#PER CHI AMA: Grunge/Hard Rock, Queens of the Stone Age |
Suonare come nessun altro, eppure risultare immediatamente familiari. Sarebbe probabilmente il sogno di buona parte delle band che popolano il pianeta, e ogni tanto qualcuno ci riesce. I Dead Shed Jokers sono una band strana, ci vuole tempo per metterli a fuoco, eppure non ci si riesce mai del tutto. Come osservare un dipinto in cui la prospettiva è leggermente ingannatoria, non ci si sente mai del tutto a proprio agio, solleticati da un leggero e indefinibile senso di disagio. I cinque ragazzi gallesi, al loro secondo album, propongono un hard rock che è sí debitore dei gloriosi '70s, quanto influenzato dal grunge o dai Queens Of The Stone Age. L’istrionico cantante Hywel Davies ha una voce pazzesca e uno stile a metà tra Robert Plant e Chris Cornell, ma con un’attitudine alla teatralità piú spiccata, cosa che rende davvero peculiari molti dei brani in scaletta. A sorreggere Davies ci pensano gli altri quattro (due chitarre, basso e batteria) e lo fanno come meglio non si potrebbe: riff granitici, una bella varietà ritmica e la capacità di costruire brani complessi e mai scontati, senza perdere un grammo in termini di energia. Il tutto è poi ben supportato da un suono sporco e per nulla patinato. Il mix che ne viene fuori ha un certo non so che di originale, qualcosa che non si riesce del tutto ad afferrare mentre si cerca di individuare tutti i riferimenti, che all’inizio sembravano evidenti. Dopo molto ascolti non sono ancora riuscito a capire bene di cosa si tratta, ma dev’essere nascosto nelle pieghe della voce e dalla personalità di Davies, che non si limita a cantare, peraltro benissimo, ma sembra sempre volerti raccontare una storia in modo molto serio, riuscendo quasi sempre a catturare la tua attenzione. Degli 8 brani, nessuno può essere considerato un riempitivo, e si viaggia dal rock dritto e tirato dell’opener “Dafydd’s Song” alle sfumature folk di “A Cautionary Tale”, ai riff irresistibili di “Memoirs of Mr Bryant’s” (scelta come singolo e della del quale vi invito caldamente a visionare il delirante e bellissimo video), fino al tiro pazzesco di “Rapture Riddles”, in un’incedere dance punk che non avrebbe sfigurato nel post-punk revival britannico di inizio millennio, tra Bloc Party e The Music. Si chiude poi con la ballata pianistica in stile glam “Exit Stage Left”. Disco sorprendente, che riesce a coniugare al presente il verbo del rock d’annata in un modo credibile e a suo modo originale. Forse non li troverete mai nelle liste delle next big thing di oltremanica, ma dopotutto, quante delle band citate in quelle liste vi ricordate oggi? I Dead Shed Jokers, invece, ci sono per restare. (Mauro Catena)
(Pity My Brain Records - 2015)
Voto: 75