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sabato 22 giugno 2013

Ulver - Shadows of the Sun

#PER CHI AMA: Ambient
Ombre, ombre che esistono solo perché esiste il sole. Preparatevi a questo album come ci si prepara al sentore di più dimensioni spazio temporali, che fanno convergere e spaccare il senso dell’esistere. Gli Ulver non ci lasciano a digiuno del loro essere musica e del loro essere anima, ma non pensate a questo album come ad un sottofondo che vi asseconda nelle vostre riflessioni più recondite, piuttosto fate rimboccare le maniche alla vostra coscienza e corazzate la vostra anima perché questo viaggio vi porterà allo stremo delle sensazioni. Partiamo con lo stesso random in cui l’ascolto trova il suo turbine vivo di arterie pulsanti e timpani tesi. "Let the Children Go" è un soffio tra le foglie d’autunno nostalgico e ripetuto. Voci dal coro che soggiacciono alle ritmiche imperanti. Convergono voci e suoni. Caos calmo. La voce in un acuto richiama senza indurre. Tinnuoli che si trasformano in effetti ritmici. La voce tace. Il brano chiude, ma non termina ancora. La vocalità si fa cavernosa e gli Ulver, con il loro magnetismo vi rapiscono per farvi ritrovare nel loro universo dualistico di luce e di buio sino al tocco finale di questo brano, che stride con il prologo delicato. "Solitude". Si. Solitudine. Si. Sangue e respiri lenti. Si. Perdere e trovare. Trovare empatie ataviche. Perdere il senno. Si lasciarsi condurre sino alle soglie della follia. Se vi sentite malinconici, ascoltate, ma a vostro rischio. Consolazione è l’empatia lenta come una tortuta che cammina tra le pendici scoscese delle vostre paure. "Funebrae" ossia scosse torbide sferzano le pareti del ghiaccio che imprigiona i pensieri. Lenta la musica. Più lenta della musica la voce, eppure il cantato incide scritte indelebili nelle note strumentali. Abbiate coraggio. "Funebrae" vi iptonizzerà. In "What happened?" non fermatevi all’intro che vi spiazzerà. Le distorsioni strumentali si confondono con la voce cavernosa e volutamente inquitante. Forse infernale. Passate oltre. Vi aspetta il purgatorio. Per un attimo "Eos", vi fa tornare il sereno. Ecco il vostro purgatorio. Non mi chiedete il paradiso. Gli Ulver non si muovono mai con tratti angelici. Mentre ascoltate abbassate le palpebre. Godetevi questo brano nelle sue sfumature che odorano di nebbia notturna, d’asfalto bagnato, di pensieri dimenticati, di vento. "All the Love": avvicinatevi. Ci faremo guidare dallo scampanellio che distingue il tempo del brano. La ritmica ci porta al di fuori delle tracce precedenti. Eppure anche questo brano è figlio di padre certo poiché scandisce il tempo con cui il cuore batte e rammenta al sangue la sua appartenenza. "Like Music" celebra il pianoforte, come a sottrarsi dalle precedenti ritmiche strumentali. La voce invece non si sottrae e richiama a gran voce sussurrata volontà e bisogni sino a sfumare sino a cambiare registro sino a chiedersi essa stessa “perché strido perché non mi ascolti perché non ti perdi tra i miei inganni sonori?” "Vigil". Polvere di ferro. Mettevi occhiali protettivi e già che ci siete copritevi bene la pelle perché questo brano è glaciale. I sussurri della voce si confondono con le onde sonore. Poco importano gli strumenti che suonano. L’effetto è acuto e distorto. L’impatto è vertiginoso e stridente. Chiudiamo con il brano che da il nome all’album. E chi se lo aspettava? Nemmeno io che gli Ulver li ascolto come si ascolta un suono che parla più delle parole. Questo brano si discosta e riassume lo stile Ulver. Eppure fa pensare al mare al tramonto. A pareti bianche ribattute dal sole all’alba. A sensazioni che dentro una caverna buia non possono esistere. Ecco come si chiude il cerchio del dualismo di cui vi ho anticipato. Un percorso. Un epilogo. (Silvia Comencini)

(Jester Records)
Voto: 80

http://ulver.bandcamp.com/