Cerca nel blog

Visualizzazione post con etichetta Sancta Poenas. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Sancta Poenas. Mostra tutti i post

domenica 3 ottobre 2010

Sancta Poenas - Artificiell Gnosis


Disturbati e disturbanti. Parafrasando un noto adagio, non bisognerebbe mai giudicare un album dalla copertina. Io però voglio essere sincero: mi capita spesso di farmi un’idea mentale del contenuto dal contenitore. Delle volte le due cose hanno una certa continuità. Prendiamo l’immagine frontale di questo Cd: lisergica, contorta, vagamente disturbante. È un ottimo viatico della musica contenuta. Questa band, formatasi nell'autunno del 2007 da Jimmy e Niclas in Svezia, originariamente era chiamata “Sanctus Pathos”. All'inizio del 2008 si uniscono TH e Marcus ed il nome cambia in "Sancta Poenas”. Ecco quindi la line-up: Niclas (testi, voce), Jimmy (chitarre, composizione, canto), TH (basso) e Marcus (batteria). L’immagine prevalentemente evocata è oscura, indefinita, strisciante, angosciante. Visivamente penso a quei quadri espressionisti tedeschi astratti di metà ‘900, tipo quelli di Hans Hofmann. Sembra di stare in quella zona della coscienza in cui si è a metà via tra la veglia e il sonno, dove i pensieri corrono senza controllo, si compenetrano e formano degli arazzi interminabili. I pensieri sono cupi e tuttavia il loro defluire è aggraziato. Similmente le canzoni dell’ensemble svedese sono ora molto armoniche, ora dissonanti, con ritmi lenti, sognanti. I cantati, calmi nonostante la durezza della lingua svedese, si alternano repentinamente a parti sussurrate, ad altre urlate, alcune persino disperate. Gli innesti elettronici sono spesso distorti e reiterati in maniera quasi malata. Ritmicamente si notano alcuni cambi di cadenza, tuttavia la velocità non ha accelerazioni e fughe. Tutto ciò si amalgama nelle 6 tracce. Se ascoltate l’album tutto d’un fiato, dopo le prime due songs, avrete la sensazione che anche le canzoni si mescolino tra loro, che i confini tra l’una e l’altra si facciano nebbiosi, si perdano, formando un tutt’uno quasi continuo. Un vero punto di discontinuità si trova nella lunga “Geschtonkenflopped”, in cui vi è una parte recitata prolungata, che sembra tratta da un film. Più omogenee le altre tracce. “Artificiell Gnosis”, che apre il disco, è la più elegante della produzione. Sfuggente, inquietante, con suoni di pianoforte che partono limpidi e poi mutano in distorti. “Svårmod” chiude in una maniera per nulla rassicurante. La produzione poi, mi ha spiazzato fin dal primo ascolto, impegnandomi a risentirla più volte, cercando di carpirne l’anima. Un plauso per la componente grafica, molto bella e coerente con l’anima del disco. L’uso degli allucinogeni, come l’acido lisergico, negli anni ’70 era previsto per aumentare la propria percezione del mondo, indurre la sinestesia, l’espansione dei sensi, “sentire” i colori, portare a bei viaggi, ma anche ad alcuni spiacevoli. Ad un tipo di “conoscenza artificiale”... a proposito, qual era il titolo dell’album? (Alberto Merlotti)

(Self)
voto: 70