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lunedì 25 novembre 2024

Maverick Persona – In the Name of

#PER CHI AMA: Post Rock/Experimental Sounds
In quante occasioni ci siamo persi nel vasto mondo della musica pop internazionale, cercando qualcosa di interessante da ascoltare, senza mai guardare ai confini nazionali? Ecco, con il nuovo album dei Maverick Persona, vi renderete conto che l'album della "porta accanto" esiste e può avere un respiro internazionale, risultare intrigante e destare la vostra curiosità senza nemmeno passare per il mainstream, preconfezionato e molto spesso vuoto di spessore e idee (vedi ultimi Blur o simili). Il progetto dei due musicisti italiani, Amerigo Verardi e Matteo "Deje" D'Astore, esprime tra le sue note proprio questo, la volontà di essere liberi di creare musica per come la si intende, senza confini o condizionamenti. Infatti, in una intervista uscita al tempo del loro primo album, 'What Tomorrow?', dichiaravano quanto segue: "Non abbiamo la possibilità di investire migliaia di euro in promozione, foto o videoclip; tanto meno siamo in grado di comprare i passaggi nelle radio o in tv, né ci interessa acquistare pacchetti di ascolti virtuali in playlist del cazzo. Adottiamo invece una forma promozionale tutta nostra che si misura in energia piuttosto che in economia: provare a liberare un flusso creativo tale da permetterci di registrare anche due album in un anno, possibilmente uno migliore dell’altro". La magia di questo nuovo disco si misura proprio in questa libertà, e se ci si associamo i testi, cantati in lingua inglese, volti alla critica di una società al limite tra ipocrisia e decadimento culturale e sociale, il gioco è fatto. Il duo cita i generi electronic, experimental, psychedelic, pop, rock, spoken word, new jazz, world music e gli ingredienti ci sono tutti, e si srotolano con un enorme piacere di ascolto. "Somewhere We Have Landed" e "Underword Conspiracy" sorprendono per la maturità del suono, musica ad elevato impatto psichedelico ed emotivo ad ampio respiro internazionale, un elettro-ambient sofisticato, ma non solo; l'impazzito jazz di "Sirshka" e i sussulti new/acid jazz di "Where Are You", confondono ed ampliano gli orizzonti musicali. L'insieme dei brani mi ricorda le teorie ricostruttive di Bugge Wesseltoft in 'New Conception of Jazz' del 1996, aggiornate con rianimata verve e suoni di nuova provenienza, ma l'album nasconde anche tante stanze segrete tra le sue note, sentori di acido trip hop per "Try to Get the Sun", mentre per "Dreaming Laurel Canyon", come dice tra le righe anche il titolo, dream pop e drone, si fondono per donarci una vera e propria sensazione di volo. 'In the Name of' è un disco di palpabile spessore artistico, carico di sorprese, adatto ad un pubblico moderno, che ama il sound variegato, curato e dalla trama intelligente. Un disco che allieterà i vostri ascolti, portandovi anche alla riflessione in più momenti, perché la rivoluzione nel mondo passa anche da suoni che sembrano innocui e pieni di luce ma che in realtà esprimono tanta ribellione. Consigliato l'ascolto! (Bob Stoner)

venerdì 22 novembre 2024

Time Lurker - Emprise

#PER CHI AMA: Atmospheric Black
Ci ha impiegato ben sette anni il buon Mick, leader solitario dei Time Lurker, a tornare con un nuovo full length. Io c'ero nella stesura della recensione del debut album e ai tempi dello split con i Cepheide, e ci sono oggi per raccontarvi qualcosa di più di questo 'Emprise'. Il nuovo lavoro include cinque nuovi pezzi e, se consideriamo che l'iniziale title track è poco più di una inquietante e demoniaca intro, potremmo ridurli a quattro. Ma questi quattro pezzi sembrano promettere faville. Si parte con "Cavalière de Feu" e un incipit molto delicato, la classica quiete prima della tempesta. E infatti non sbaglio, dal momento che la ritmica della one man band transalpina, esplode in tutta la sua veemente malvagità, qui potenziata peraltro, dallo straziante supporto vocale di Sarah L. Kerrigan (alias Sotte) dei Neant. Quello che colpisce è la componente melodica delle chitarre che donano un più ampio respiro alla proposta dell'act francese, meno prevedibilità e una maggiore gioia nel godere di questa proposta che abbina un black atmosferico ad una componente più suicidal/depressive. "Poussière Mortifère" già dal titolo non lascia presagire nulla di buono: un inizio di "alcestiana" memoria lascia il posto a ipnotiche melodie che potevano fare la loro bella figura anche in 'Hvis Lyset Tar Oss', album leggendario di Burzum, soprattutto per una performance vocale che ricorda, da vicino, quella del Conte Grishnackh. E in linea con i dettami del musicista norvegese, non mancano nemmeno le parti più atmosferiche e quelle decisamente più tirate, che si declinano in una spettacolare linea di chitarra post black nella seconda metà del brano. "Disparais, Soleil" ha un altro inizio assai tiepido, cosi come nel suo prosieguo, cosi caldamente votato al depressive black, in grado di emanare forti emozioni, complice la presenza di un'angelica voce femminile in sottofondo. I motori tornano a rombare con la conclusiva "Fils Sacré", portentosa nel suo impianto ritmico imperniato su tonalità glaciali e più avulse da quelle più melodiche dei primi brani. Tuttavia, si percepisce che covi sotto la cenere un tono più epico che stenta però a decollare definitivamente, complice probabilmente il carattere strumentale del pezzo, che lo priva di una componente, quella vocale, davvero importante. In definitiva, 'Emprise' rappresenta un passo in avanti rispetto alla precedente release del mastermind francese, ma sento che ci sia ancora margine di crescita per sentirne delle belle in futuro. (Francesco Scarci)
 
(LADLO Productions - 2024)
Voto: 74
 

VII Arcano - Inner Deathscapes

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Death/Thrash
Fortissimi ‘sti romani. Death metal d’impatto, diretto, influenzato da At The Gates e soci, ma con un proprio sound e trademark. Dieci i brani che compongono questo assalto ben registrato, il cui suono delle chitarre è corposo e incisivo, come deve essere in un genere come il loro. Le canzoni sono tutte di breve durata, e questo non fa che accrescere l’aggressività ed intensità dei pezzi, senza perdersi in virtuosismi inutili. 'Inner Deathscapes' è stato registrato agli Outer Studios di Roma ad opera di Giuseppe Orlando dei Novembre. Grande la prova vocale, molto profonda e roca. Un cd alla fine, ben riuscito che unisce death e thrash nel migliore dei modi.

(Pick Up Records - 2001)
Voto: 73

https://www.facebook.com/viiarcano

giovedì 21 novembre 2024

Traum - S/t

#PER CHI AMA: Psych Rock
Il motorik esotermico "Kali Yuga" in apertura, possibilmente la traccia più atmosfericamente sludge dell'album, tinteggia scenari assolati e materici, immanenti e maestosi, roba da nu-scemenze stile Mad Max, forse per via della chitarra fuzz/osamente cosmica, o della batteria magmatica e incendiaria. Suggeriscono continuità, con un landscape, se possibile, di proporzioni ulteriori, la successiva "Vimana" e, a modo suo, anche la contrazione siderale di "Katabais", a generare un compendio sonoro psych-free ("Ummagumma/Zabriskie/iano") da gola secca e, in chiusura, il secondo motorik che introduce il retro del disco (come se i Kraftwerk di 'Karl Barthos' ascoltassero "Remain in Light" dei Talking Heads, annuendo in piedi davanti al PC, senza tralasciare i momenti psych-trance dei Motorpsycho anni '20 in "Inner Space") a comporre una sorta di cosmicissima suite frattale e decostruita. Da qui in avanti, gli indizi si fanno più radi e il percorso più ardimentoso. Tra le sonorità marcatamente ambient (il Vangelis di 'Spiral' o certo Jarre mid-ottantiano) ecco "Antartic Dawn" e "Erwachen" (che evoca anche i primi Sigur Ros e il Robert Fripp ante-Thrak, quindi in sostanza quasi tutto Robert Fripp), il dub elettrogeno e spavaldo di "Infraterrestrial Dub" e la conclusione onirica e fuzz/orchestrale affidata a "Eterno Ritorno", con tanto di campionamento pasoliniano sugli orrori del consumismo. D'altro canto, "Inner Space" è il nome che Holger Czukay diede allo studio di registrazione realizzato da lui medesimo. Traum, in tedesco, significa sogno. Alla fine tutto torna. (Alberto Calorosi)

(Subsound Records - 2024)
Voto: 75

https://traumofficial.bandcamp.com/album/traum

Persecutory - The Glorious Persecution

#PER CHI AMA: Black Metal
Non ci capita cosi spesso di recensire band provenienti dalla Turchia: quella dei Persecutory dovrebbe essere infatti la seconda recensione che mi appresto a scrivere di una realtà proveniente da quel paese. E allora facciamo un breve preambolo biografico, raccontandovi che il quartetto di oggi è originario di Istanbul, ha già un paio di full length all'attivo oltre a due EP, incluso questo 'The Glorious Persecution'. Il genere proposto poi, è un black death alquanto scolastico, che aggiunge poco o niente a due generi che forse hanno poco altro da aggiungere. I cinque turchi si adeguano quindi alla massa, proponendo tre lunghi pezzi che, dall'iniziale "Infernal Gateways to Watchers", passando attraverso "Ecstatic Demonlords", fino ad arrivare alla conclusiva "The Glorious Persecution", non so quanto potrebbero farvi vibrare i sensi. La prima traccia spiega subito le coordinate sulle quali intendono stare i nostri, ossia una matrice estrema, dotata di un pizzico di melodia, che alterna momenti mid-tempo ad altri più serrati, che sembrano ammiccare a sonorità scandinave di metà anni '90 (e che riassumerei come un mix tra Mayhem, Behemoth e Unanimated, ad un livello più basso, ovviamente). Ecco appunto, un altro tuffo nel passato come centinaia e centinaia, me ne sono passati tra le mani in questi anni. E l'esito si prevede quanto mai scontato sin dalle prime battute. C'è poco infatti da elevare sopra il marasma di band che popolano la scena. I rallentamenti doomish magari contribuiscono a spezzare un ritmo a tratti vertiginoso, le vocals indemoniate del frontman hanno sicuramente una buona presa, cosi come il tremolo picking che si palesa nei momenti più compassati a donare un po' di melodia, cosi come gli epici assalti di chitarra. Alla fine sono tutti elementi, presenti in tutti e tre i brani, che ritroviamo in una marea di uscite discografiche di questo tipo. Se proprio devo individuare un brano preferito direi "Ecstatic Demonlords", dotata di un bel tiro, avvolta di uno splendido alone nero di mefitica malignità che si palesa peraltro in un litanico coro che ne eleva la qualità sopra le altre. Un utilizzo maggiore di questa componente, qualche assolo, qualche parte atmosferica in più e staremo parlando di una release di tutt'altro spessore. (Francesco Scarci)

Bodysnatcher - Vile Conduct

#PER CHI AMA: Deathcore
Ancora sonorità estreme da oltreoceano, questa volta con i Bodysnatcher e il loro deathcore senza troppe contaminazioni. La band originaria della Florida, taglia il traguardo del sesto lavoro (tra EP e full length), mantenendo il cuore della propria proposta, quasi del tutto inalterato rispetto ai dettami del passato. E quindi, ciò che 'Vile Conduct' si appresta ad offrirci in queste cinque tracce, è quello che riflette un genere senza troppi compromessi. E l'iniziale "Infested" ce lo conferma, con quelle sue tonanti ritmiche ribassate, una voce urlata e forse troppo presente, quei tonfi che gli anglosassoni chiamano breakdown, e tutto l'armamentario ritmico che il rigore del genere impone. E quando tale canovaccio si ripete pedissequamente in tutti i pezzi, con una scarsa volontà di creare parti più atmosferiche/cinematiche, ma anzi andando a sorpassare i confini che conducono all'hardcore, il risultato che ne viene fuori puzza di già sentito. Ed è un peccato, perchè la band ha un buon bagaglio tecnico ma le idee, lo confesso, mi sembrano abusate, inconcludenti e comunque dotate di scarsa personalità. Una variazione al tema, la possiamo ritrovare in "Murder8", che peraltro vede il featuring di Jamey Jasta degli Hatebreed, poca roba però per gridare al tentativo di sovvertire un pronostico già scritto. Il disco a me non piace e, a meno che non siate dei fan sfegatati del genere, non mi sento cosi orientato a suggerirvene l'ascolto, rischiereste solo di allontanarvi di più da sonorità già di per sé di difficile approccio. (Francesco Scarci)
 
(MNRK Heavy - 2024)
Voto: 55
 

mercoledì 20 novembre 2024

Mammoth Grinder - Undying Spectral Resonance

#PER CHI AMA: Death Old School
Siete pronti per prendere un paio di schiaffoni ben assestati in pieno volto? Questo è quello che sono pronti ad offrirci gli statunitensi Mammoth Grinder con questa loro nuova uscita di cinque pezzi. Con un incipit che ricorda ben da vicino le prime release degli Entombed, 'Undying Spectral Resonance' si presenta con un brano che fin dapprincipio catalizza la mia attenzione sul quartetto texano. "Corpse of Divinant" è una straordinaria quanto malefica canzone di puro death metal old school, carico di quelle venature stile area di Stoccolma primi anni '90, miscelata con un che degli Autopsy e una spruzzatina di Obituary. Un fantastico colpo alla mascella che immediatamente mi annichilisce per potenza, perizia tecnica (notevole a tal proposito, il super tagliente assolo verso la fine), un pizzico di groove, e un vocione che arriva direttamente dalle viscere della terra. E la successiva title track non sembra promettere nulla di buono, con una linea di chitarra che scandisce in modo evidente il ritmo, qui mid-tempo, del secondo pezzo, ritmo che si fa più incandescente nel finale, con un'altra sciabolata solistica che mi evoca i bei tempi andati del death a stelle e strisce di fine anni '80. E se "Call from the Frozen Styx (Interlude)" è un inutile interludio strumentale, che nell'economia peraltro assai risicata dell'album, mi fa storcere solo il naso, "Decrease the Peace" sembra soffrire dello stop ritmico della precedente song e, fatto salvo per un altro spettacolare assolo, rischia di scadere nel dimenticatoio in tempi brevissimi. Fortunatamente, ci pensa la conclusiva "Obsessed with Death" a ripristinare le incandescenti ritmiche dei primi brani, con un rifferama marcescente e altrettanto convincente, che ci inducono ad un esagitato pogo senza precedenti. Ed è qui che il disco si interrompe bruscamente; in tutta franchezza, avrei infatti desiderato quattro/cinque pezzi in più, per godere di sonorità che si sono perse nella notte dei tempi. (Francesco Scarci)

martedì 19 novembre 2024

Trollwar - Tales From The Frozen Wastes

#FOR FANS OF: Folk/Death
It's time to visit again the always interesting metal scene of Quebec with the band Trollwar. Contrary to previous occasions, we leave aside the black metal genre, focusing this time, on much more upbeat sounds. Trollwar was founded in Alma, Quebec, back in 2011 and currently consists of seven different musicians, forming a line-up that has been quite stable since its inception, apart from some minor changes. In any case, the band hasn't been particularly prolific, releasing two albums and some EPs.

After almost six years, Trollwar presents a new EP entitled 'Tales From the Frozen Wastes', which could help them gain a bunch of new fans. The band plays a mixture of folk and metal with a strong epic vibe, a fusion that has been quite popular especially in Europe in recent years. The eye-catching artwork gives the impression of containing something majestic, and thankfully, the four pieces and one intro contained in the new EP confirm this initial impression. First of all, the production is quite good, powerful, and clean, allowing all the different instruments and vocals to have their own room to shine. "The Unseen One" is the first proper track and contains all the elements that this genre usually offers: an aggressive main voice, closer to higher tones rather than purely metal growls, catchy yet powerful guitar lines, and some majestic arrangements in the form of keys and a solemn backing choir. The track also offers nice tempo changes which make the composition very enjoyable and headbanging friendly. Memorable and epic melodies are what you ask of this genre, and Trollwar surely knows how to create them. "Bane of the Underworld" is another fine example. It is a truly entertaining track, full of energy, great tempo changes, and addictive harmonies, both in the guitar lines, the vocals, or in the use of other elements such as keyboards or choirs. Additional clean vocals are also included in the majestic closing track "The Offering", which has plenty of speedy parts that make this composition one of the most energetic ones. I prefer other sorts of vocals, but all the additions are welcome as they help to enrich the band's music.

In conclusion, Trollwar's 'Tales From the Frozen Wastes' is a notable work. The production, composition quality, and the tastefulness of the melodies are unquestionable. Hopefully, this EP should boost the band's career in the difficult journey of standing out from the hard competition, particularly in this sub genre. (Alain González Artola)