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domenica 3 ottobre 2010

Galar - Til Alle Heimsens Endar


Se anche voi come me siete rimasti scossi dalla scomparsa dalle scene dei grandi Windir (il vocalist Terje "Valfar" Bakken morì infatti in circostanze misteriose nel 2004), non temete perché una nuova creatura è finalmente pronta a sostituirli nei nostri cuori. Si tratta dei qui presenti Galar, già autori di un discreto cd nel 2006 “Skogskvad”, ma che con il nuovissimo "Til Alle Heimsens Endar" sorprendono tutti gli addetti ai lavori per le loro sonorità che non possono non rievocare le cavalcate pagane di cd come “Arntor” o “1184” dei già sopraccitati Windir. Mi sono emozionato ed infiammato subito nell’ascoltare le note di questo “Fino alla Fine di Tutti i Mondi”, proprio per l’emozioni che da subito si sono manifestate in me, come una sorta di deja vu per qualcosa che avevo già vissuto anni orsono all’ascolto dei capolavori dei vichinghi norvegesi. I giovani Galar, non sono da meno, e fatti propri anche gli insegnamenti di altri maestri quali Ulver o dei folkers Isengard o Storm, ci regalano sette emozionali tracce di black pagano. Il duo di Bergen, aiutato da Phobos dei Malsain/Aeternum, prende ancora spunto dalla tradizione mitologica nordica per dipingere desolati paesaggi ghiacciati, combinando un sound estremo raffinato (Enslaved docet), con il tipico riffing di matrice norvegese, intermezzi acustici, richiami alla musica classica (meravigliosa la strumentale “Det Graa Riket”), elementi folk e ovviamente il viking metal (“Ván” e “Ingen Siger Vart Vunnin”), in un incedere emozionante e suggestivo di suoni che da tempo non sentivo. Ottime le linee di chitarra, eccellente la prova del vocalist capace di spaziare dallo screaming black ai vocalizzi puliti alla I.C.S. Vortex (o potremo addirittura smuovere il padre dell’epic black Quorthon), "Til Alle Heimsens Endar" ci consegna una band davvero matura e capace di stupirci per la bellezza delle antiche melodie e la freschezza della loro proposta musicale. Forti di una eccelsa produzione ai Conclave & Earshot Studios (Taake, Enslaved) i Galar rappresentano una graditissima ed inattesa sorpresa di questo primo semestre del 2010. Spero si possa parlare a lungo di loro… (Francesco Scarci)

(Karisma Records/Dark Essence Records)
voto: 80

Re123+ - Magi


Immaginate di trovarvi in una sbiadita stazione ferroviaria del secolo scorso. Siete soli. Il silenzio che vi avvolge minaccia di far esplodere la vostra mente. Sentite finalmente un rumore. E’ un incedere lento di ferraglia che mai esce dalla nebbia. Ecco descritto il primo brano, che martella per fagocitarvi tra le ritmiche incessanti, ritmiche mal definite, che affannose tentano di vincere, senza riuscirvi, la ruggine strumentale. Ascolto ideale se volete dedicarvi alle arti evocative in cui è necessario alienare il pensiero cosciente dall’inconscio. Procediamo con la seconda traccia: la meta questa volta è una alcova dai colori esotici. Le sonorità evocano le geometrie descritte da una danzatrice del ventre in una ascesa sensoriale con il brano che si conclude con un tragico risveglio in cui piombano chitarre ululanti contrapposte agli esordi morbidi dei tamburi. Consigliato l’ascolto a personalità scisse alla dottor Jekyll e mister Hyde. La terza ed ultima traccia chiude l’album con evocazioni gitane, dalla melodia circolare, ridondante, che come un mantra, ipnotizza se ascoltata in cuffia e tedia in diffusione. Consigliato l’ascolto a chi vuole compiere un viaggio psichico a basso costo. La musica di questa band biellorussa Re123+ si rivela come un profondo atto di meditazione, intelligentemente accompagnato dalle citazioni de “L’Isola del Giorno Prima” di Umberto Eco. Suggestivi! (Silvia Comencini)

(BadMoodMan Music)
voto: 70

Carcariass - E-xtinction


Uno dei più interessanti lavori che mi è capitato di ascoltare ultimamente, proviene dalla Francia, nazione che ha dato i natali ad una delle band più preparate nel panorama techno death, i Loudblast. E proprio partendo dagli insegnamenti dei godz francesi, i Carcariass sfoderano una prova davvero eccellente che da tempo non mi capitava di sentire. “E-xtinction” è il terzo album per questa band proveniente dalla Francia che, delusa per i risultati sportivi della propria nazionale di calcio, può per lo meno tranquillamente consolarsi con uscite di assoluto livello in ambito musicale (cosa che noi italiani non possiamo neppure permetterci in quest’ultimo periodo). I Carcariass sono dei mostri per quanto riguarda la capacità di coinvolgimento che sanno attuare con i loro strumenti, per il loro dinamismo sonoro, la pregevole ricerca delle melodie, e una tecnica sopraffina assai rara; non ho altre parole. Si parte alla grande con “Chaos and Decay” e le sue linee di chitarra ricercata e raffinate; si prosegue con l’esplosiva e strumentale “In Cold Blood” dove sono sempre le chitarre a condurre i giochi in un alternarsi di emozioni degno delle più ripide montagne russe. Un basso apre “Domination”, ma ben presto si fanno largo malinconiche linee di chitarra e altri riffoni effettati assurdi, che rallentano ben presto il passo per far posto a ritmiche dal forte sapore grooveggiante, quasi rockeggiante oserei dire, con le vocals di Raphael Couturier davvero espressive nel suo growling mai troppo esasperato. La cosa incredibile sono i continui cambi di tempo che in un batter di ciglia ci danno l’idea di trovarci in un disco gothic, un secondo dopo in un arrembante disco di techno death americano e poi ancora in disco rock progressive, il tutto racchiuso in una manciata di minuti, meraviglioso. Una cascata di emozioni che ci pervade l’animo e ci lascia attoniti, sognanti, inebriati da cotanta bellezza di suoni. Un altro lungo break strumentale con “Exulting Pain” (come bonus track alla fine ci sono anche le sole 4 songs cantate dell’album, in versione strumentale), song dai forti richiami di scuola Iron Maiden: ancora cambi di tempo, cavalcate heavy metal, qualche riffone thrash e una produzione veramente degna per un lavoro di questa portata, vera e propria sorpresa per il sottoscritto. E quale peccato vedere che uscite come queste, passino totalmente inosservate nel nostro paese, perché ci consentirebbe di capire che con il cuore si possono fare grandi cose e regalare forti emozioni. Grandissimi Carcariass, per me già numero uno!!! (Francesco Scarci)

(Great Dane Records)
voto: 85

Sunpocrisy - Atman


Attenzione attenzione perché un nuovo fiore è pronto a sbocciare nel giardino di casa nostra: si tratta dei bresciani Sunpocrisy, che con questo Ep di 4 pezzi, per un totale di quasi 36 minuti, si rivelano al mondo con sonorità quanto mai inaspettate. Le danze si aprono con "Aeon's Samsara" e con quel suo riffone portante di "tooliana" memoria e la voce di Jonathan Panada che si alterna tra reminiscenze quasi a la Black Sabbath con un growling portentoso nelle accelerazioni più feroci del brano, ma quello che più si insinua nelle nostre teste ed entra e scava fino a portarci alla follia, è quel riffing iniziale per non parlare poi della parte conclusiva del pezzo, 4 minuti di follia acustico-elettrica da brividi, in cui la voce di Jonathan acquista, in un crescendo emozionale, più consapevolezza nei propri mezzi e arriva a regalarci malinconici attimi di passione, straziati dalla ruvidezza dell'incedere metallico (qui c'è ancora da lavorare parecchio per poter sgrezzare il sound parecchio). La successiva "Aprosdoketon" è una song quasi puramente death metal, anche se apprezzabile è la ricerca da parte del quartetto nostrano di ricercare soluzioni alquanto inusuali, soprattutto nell'uso della batteria e nel riffing schizoide delle chitarre. "Insanity's Glove" ritorna a far saggiare la parte più umorale della band, scura e malinconica, anche se è lontana dalla opening track, decisamente la traccia più riuscita; ritorna lo spettro dei Tool a dimostrare che la band si trova più a proprio agio a viaggiare su ritmiche molto più psichedeliche che tipicamente death, cosi come pure la voce di Jonathan è molto meglio nella sua versione clean piuttosto che growl, dove alla fine risulta del tutto impersonale e rischia di far scivolare il combo lombardo nel calderone di band death inutili, quindi suggerisco caldamente di lasciar perdere (o per lo meno affinare notevolmente) il cantato growl dando maggior spazio alle più calde vocals pulite. Echi progressive trovano spazio in questa traccia, che vive di un'alternanza di umori ed emozioni, complice la chitarra che ancora una volta, pescando a piene mani dai Tool o da qualche disco dell'ultima produzione dei maestri svedesi Opeth, rende piena giustizia ad una band che, sebbene sia ancora acerba, mostra delle potenzialità enormi che spero presto qualcuno si accorga e abbia il coraggio di puntare su di loro. A chiudere l'EP ci pensa "This Illusion" dove trovano ancora posto tutte le influenze e gli ingredienti tipici dei Sunpocrisy: atmosfere rarefatte, stop'n go e cambi di tempo, con un basso assassino a dominare la parte centrale del brano e un fade out conclusivo che lascia un po' l'amaro in bocca. Menzione conclusiva per la copertina del cd, diversa per tutte e 100 le copie fin qui stampate e numerate a mano, in quanto si tratta di frammenti di radiografie. Di carne al fuoco ce n'è molta, l'importante sarà limare le imperfezioni e le grezzure di una band che di idee brillanti ne ha molte, ma che magari fatica un po' ad incanalarle in una sola direzione. Da tenere assolutamente sotto stretto controllo! (Francesco Scarci)

(Self)
voto: 70

Painted Black - Cold Comfort

#PER CHI AMA: Gothic, Dark, Doom, Moonspell
L'Ethereal Sound Works mi ha inviato questo cd dei portoghesi Painted Black ed inevitabile, ogni qualvolta sento nominare Portogallo, l'associazione che la mia mente va a fare è con il nome Moonspell, forse perché sono ancora alla disperata ricerca dei degni eredi della band di Fernando Ribeiro e soci. Ecco quindi che mi appresto, con un certo interesse, ad ascoltare i Painted Black sperando di riscoprire vecchi suoni mai dimenticati ("Irreligious" o "Wolfheart"). Diciamo che la proposta dell'act lusitano è un mix ben bilanciato tra sonorità gothic, doom e in taluni frangenti death (ma mai con toni troppo esasperati). Ecco, il mio sogno di rivivere quei suoni di metà anni '90 si infrange immediatamente dalla traccia posta in apertura, "Via Dolorosa", che si rivela più un mix tra gothic, rock e doom, dove l'unico elemento death è rappresentato dalle growling vocals di Daniel Lucas. Il sestetto originario di Tortosendo, nella seconda "Shadowbound" accentua più il lato gothic dark del proprio sound, con clean vocals e un sound molto ragionato, atmosferico quasi romantico, anche se nella sua parte centrale vive il momento più estremo, con la ricomparsa di ritmiche tirate e growling vocals, stemperate nella sua parte conclusiva da delicati tocchi di pianoforte e melodici giri di chitarra. "Cold Comfort" articola il proprio sound su questa tematica di fondo anche se la terza "The End of Tides", la mia preferita, pesca un riff di chitarra dalla produzione dei finlandesi Rapture proseguendo poi su sonorità simili all'ensemble nordico, alternando momenti di furia elettrica con ambientazioni che finalmente (forse per l'approccio vocale) ricordano i Moonspell più oscuri delle ultime produzioni. Per carità, siamo lontani anni luce dagli epici esordi dei ben più famosi colleghi, però l'act, ora di stanza a Lisbona, mostra una certa disinvoltura nel muoversi in territori prettamente gotici, impreziositi da riffs di chiara matrice finlandese. Bello, mi piace, cosi come pure è interessante la semi-ballad "Absent Heart" che fa da apripista alla title track, song aggressiva, in cui tutti gli elementi del six-pieces convergono in un sol colpo: ritmiche aggressive, vocals corrosive alternate a voci pulite, momenti delicati, ambientazioni gotiche che ci consegnano una band ancora acerba e priva di una propria spiccata personalità ma che ha tutte le carte in regola per far bene in futuro. Certo, non saranno i nuovi Moonspell, e chissà mai se avrò modo di risentire quei meravigliosi suoni, ma intanto mi lascio cullare dal sound tormentato ed inquieto di questi Painted Black, sperando che il futuro mi riservi interessanti e quanto mai inaspettate sorprese... (Francesco Scarci)

(Ethereal Sound Works)
Voto: 70

On the Edge of the Netherrealm - Different Realms

#PER CHI AMA: Death Doom, My Dying Bride, Saturnus
Ancora BadMoodMan Music, ancora Russia, ancora musica di grande qualità. La band On the Edge of the Netherrealm (nome che sinceramente mi piace assai poco) è in realtà il side project di Vladimir Andreev, cantante e chitarrista dei Revelations Of Rain, qui però accompagnato dal vocalist Sethaye, in otto tracce dal mood malinconico e un po' più melodico, ma comunque abbastanza vicino alla band madre. L'accostamento che mi viene subito da fare è con le primissime produzioni dei My Dying Bride, ma ancor di più con il death/doom dei danesi Saturnus: pezzi al limite della depressione, complice anche l'utilizzo di un pianoforte presente costantemente nel sound dell'act sovietico, melodie ancestrali, growling vocals confuse (decisamente il punto critico da migliorare), ambientazioni oscure create da una monolitica base ritmica e da passaggi talvolta al limite del gothic. Non riesco sinceramente a capire perché in sede di presentazione, sia della band che dell'etichetta, si faccia riferimento ai nostrani Novembre, visto che della band dei fratelli Orlando c'è ben poco nelle note di "Different Realms". La musica del combo russo riflette invece esattamente quelli che sono i dettami di un genere, in cui le band dell'ex Unione Sovietica iniziano, per mio conto, a primeggiare nell'intero panorama death/doom: melodie eteree create dal sapiente utilizzo dei synth da parte del buon Vladimir, linee di chitarra strappalacrime, ritmiche talvolta al limite del funeral doom, frangenti acustici a spezzare la monotonia sempre incombente. Inutile citare una top song (forse un plauso andrebbe fatto per "Past" dove forse un po' di Novembre sound sembrerebbe affiorare), anche perché bene o male i brani si assomigliano tutti per struttura e feeling portante, tuttavia se anche voi siete come me degli appassionati di suoni lugubri, strazianti, deprimenti, perché lasciarvi scappare questa interessante uscita della sempre attenta etichetta russa. Da provare... (Francesco Scarci)

(BadMoodMan Music)
Voto: 70
 






The Howling Void - Shadows Over the Cosmos

#PER CHI AMA: Funeral Doom, Shape of Despair
Non c'è niente da fare, non ce n'è per nessuno, dove c'è lo zampino di Solitude Productions o BadMoodMan Records, potete stare sicuri che oltre a trovare del death funeral doom, troverete anche musica di buona qualità. E gli americani The Howling Void confermano ancora una volta la lungimiranza, le scelte azzeccate e oculate di un'etichetta che lavora più di qualità che di quantità, ma soprattutto con estrema intelligenza. Esaurita questa breve celebrazione della label russa, veniamo anche al lavoro della one man band statunitense capitanata da Ryan (in uno dei suoi molteplici progetti), e ad un album che consta di 5 lunghissime tracce (come d'altro canto vuole il genere) di funeral doom, che sicuramente farà la gioia dei fan di Ea o Shape of Despair. Si inizia con la deprimente "The Primordial Gloom", song che racchiude tutta l'essenza del sound marchiato The Howling Void: lentissime e pesantissime melodie dilatate nel tempo e dilaniate dal growling infernale (assai raro a dire il vero) di Mr. R. Maestose, monumentali, sulfuree, oscure, ipnotiche: queste sono solo alcune delle parole che mi vengono alla mente gustandomi il lento incedere delle tracce contenute in "Shadows Over the Cosmos", tutte caratterizzate da un minimo comun denominatore, la presenza costante e inesorabile delle tastiere a costituire un tappeto ritmico ultraslow, sulle quali si integrano alla perfezione gli altri strumenti (con una certa predilezione per il pianoforte). Poco altro si può aggiungere ad una release di tale genere, che fa della monoliticità e della staticità il proprio punto di forza. Non mi sento quindi di suggerire questo lavoro a tutti, ma chi è amante di queste sonorità al limite del catacombale, o chi ormai ha il cappio al collo, o il masso ancorato alla fune pronto per buttarsi in acqua e dar fine alla propria sofferenza, beh "Shadows Over the Cosmos", potrebbe sicuramente essere la colonna sonora ideale del vostro ultimo addio... angoscianti! (Francesco Scarci)

Ophis - Withered Shades

#PER CHI AMA: Funeral Doom
L'inizio di questo "Withered Shades" mi fa già capire cosa ho fra le mani, anche se l'etichetta del combo tedesco mi lascia presagire cosa mi appresto ad ascoltare e cosi ecco che le attese non sono state tradite. Ancora funeral doom nelle mie orecchie in questa estate cosi piovosa che mi fanno dimenticare il piacere del mare, del sole e della spiaggia e mi spingono invece già nella coltre di nebbia autunnale. Ecco in poche parole descritto il lavoro dei tedeschi Ophis, che in 5 tracce (con lunghezze medie tra i 10 e i 15 minuti) minano il nostro stato d'animo pericolosamente. A differenza di altri acts, facenti parte del rooster dell'etichetta russa, qui ci troviamo fra le mani qualcosa di ben poco melodico od orchestrale, poiché la musica del quartetto teutonico si rivela molto diretta, pesante, brutale, pur mantenendo intatto quel feeling da fine del mondo che contraddistingue già la parte centrale della opening track "The Halls of Sorrow", con quel suo incedere assai marziale che finisce per scaturire nel finale dove le urla disumane di Philipp si inseriscono finalmente in un contesto melodico. Eh si perché se a questo genere cosi pesante, lugubre e monolitico non doniamo un pizzico di melodia, risulta davvero impossibile arrivare alla fine senza avere l'anima straziata. "Suffering is a Virtue" si apre con un semplice arpeggio, che mi lascia presagire il peggio: si ricomincia a calcare la mano con suoni asfissianti vicini a quelli di Skepticism o Ahab, con una certa carenza di melodia di fondo e con vocals maligne (quasi black) che a mio avviso mal si adattano a questo sound che fa comunque della brutalità il suo credo. Sono alla terza traccia e inizio ad essere già sfiancato dalla proposta dei nostri, che come sonorità doom si rifanno ai più tradizionali Candlemass o Solitude Aeternus, non disdegnando poi puntatine in territori black death mortiferi e feroci. Non è proprio questo il sound che prediligo, quando ho voglia di tuffarmi in un mondo tutto mio, con la mente assorta e ipnotizzata da suoni da fine del mondo. L'idea che mi sono fatto è che questi quattro tedeschi non abbiano ancora deciso cosa suonare se death stile anni '90, doom stile anni '80, black o funeral anni 2000, il che mi lascia ahimè con l'amaro in bocca, nonostante le potenzialità per creare qualcosa di davvero buono ci siano, dimostrate da momenti di cupa riflessione o da viaggi psichedelici che potrebbero dare un po' più di colore a questo lavoro che vive di paurosi chiaro-scuri, anzi di veri e propri bianchi e neri... Mortiferi! (Francesco Scarci)

(Solitude Productions)
Voto: 65