "Spiritbound", il pezzo migliore del lotto, per frenesia, convinzione, melodie e disperazione delle sue vocals. Insomma, un disco per pochi fan incalliti del depressive, che cercano nella musica, uno specchio delle proprie angosce più profonde. (Francesco Scarci)

(Self - 2025)
Voto: 61

Elfsgedroch - Voor de Groninger Poorten - Hoogmoed Eindigt in As

#PER CHI AMA: Atmospheric Black
L'EP 'Voor de Groninger Poorten, Hoogmoed Eindigt in As' degli olandesi Elfsgedroch, è un'immersione profonda nel black metal venato di lievi influenze folkloriche. L'EP è interessante in quanto le sue liriche rappresentano una cronaca in musica di un momento cruciale della storia olandese, ossia l'assedio di Groninga del 1672, noto anche come il Gronings Ontzet. A livello musicale tuttavia, la proposta non può dirsi altrettanto entusiasmante, in quando i tre brani che compongono l'EP, tra l'altro concepiti come capitoli narrativi, si dipanano con una musicalità alquanto piatta e scontata che non rende giustizia alle tematiche storiche affrontate. "1665 – De Slag bij Jipsinghuizen" alterna momenti furiosi a passaggi acustici, creando un contrasto dinamico che simboleggia la calma prima della tempesta. "1672 – De Opmars" ricomincia laddove si era conclusa la precedente song, ossia con una ritmica furiosa, un cantato che è un grido rauco e stridulo e un sound che cerca di trovare attimi di atmosfera per stemperare una ferocia intrinseca. La conclusiva "1672 – Gronings Ontzet" conclude l'assedio con una risoluzione quasi epica, in cui il riffing sembra farsi più celebrativo e compassato, pur mantenendo una tonalità cupa e severa. Alla fine però, non mi rimane nulla dentro, se non l'amarezza di aver sprecato una bella occasione di mettersi in mostra. (Francesco Scarci)

(Self - 2025)
Voto: 55

venerdì 5 dicembre 2025

Glorious Depravity - Death Never Sleeps

#FOR FANS OF: Death Old School
New York-based band Glorious Depravity is back with their essential sophomore effort, five years after the remarkably solid debut album ‘Ageless Violence,’ where this young band showed great devotion to 90s metal. The project consists of five members with a good degree of experience in the metal scene, as they are part of different projects that range from traditional heavy metal to more extreme tendencies. With Glorious Depravity, the focus was clear and plain: to display some brutality under the metal banner, with no room for modern tendencies.

'Death Never Sleeps' is the name of the new beast, and it confirms the potential of this band. From the eye-catching album artwork, which depicts a hellish landscape, it is clear that the band has done its best to outperform its debut. The production is faultless, clear yet powerful, allowing both the drums and the guitars to show their full potential and sound like a true wall that hits the listener from the very beginning. Doug Moore’s performance as the singer is undoubtedly one of the highlights of this album. His vocals are tremendous, and even though variety is not usually a characteristic in metal albums, he tries to add some nuances as he combines growls with different levels of depth and occasional high-pitched screams, like the ones you can hear in the devastating track "The Devouring Dust".

Pace-wise, the album is quite varied. Glorious Depravity successfully combines speedy sections with slower ones that are truly headbanging-inducing. I can easily imagine that songs like "Freshkills Poltergeist" or "Carnage at the Margins" could create some nice mosh pits at a concert, which is always a good sign for a metal album. One of my personal favorites is "Stripmined Flesh Extractor" with its relentless fury. This track could certainly create some chaos among fans. In each song, the fast, medium, and slower sections are excellently combined as these tempo changes flow naturally through the entire composition. The riffing is as heavy and solid as you can imagine; the whole album is full of crushing riffs that will make you move your head like crazy. There is almost no room for solo virtuosity, although the album closer "Death Never Sleeps" gives away a glimpse of it.

All in all, ‘Death Never Sleeps’ is a very good album that will delight die-hard fans of 90s metal. This effort, however, has a contemporary feel to its production that makes it sound fresh. In any case, expect no less than a classic and satisfying, neck-breaking dose of pure metal.

(Transcending Obscurity Records - 2025)
Score: 80

mercoledì 3 dicembre 2025

In the Woods... - Otra

#PER CHI AMA: Prog Death
Che cambio stilistico hanno fatto gli In the Woods... dai loro esordi a oggi! Li ho amati nel loro black primordiale ma atmosferico di 'Heart of the Ages', passando per le porzioni progressive di 'Strange in Stereo' e 'Three Times Seven on a Pilgrimage', fino ad arrivare alle ultime uscite, con "Otra" a riaffermare la band nella scena norvegese non come black metal puro, ma come una raffinata fusione di avantgarde, progressive e death melodico, in grado di richiamare l'epos degli Enslaved più riflessivi e la malinconia dei Katatonia. Una produzione pulita e atmosferica, essenziale per gli arrangiamenti complessi contraddistinguono il lavoro; le chitarre sono stratificate, bilanciando un rifferama accattivante a passaggi acustici e melodici, con il basso a pennellare una base progressiva e la batteria a privilegiare ritmiche elaborate. La voce è pulita, baritonale e drammatica, un recitato epico che troverà spesso modo di spezzarsi in scream e growl più crudi. Affidandosi a tematiche introspettive poi, i nostri ci consegnano sette nuovi pezzi: "The Things You Shouldn't Know" è una sintesi prog-black, "A Misrepresentation of I" è un pezzo più diretto con un groove marcato, mentre "The Crimson Crown" è una traccia più riflessiva e compassata nella sua ritmica possente ma pur sempre mid-tempo, che si spingerà verso orizzonti di Katatonia memoria, pur mantenendo presente il cantato growl. Poi spazio alle oscure atmosfere di "The Kiss and the Lie", un brano che dopo un tiepido approccio, deflagra in un'esplosione death melodica. "Let Me Sing" lascia intravedere qualche influenza folk rock, mentre le conclusive "Come Ye Sinners" e "The Wandering Deity" aprono a ulteriori orizzonti musicali, capitanati da Amorphis e soci. Insomma, 'Otra' è un album complesso, non proprio immediato di primo acchito, ma che necessita di ripetuti ascolti per capire la nuova dimensione musicale in cui gli In the Woods... saranno in grado di portarvi. (Francesco Scarci)

(Prophecy Productions - 2025)
Voto: 75

Meteora - Broken Mind

#PER CHI AMA: Symph Death
Gli ungheresi Meteora si ripresentano sulle scene con l'EP 'Broken Mind ', nonostante un altro EP sia uscito solamente ad agosto, ma in realtà, questo lavoro è il secondo capitolo di una trilogia. Il dischetto affonda inequivocabilmente le proprie radici nel death metal sinfonico, epico e grandioso, rievocando la maestosità orchestrale degli Epica, ma anche accostabile a certe sfuriate dei Dimmu Borgir, pur mantenendo una vena progressiva che ricorda i momenti più complessi degli After Forever. E per proporre questo sound, la produzione cristallina è un must, ideale per esaltare ogni strato sonoro: il muro di chitarre e gli arrangiamenti sinfonici sontuosi, tra pianoforti e i cori operistici affidati alla cantante della band, Noémi. La sezione ritmica è bella potente, e l'opener "Broken Mind" lo conferma subito, grazie a un basso che gronda presenza e una batteria dinamica che spazia tra cavalcate furenti (ma melodiche) e groove più compassati, mentre l'alternanza vocale si dipana tra la suadente e potente voce di Noémi e il growling possente di Máté Fülöp. "Morningstar" s'introduce con una vena più melodica, con la voce della frontwoman che tesse delicate linee vocali, un'esemplificazione del bilanciamento tra durezza e melodia che i Meteora hanno affinato nel corso della loro carriera. In "Elysion" compare invece un cantato maschile pulito che sottolinea la versatilità della band magiara, ma che non mi convince pienamente. Il pezzo migliore, a mio avviso, è la conclusiva "In My Name," il brano più lungo del lotto e forse anche quello più ambizioso, che funge da cattedrale sonora, dove tutte le caratteristiche della band convogliano in un unico punto: voci pulite maschili e femminili, riff pesanti sorretti da orchestrazioni sinfoniche e growl, accelerazioni rabbiose, interrotte solo da un intermezzo di piano e violoncello, rievocando le atmosfere più riflessive del doom, prima di riesplodere in un finale di intensità epica. 'Broken Mind' alla fine è un disco che, sebbene di breve durata, è denso e stratificato, un ascolto che mi sento di consigliare a tutti gli appassionati di sonorità sinfoniche ma che non disdegnano incursioni anche nel death metal più tecnico. Ora, non possiamo far altro che attendere il terzo capitolo. (Francesco Scarci)

(H-Music - 2025)
Voto: 70

lunedì 1 dicembre 2025

The Old Dead Tree - London Sessions

#PER CHI AMA: Gothic/Prog/Dark
I The Old Dead Tree sono sinonimo di qualità nella scena prog francese e non solo. Quasi trent'anni di esperienza, per carità inframmezzati da sospensioni della loro attività, e i cinque parigini sono ancora qui. Dopo l'ottimo lavoro dello scorso anno, 'Second Thoughts', ecco arrivare un EP registrato nientepopodimeno che negli Abbey Road Studios di Londra. Da qui 'London Sessions' appunto. Quattro pezzi che si muovono sempre con diligenza ed eleganza nei paraggi di un gothic dark rock possente e ispirato, e in cui la voce di Manuel Munoz la fa sempre da padrona. "Feel Alive Again" apre le danze con una dichiarazione d'intenti ben precisa, guadagnarsi la credibilità dell'ascoltatore con un prog dark ordinato, senza sbavature, e in cui i tremolo picking delle chitarre s'intrecciano con le vocals del frontman, in un contesto malinconico e atmosferico. Nessun atto di forza, non c'è voglia di stupire con chissà quali architetture musicali, ma il solo puro desiderio di emozionare. Un'emozione che si fa più riflessiva nella seconda "Time Has Come", in cui la linea melodica delle chitarre rimane compatta, ma in cui la voce di Manuel, forse si fa più rancorosa. Al contrario della successiva "By the Way", un brano uscito in realtà nel lontano 2005 nello straordinario 'The Perpetual Motion', e qui riproposta semplicemente in modo più cupo e languido, al pari dell'ultima "What Else Could We've Said" (anch'essa presente su 'The Perpetual Motion') per una più melliflua reinterpretazione, con tanto di archi a sostegno, di una vecchia hit della band, che alla fine mi fa riflettere se queste sessioni londinesi siano una semplice mossa commerciale o un dischetto a testimoniare la vitalità della band? A voi l'ardua sentenza. (Francesco Scarci)

(Season of Mist - 2025)
Voto: 70

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