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martedì 24 marzo 2015

Echoes and Signals - V

#PER CHI AMA: Progressive Post Rock
Accendevi lentamente una sigaretta. Se non fumate fate ardere il vostro camino. Se non avete un camino, date fuoco alle polveri della vostra coscienza. Ho bisogno del vostro ardere indistinto, per farvi viaggiare in questo album dei russi Echoes and Signals. Partiamo con una fiammella tiepida, quasi impercettibile che soffonde da “I”. Un numero romano che ci introduce alla seconda traccia. “Over the Lethe”. 6.57. I minuti ed i secondi che imprigionano il mio ascolto. Percussioni di tastiere elettriche mi ipnotizzano. Ridondanze melodiche giurano melodia. Distorsioni fanno contorcere il brano, sporcandolo di ritmicità anni '80 accuratamente occultate. Un sottofondo che cerca il metal, ma alieno dal nostro dark ambient. Versiamo l’attenzione sul secondo numero romano “II”. Un altro intercalare. Graffi gutturali, lugubri di chitarre elettrificate. Incedere. Poi nulla. Ora d’improvviso, distoglie “Caught By The Water”. Bianco nero. Nero bianco, e così via. L’intro gioca con le dita sulla tastiera. L’evoluzione sorprende con una voce pulita e fondente come cioccolato spalmato sulla pelle tiepida. Batteria e voce ancora ci portano a convulsioni nostalgiche del periodo d’oro dei Rolling Stones. Ritmo. Batteria. Chitarra. Voce. Estrosità musicalmente semantiche in chiusura in vocalizzi ripetuti che fanno della pelle, brivido. Non possiamo procedere senza un altro numero. È il momento di “IV”. Addentriamoci romantici ed anafettivi in questo intermezzo, intenso, ma sfuggevole. Meglio farci invadere da “Hadal Pelagic”. La musica di questa song è quasi commestibile, tanto è corposa ed impregnata di strumentalità un po’ ostentate, un po’ ritmiche. Il brano è metamorfico. Se foste su una gondola nel mezzo della laguna veneziana, circondati da queste sonorità, credetemi, vorreste toccare terra per tornare al sicuro. Non mi sorprende si affacci sul nostro cammino un’altra romanità. “V”. Pochi tocchi di questa cordata sonora, bastano a persuadermi. Chiudo occhi e mente. Riapro la serranda emozionale per “The Waiting Room”. Ne vale la pena. La batteria mi fa finalmente vibrare l’anima. Il climax ritmico mi graffia l’attesa. Le pause tra i battiti sonori sono enfasi al reiterare di queste musicalità, così saporite da volerle assaggiare ripetutamente. 7.07. minuti e secondi per cui vale la pena vivere di musica. Mangiate alla mia tavola. 'V' si conclude con “When the Time Has Come to Sail Away”. Mi chiedo se con questa ballata la band voglia sublimare gli stili variegati che sparge nei propri brani. Mi chiedo se in questo brano strumentale, struggente e vivo di sonorità eclettiche, vi sia la voglia ed il compendio ad un lavoro, a una esperienza, a una passione intrinseca per la musica strumentale, vocale, epocale. Ascoltate. (Silvia Comencini)

(Self - 2014)
Voto: 70