Cerca nel blog

Visualizzazione post con etichetta Putrid Cult. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Putrid Cult. Mostra tutti i post

martedì 7 maggio 2024

Horns - Oświecenie

#PER CHI AMA: Black Old School
Continua la nostra perlustrazione del sottosuolo polacco e oggi ci imbattiamo in un quartetto originario di Zielona Góra, che risponde al nome di Horns. Forti di un'esperienza garantita da membri ed ex di Graveland, Mystherium, Atonement e Depravity, la band ci spara in faccia un concentrato malefico di black metal. Sette i pezzi a disposizione dell'ensemble per schiarirci le idee sulla loro proposta, visti i precedenti due full length e l'EP che diede il via alla storia della band. 'Oświecenie', che significa illuminismo, non riflette propriamente la corrente di pensiero del XVIII secolo, ossia una forma di pensiero che voleva "illuminare" la mente degli uomini, ottenebrata dall'ignoranza e dalla superstizione; direi piuttosto che il sound sembra muoversi sul versante opposto. Il disco infatti ci mette al cospetto di un suono ruvido, malvagio, tipicamente old school, che trova modo di coniugare la glacialità del black norvegese con la violenza del death metal. Brani come "Twoja Kara Wieczność Trwa" incarnano filosofie musicali che il nord Europa ha abbracciato a inizi anni '90, ove sbizzarrirsi con la furia di un riffing di matrice death, scarnificato a una forma acuminata che rispondeva ai canoni del neonato black metal. E il quartetto polacco, in nome di quei principi, sciorina una dopo l'altra delle sanguigne tracce nere come la pece, che propongono tuttavia alcuni picchi di interesse: penso alle ululanti chitarre esibite nella title track, che hanno anche modo di evolvere, attraverso una serie ripetuta di cambi di tempo, in fraseggi dissonanti sorretti da grim vocals spettrali, di scuola nordica. La cavalcata tra i ghiacci prosegue con "Nienasycony Głód", song dal piglio più compassato ma che, attraverso i pungenti armonici di chitarra, continuerà a infiammare le anime oscure. Di interesse ancora una volta l'utilizzo della parte solistica e di una linea di basso che dal primo all'ultimo minuto non cederà mai il passo. Un filo più scontate "Krzyk Rozdartych Dusz" e la successiva "Śmierć Jest Nagrodą", come se i nostri avessero sparato tutte le cartucce nel trittico iniziale e si adagiassero sugli allori con le rimanenti tracce, ma con una brutalità intrinseca che non cede certamente il passo. Il raw black degli Horns vede negli ultimi due brani un altro esempio di ferale violenza a cui abbandonarvi senza opporre resistenza alcuna, con un ultimo plauso alla tagliente linea melodica della conclusiva "Niech Wiatr Was Ukoi" che, dal minuto 2.43 al 3.21, sembrerà stritolarvi tra le metalliche corde della chitarra. Per quanto ancorati alla vecchia scuola, gli Horns suonano comunque interessanti. (Francesco Scarci)

lunedì 15 aprile 2024

Poroniec - W Po​ł​ogu

#PER CHI AMA: Black/Death
Della serie picchiare come fabbri, questa sera vi presentiamo 'W Po​ł​ogu', atto primo dei polacchi Poroniec. Una tempesta sonora che potrebbe essere assimilabile al moniker dei nostri che si rifà a un demone maligno della mitologia slavonica, dotato di una faccia deforme, nato dall'anima di un feto morto intenzionalmente, e direi ben rappresentato nella cover del disco. Non lasciatevi pertanto tranquillizzare da quell'intro melliflua che apre il disco, perchè ben presto verrete investiti dalla furia disumana del duo di Kraków, che in "Nieprzystępni" vi travolgerà brutalmente con un black death senza troppi fronzoli, comunque tecnicamente valido e interessante. Produrre musica originale al giorno d'oggi è diventato qualcosa di più unico che raro, quindi sarà meglio non riporre troppe aspettative in fatto di originalità della proposto, e semmai sarà meglio gustarsi questo treno impazzito che vi si scaraventerà addosso, traccia dopo traccia, il suo enorme carico di odio. I brani scorrono veloci che è una meraviglia, tra parti cazzutissime e altre più rallentate ("Niedorzeczności"), dove la band arriva a proporre addirittura cori puliti (e anche una voce femminile in sottofondo, che dovrebbe appartenere a Hekte Zaren degli Adaestuo) che fanno da contraltare a un growl possente e convincente, oltre che a ritmiche dapprima oblique e poi sparate a velocità impressionanti, ma sempre permeate di una sottile epicità di fondo che renderà l'ascolto di 'W Po​ł​ogu', un'interessante esperienza conoscitiva. "Moralności" continua sulla falsariga delle precedenti, affidandosi a una disarmonica e compassata linea di chitarra su cui poi imbastire le varie accelerazioni, distorsioni, rallentamenti e incursioni di altre ospiti (la già citata Hekte e tal Justyna Walczyk) che vanno ad arricchire un brano che altrimenti rischierebbe di finire nell'anonimato. Il disco è comunque solido, e lo testimoniano anche altre song, dalla malinconica "Przypadłości", passando per la glacialità post black affidata agli splendidi tremolo picking di "Mądrości", fino ad arrivare ai 13 minuti conclusivi di "Wątpliwości", che condensano tutte le peculiarità esibite dal combo polacco. Si passa infatti con somma disinvoltura dal black mid-tempo iniziale al debordante sound innescato attorno al terzo minuto, per poi rallentare pericolosamente un minuto più tardi. I nostri ci offrono poi un demoniaco e salmodiante intermezzo ambient tra il settimo e il nono minuto, per finire di scardinare ogni barriera sonora nella coda del brano e sancire definitivamente la loro pericolosità strumentale. (Francesco Scarci)

Deathlike Dawn - Among the Graves of the Archetypes

#PER CHI AMA: Black Old School
Melodie sinistre, oscure e malefiche per un black metal avvolto da profondo mistero. Stiamo parlando dei polacchi Deathlike Dawn e del loro secondo album, 'Among the Graves of the Archetypes', uscito a distanza di quattro anni dal precedente 'Deliria and Dreams'. Un disco che affonda sicuramente le proprie radici nel black old school anni '90, con tanto di scricchiolanti riff, ridondanti ritmiche (come il buon Burzum era solito infarcire i propri lavori) e gracchianti grim vocals, il tutto impastato da un suono sporco e cattivo, in cui gli strumenti non sono peraltro cosi facilmente identificabili. Eppure, nonostante quello che sembra essere un bel pastrocchio, il disco dei nostri riesce a cogliere la mia attenzione e generare comunque emozioni piacevoli. I primi due pezzi, "A Monument I Shall Raise in Flame" e "Plutonic Ether" li trovo davvero buoni, per quanto non propongano nulla di innovativo nel loro ipnotico incedere di chitarre e azzeccatissime melodie che non tolgono comunque quell'impatto old school alla release. Sembra infatti di essere catapultati indietro nel tempo di 30 anni quando (i futuri) mostri sacri norvegesi, si stavano affacciando sulla sena. E penso ai primissimi Enslaved, Emperor, Dimmu Borgir, Burzum e Gehenna, e le loro proposte di black minimalista ma comunque contraddistinto da un piglio atmosferico, che alla fine convergeranno tutte insieme nelle note di questo disco marcescente ma indovinatissimo. Nella proposta dei Deathlike Dawn ci sento poi anche un che del cosmic black dei Darkspace, soprattutto nel secondo brano, che inizia all'insegna di un black doom, per poi evolvere con i suoi synth e tastiere, verso un black atmosferico, in grado di creare una sorte di sospensione del tempo. Con "Forked Tongues of Eternal Fire", il duo di Wrocław esibisce un black più tirato, che ammicca anche ai Windir nella linea delle chitarre in super tremolo picking. Che dire, se non che tutti gli amanti di simili sonorità, dovrebbero approcciare questa nuova realtà polacca, per lo meno per dargli un'occasione. Io mi sento di dargliela, anche laddove i nostri non offrono palesemente nulla di originale. Ascoltare però "Darkly Treads the Twilight" è un po' come riscoprire 'Vikingligr Veldi' degli Enslaved, mentre con la rutilante "In Tenebrous Depths, a Transfiguration" mi lascio piacevolmente investire dalla martellante contraerea dei nostri. In chiusura la caustica "Dew and Blood", pezzo rabbioso ma che forse non concede grosse emozioni, se non nel comparto solistico, dove la band si diletta con ottimi assoli e una furibonda cavalcata conclusiva. Nostalgici. (Francesco Scarci)

martedì 10 ottobre 2023

Signs of the Dying Summer - Promenada Ciszy

#PER CHI AMA: Depressive Black
"L'estate sta finendo..." cantavano i Righeira in Italia nel 1985. La band di quest'oggi deve aver preso ispirazione da quel mitico tormentone di quasi 40 anni fa. A parte i miei deliri giornalieri, oggi abbiamo a che fare con i Signs of the Dying Summer (segni di un'estate che sta morendo, tradotto letteralmente) e del loro secondo lavoro 'Promenada Ciszy', edito dalla Putrid Cult, etichetta polacca attiva nel mondo black/death dal 2011. Tornando al terzetto di oggi, posso aggiungere che l'album include sei tracce (più la cover "Stalemate" dei Katatonia), tutte con lo stesso titolo del disco, a parte la progressione numerica accanto al titolo e il genere? Trattasi di black dalle forti tinte malinconico/depressive che mi conquistano sin dal primo tocco tastieristico dell'iniziale "Promenada Ciszy 1", song che parte sparata al fulmicotone, per poi fare una bella inversione di marcia, tra spettrali tastiere blackgaze, cori quasi celestiali ed una marcata linea melodica che smorza la furia bieca dei momenti più violenti. Insomma, pensavo si trattasse del classico album di infernale black old-school, vista anche la cover in bianco e nero, e invece mi sono dovuto ricredere e anzi, apprezzarne i contenuti. Contenuti che si confermano egregiamente curati anche nel secondo capitolo del cd che inizia addirittura con un trittico formato da clean vocals (stile Rammstein), synth e batteria, in un suggestivo e psichedelico impianto sonoro di facile presa, che contribuisce immediatamente a metterci a proprio agio prima della iper melodica spinta black che completa, in modo intrigante, la proposta del trio di Poznań. Coinvolgenti direi, non me lo sarei mai aspettato, devo ammetterlo. E si continua con soffuse melodie anche nel terzo frammento di questo lavoro, una song che sembra lanciarsi in digressioni dark wave interrotte da brevi scorribande black, per un effetto conclusivo davvero interessante. Più violenta e thrash oriented, la quarta traccia che picchia come il classico fabbro, tra nitrogliceriniche ritmiche e rasoiate alla sei corde, prima di abbandonarsi ad una parte più atmosferica a metà brano che ammorbidisce l'approccio qui più nichilistico della band. Risultato positivo, ma in questo modo i nostri sembrano appiattirsi con la moltitudine di band che pullula nella scena. Meglio "Promenada Ciszy 5", dove emerge anche una vena post punk, che confluisce in un sound sempre più strutturato e ricco di sorprese, che in coda va palesemente ad evocare spettri dei Katatonia che furono. E 'Promenada Ciszy', nella sua sesta tappa, propone un pezzo bello acido che chiama in causa con più evidenza, gli amici Shining, sebbene mostri poi atmosferiche infiltrazioni dark post punk. In chiusura dicevo, la cover dei Katatonia è servita. Utile per farmi rivivere emozioni che non provavo da tempo, ma inutile per una rivisitazione non troppo convincente che tuttavia non inficia la mia valutazione finale di questo lavoro. Bravi. (Francesco Scarci)

Dominance - Slaughter of Human Offerings in the New Age of Pan

#PER CHI AMA: Black/Thrash
Ricordate i deathsters italiani Dominance? Ecco quelli di oggi non c'entrano niente, visto che sono polacchi, 'Slaughter of Human Offerings in the New Age of Pan' è il loro debutto, e questi qui suonano poi black metal. Vi ho disorientati a sufficienza? Allora lascio la parola alla musica del trio originario di Szczecin che si propone con otto tracce, 30 minuti e pochi spiccioli di black thrash old-school, pieno di rabbia e sofferenza che si concretizza attraverso le note abominevoli ed efferate di "Battlefield", dotata di un riffing affilato come un rasoio, screaming vocals super caustiche, velocità vertiginose e giusto una parvenza di melodia a completare un quadro che si confermerà assai similare anche lungo la seconda "Blood Countess", song che sfodera tuttavia un poderoso assolo, qualche ritmica più thrashettona ma comunque un sound schietto e privo di troppi compromessi. Le polveri continuano a bruciare in "Deadly Winter", la traccia più breve del lotto, ma che mette in bella mostra un'interessante linea di basso su un'incessante ritmica che vede qualche sporadico rallentamento. La furia nichilistica del trio della Pomerania dell'ovest si fa ancor più largo in "Ritual", un pezzo in cui si avverte maggiormente la vena scandinava (Marduk e Dark Funeral) nelle taglienti linee di chitarra, sparate costantemente a velocità iper mega sostenute, che si protrarranno anche nelle successive e maligne song, che vedono i nostri affrontare nelle loro liriche, guerra, odio e morte, temi ahimè molto di attualità negli ultimi tempi. La summa di tutto questo si concretizza in "Human Holocaust" e il suo incipit thrash old-school (scuola Sodom), a cui si aggancia poi un riffing marcescente di scuola nordica. Il disco insiste su queste coordinate anche nelle ultime song che vanno a sottolineare quanto la band sia radicata in antichi stilemi musicali di cui apprezzarne comunque la solida coerenza. (Francesco Scarci)