Interviews

venerdì 16 maggio 2025

Cardiac Arrest - The Stench of Eternity

#FOR FANS OF: Death Old School
There are some pretty good old school death metal bands from Chicago, amongst them in the scene would be Cyanide (spelled "Cianide"), who has been somewhat inconsistent in releasing LPs over their long career & this band Cardiac Arrest (US) who has been quite consistent. They've maintained the same lineup for quite some time as well, which goes to show you that this form of entertainment (extreme death metal) they're quite serious about.

I look for specific things in critiquing extreme metal albums, mainly the music, the vocals, the recording quality & if it's a continual progression musically or about the same. On here, compared to 'The Day That Death Prevailed' (2020), it is definitely a progression musically & a more mature release on top of that. Seems that they've really blown my hair back with this one because you've got at least three different voices transpiring on a given song & the guitar riffs that are brand-new covering all under that, as well as the unrelenting aggression factor!

A lot of their earlier LPs out there don't include the lyrics. The vinyl/CDs/tapes are now beginning to include the words so it's more known that to which their brutality lies, besides just along the music. Only the last 2 LPs have featured the words. A personal favorite from frontman Adam Scott is the song "Victims of Blasphemy" (track 2 on here). I've actually found that ALL THE SONGS are my favorites. There's none that are really bland to me, seems intriguing because as much as I like their previous releases, not ALL THE SONGS were my favorites.

I did not find any holes or gaps on this LP, it is continually HEAVY, it is original sounding & it is very consistent. You can hear the guitars, the bass & drums quite well, on some of their previous LPs, especially the earlier material was good but the recording quality (despite the well composed music) was a little void. You'll hear everything on this one, it's balanced out & not overly recycled. It's quite surprising because not a lot of old school death metal bands continue to evolve. They either die-out, or they just don't evolve. CA is living on since 1997, show support for them as they continue to RAID Chicago & worldwide! Make this one a part of your collection! (Death8699)


(Hells Headbangers Records - 2024)
Score: 78

https://cardiac-arrest.bandcamp.com/album/the-stench-of-eternity

giovedì 15 maggio 2025

Fog - The Endless War

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine

#PER CHI AMA: Raw Black
Dopo la solennne intro di tastiere ed effetti vari da battaglia, questa one-man-band italica inizia a suonare brani più articolati, grezzi ma ottimamente realizzati in ogni loro passaggio, completando e rilasciando un’atmosfera cupa e triste. Di stile sicuramente minimale, i nostri alternano sfuriate secche a rallentamenti pervasi da melodie oscure come quelle della prima canzone, "The Eye", poi seguita da una song più lenta ("The Army of the Dead") alla maniera dei Darkthrone più ragionati e Carpathian Forest. Queste sono anche le influenze che ritroviamo nel loro demo, con ritmi pure più sciolti, e con attacchi di chitarra più enfatici. A metà brano subentra addirittura un intermezzo gregoriano, tetro e a tono; una voce gracchiata compassata, come tutto il resto old style, scorre lungo il nastro concluso dall’ottima “Carpathian Forest”, cover del gruppo omonimo.
 
(Self - 2000)
Voto: 70
 

martedì 13 maggio 2025

Daniel Cavanagh - Monochrome

#PER CHI AMA: Acoustic Rock
Costruita su un arpeggio intrinseco nelle corde ma soprattutto nei martelletti emotivi di D-mollatodallamorosa-C, e modulata in un crescendo emozionale archetipico di certi Anathema anni-10, però più dilatato e meno immanente di, per esempio, "The Lost Child", l'introduttiva "The Exorcist" conferma e al contempo nega, ciò che era evidente già dalla copertina del disco. Uno. Che la morosa di D-C è ufficiale, ha un altro. Due. Che questo non è un album ma una cazzuolata di scarti che nessuno si è preso la briga di terminare realmente. Lo si capisce ascoltando i testi, elementari e goffi e imbarazzanti al punto da fornire il comunque mediocre meglio di sé nei momenti, diciamo così, dadaisti ("...Aaa aaa / aaa aaa..." di "Oceans of Time" o "...Uuu uuu / uuu uuu..." di "Some Dreams Come True", mentre tutto il pochissimo resto è una specie di anagramma semantico di "I feel you / You feel me") e ancor prima, leggendo titoli ("Oceans of Time", Cristo santo, "Some Dreams Come True", vaccamaremma, ecco, siamo dalle parti di Debbie Gibson e Patsy Kensit). E lo si sente nei suoni dilataaaaaati, per quarantotto minuti tirati e tirati e tirati col mattarello fino a farli diventare sottilissimi. "This Music", brumosa, pedante, il ritaglio della parte due di una delle canzoni fichissime divise in due parti che introducevano gli album fichissimi degli A-anni-10 (ricordate "Untouchables"? Bene, dimenticatela) con una spaesata Anneke van Giersbargen al posto di Lee D.. E poi "Oceans of Time" (ma voi vi spazientirete parecchio prima), ancora più brumosa, ancora più pedante, il ritaglio del ritaglio della p.d.d.u.d.c.f.d.i.d.p.c.i.g.a.f.d.A.a.10, e ancora, "Some Dreams Come True", l'ancor più interminabile chiusura dell'interminabile canzone precedente. Il crescendo di "Soho", sforzato, trattenuto, tutto tranne che tumultuoso (ricordate "The Calm Before the Storm"? Bene, dimenticatela). Impudicamente celtico, il violino di "Dawn" rappresenta l'unico sussulto, assieme alla eccellente progressione pianistica di "The Silent Flight of the Raven Winged Hours", capace di ergersi al di sopra di questa sconfinata noia sinestetica e monocromatica (il titolo dell'album è involontariamente impietoso). Troppo poco per chiunque. Ma soprattutto per D-mollatod.m.-C. (Alberto Calorosi)

lunedì 12 maggio 2025

Čad - Deadnation

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Death/Grind
Suonano una sorta di grind death delirante con chitarre e basso molto pesanti e grezzi, al pari della registrazione dei brani. La batteria è costantemente in contro-tempo, minimale ma sempre con un effetto finale diverso. Incessanti i cambi di tempo, cosi come le accelerazioni, le rotture, drastiche, delle battute. Così si alternano e s'introducono violentemente gli strumenti, l’uno complementare all’altro, su un cantato cupamente gutturale o su un falsetto stridulo viziato da varie urla schizzate, quasi soffocate; queste voci spesso mostrano una marcata, anche troppo però, vena ironica che prende in giro tutto e tutti, tra cui anche vecchie hit rock. Nei loro numerosi intro propongono anche scenette, sarcastiche fino al fanciullesco. Scherzano il punk nel cantato pulito di cantare, o ironizzano in alcuni titoli dei brani ("Greeting from Hiroshima"). A volte si dimenticano quasi della musica per lasciar posto a una invadente allegria proponendo diversi intermezzi che sarebbero stati decisamente migliori se fossero stati più mirati, come la rumoristica-strumentale "March of Machines" che fa marciare un forte fruscio, risultando alla fine anche un po’ monotona. L’ultima song poi, è un miscuglio di funky e ska, due generi affini ma totalmente estranei a quanto ascoltato sin qui.
 
(Downfall Records - 2000)
Voto: 62
 

sabato 10 maggio 2025

Aeonist - Deus Vult

#PER CHI AMA: Atmospheric Black
Dalle placide e misteriose terre slovene emergono gli Aeonist, un progetto solista orchestrato dall’enigmatico polistrumentista Tilen Šimon. Dopo il promettente debutto sulla lunga distanza dello scorso anno, Šimon torna con 'Deus Vult', un EP composto da tre tracce in cui il black metal atmosferico s'intreccia a melodie medievali e suggestioni dungeon synth, evocando un’aura dal fascino antico e templare. Concepito come un viaggio musicale in tre atti, 'Deus Vult' si erge come un monolito di introspezione oscura, un’ode alla volontà divina, immersa in un paesaggio sonoro di gelo e malinconia. Si parte con "Deus Vult I", dove una ritualistica base di synth apre la strada a una chitarra dai toni eterei e spettrali. L’atmosfera evoca le mura di un’abbazia dimenticata, con melodie che s'innalzano come preghiere e un canto disperato che sorge nel cuore del brano. Qui il black metal prende forma su un mid-tempo solenne, mentre cori quasi monastici verso la fine, intensificano l’esperienza, donando profondità al brano nonostante una lieve tendenza alla ripetitività. Con "Deus Vult II", l’EP si addentra in territori più cupi, aprendo con un passo quasi doom che lascerà spazio da l' a poco, a un black più frenetico e soffocante. Šimon modula il suo screaming con una rabbia controllata, accompagnando l’ascoltatore in un viaggio opprimente attraverso le ombre della storia medievale, fatta di fede assoluta e terre flagellate dalla peste. Pur arrivando a sfiorare i dieci minuti di durata, il brano risulta talvolta appesantito da una certa ridondanza compositiva che ne diluisce leggermente l’impatto emotivo. Infine, "Deus Vult III" chiude l’opera con un’atmosfera contemplativa dominata dai sintetizzatori dungeon synth. Sebbene il brano tenda a concludere l’EP forse troppo rapidamente rispetto al potenziale evocativo dei due capitoli precedenti, questo racchiude comunque quel senso di chiusura ritualistica che caratterizza l’intero lavoro. Non vi resta che accendere una candela, chiudere gli occhi e lasciare che queste tre invocazioni vi trascinino in un abisso di gloria e rovina. (Francesco Scarci)

venerdì 9 maggio 2025

200 Stab Wounds - Manual Manic Procedures

#FOR FANS OF: Death Metal
This follow-up is actually NOT entirely like the first, nor is it recycled like so many bands after successful debut releases! This took around 3 years to complete, but well worth the wait!
 
I've found this to be a better quality recording & the guitars are ABSOLUTELY/genuinely & increasingly more wicked! When I say this as it refers to a musical standpoint, I mean that they've stepped-up & devolved stronger riff-writing! This LP is also featuring fresh material that I'm guessing took quite a while to come up with! I also enjoy the vocal trade-offs, it seemed to spice things up quite a bit! An excellent effort, just wished it was better received. I did think after the first LP that they had a lot of people hoping that the sophomore effort would be stronger. And well, the recording quality was a step-up; others thought that the music may’ve been better on their debut, not on this one. I’ve found that pretty much equally they’re musically strong, the first just the sound quality was not as up-to-par.
 
As the LP progresses, it doesn’t let up in intensity, nor does it fall to unto utter staleness or blandness. It’s rather consistent & intriguing, as deafening sounds rip through your speakers! I was quite impressed with the overall musicianship, especially some relatively newer death metal musicians involved in the scene!
 
The only negative thing I have to say is that the album is only a little under 30 minutes. That's all right though because you’ll be (I’m sure) impressed with this band’s follow-up! 200 Stab Wounds have made two official music videos from 'Manual Manic Procedures' called "Hands of Eternity" & “Gross Abuse.” Check them out on YouTube! (Death8699)
 
(Metal Blade Records - 2024)
Score: 80
 

mercoledì 7 maggio 2025

Obliterate - The Feelings

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Death/Grind
Questo gruppo propone un ben scandito death metal con stacchi grind e una voce che ricorda spesso Chris Barnes (Six Feet Under, ex Cannibal Corpse), anche se altre volte invece è strillata. Ma la troveremo anche sussurrata e pulita. L’influenza più evidente nelle sonorità e nello stile, fa riferimento però ai Napalm Death di 'Fear, Emptiness, Despair…', ma quello di oggi, è un album costantemente cadenzato e secco. I pezzi si susseguono non con molte variazioni, ma quelle poche che ci sono, sembrano ben azzeccate. La maggior parte dei braniè guidato dalle chitarre e dall’ossessività tipica del genere, instaurata quest'ultima, dalla batteria. Ben suonata ma canonica. I tempi sono più rallentati là dove un’arida atmosfera deve prevaricare sulla brutalità, cosi come accade in "Indian Holocaust". Sporadici i giri taglienti. Vi è molta alternanza di tempi ma poca caratterizzazione dei brani. L’ultima canzone è l’unica propriamente grind, una scheggia di 13 secondi. Pure la copertina ricorda i Napalm Death. Esprime bene però il concetto sottinteso dal loro nome, Obliterate.
 
(Erebos Productions - 2000)
Voto: 62
 

martedì 6 maggio 2025

Sunrot - Passages

#PER CHI AMA: Sludge/Drone
I Sunrot si trascinano fuori dalle fogne del New Jersey con 'Passages', un EP di cinque tracce rilasciato dalla Prosthetic Records, come un caso irrisolto lasciato a marcire. Nato negli stessi vicoli creativi di 'The Unfailing Rope', questo EP in realtà non ne rappresenta un seguito, ma una piaga che si gonfia, un groviglio di sludge e noise che si contorce per sedici minuti in un vicolo cieco di sofferenza. Questo quintetto non ha carezze da offrire, solo il tanfo di un’esistenza schiacciata sotto un cielo di piombo, un biglietto per un passaggio che finisce dritto nell’oblio. "Death Knell" è il primo passo, ma non c’è musica: solo un ronzio che stride come il respiro di un ubriaco che sta tirando le cuoia. È un’apertura cruda, un’ombra sonora che afferra alla gola e non molla. Poi arriva "The First Wound", con Dylan Walker dei Full of Hell alla voce, che si unisce al gioco come un sicario in prestito: i riff strisciano come larve su un corpo freddo, il drumming colpisce come un pestaggio in un parcheggio deserto, e le urla si mescolano in un coro di anime perse. È una ferita slabbrata, un ricordo che puzza di marcio sotto strati di distorsione, un urlo che svanisce nel frastuono di una città che non dorme mai. "Sleep" è un vicolo senza uscita. Con Brandon Hill degli Stress Test alla voce, mi aspettavo un indizio, magari una svolta, ma è solo un rumore informe, voci filtrate che si perdono come parole sussurrate in un confessionale abbandonato. È un sonno da barbiturici, un’interruzione che ti lascia a galleggiare in un nero senza fondo. "Untethered" inizia lento, un bagliore post-metal che si spegnerà subito in un riff sludge in grado di pestarti come un creditore incazzato. In sottofondo, il violoncello di Jack Carino entra in scena come un lamento che taglia il buio, mentre le voci si torcono accanto allo screaming acido del frontman, in un dialogo tra fantasmi in una stanza senza porte. "Ra" chiude il dischetto, ma non c’è soluzione: spoken words si mescolano a disturbanti derive droniche che ronzano come un neon rotto in un motel di quart’ordine. È un addio che non dice niente, un epilogo muto e opaco. (Francesco Scarci)

(Prosthetic Records - 2025)
Voto: 65

https://sunrot.bandcamp.com/album/passages

lunedì 5 maggio 2025

Dominus - Godfallos

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Groove Metal
Crossover o che cos’altro? Il suono dei Dominus mi ha lasciato con questo dubbio atroce. Non ho ascoltato quello precedente, ma se come dicono era in stile death, questo sicuramente non ripercorre la medesima strada. Anzi, il loro progresso è sicuramente calato se le loro intenzioni ricadevano a imitare malamente Metallica e Pantera. E proprio in queste ispirazioni, è diviso un album deludente: la prima rappresentata quindi dai Pantera, specialmente nel cantato, che ricorda senza alcun dubbio Phil Anselmo e nella seconda, da parti di chitarra di chiara ispirazione Metallica, dove anche la vocalità cambia di tono, prendendo la forma di un altro famoso cantante, James Hetfield. Alla fine 'Godfallos', non è un album totalmente inascoltabile, ma in giro c'era e c’è sicuramente di meglio di questi inutili Dominus.

(Progress Records - 2000)
Voto: 45

https://www.metal-archives.com/bands/Dominus/2911

domenica 4 maggio 2025

Onirophagus - Revelations from the Void

#PER CHI AMA: Death/Doom
A volte la buona riuscita di un album dipende anche dal moniker della band, non credete? Gli spagnoli Onirophagus, con questo nome, non partono già bene, diciamolo chiaro e tondo. La proposta poi di 'Revelations from the Void', terzo lavoro per il quintetto catalano, non brilla in fatto di originalità: cinque lunghi brani di death doom canonico che abbiamo sentito e risentito nel corso degli ultimi 30 anni. "The Hollow Valley" apre il cd con riff di chitarra pesanti come un macigno che si trascinano senza mai realmente raggiungere un climax significativo, mentre il growl potente di Paingrinder, evoca un senso di terrore e oscurità. Le percussioni provano ad aggiungere un po' di dinamismo, accanto ad alcune accelerazioni black nel finale, ma il risultato pare alquanto prevedibile. Attenzione, non sto parlando che quello fra le mani sia un brutto album, ma ecco, pur esplorando una vasta gamma di ritmi e stili, con momenti di lentezza opprimente alternati a sezioni ritmiche più dinamiche, non sento la freschezza che mi sarei aspettato. E la successiva "Landsickness" sembra sprofondare ulteriormente in territori derivativi sin dai suoi giri iniziali di chitarra, chiamando in causa le sonorità più retrò di gente come Officium Triste e Saturnus nei momenti più doomish, e Avulsed in quelli più death oriented. Le song scivolano lentamente, proiettandomi con "The Tome" a sonorità anni '90, evocando anche i mostri sacri My Dying Bride e i primissimi Anathema, provandone qui però ad alterare quell'inerzia con deflagranti accelerazioni death, che talvolta riescono anche a colpire nel segno, complice l'utilizzo di vocals più pulite. La ritmica rallentata di "Black Brew", con quei suoi rintocchi di campana, sembra cosa trita e ritrita, ma le caustiche accelerazioni (la parte che alla fine prediligo), ci consegnano una veste differente e meno indolente della band. In chiusura, rimane l'ultimo Everest da scalare, ossia i quasi 16 minuti della conclusiva "Stargazing into the Void", un pezzo drammatico nel suo incedere iniziale, complice anche l'utilizzo di uno splendido violino e di sonorità che rimandano anche a i The Blood Divine. Ciò restituisce lustro a una release che rischierebbe di cadere nell'anonimato della moltitudine di album che ogni giorno viene rilasciato. Il sound è comunque un onesto death doom malinconico che poco altro ha da aggiungere. Insomma, alla fine, mi sento di consigliare il disco ai soli appassionati del genere in cerca di qualcosa per riempire la loro libreria musicale. (Francesco Scarci)

sabato 3 maggio 2025

Versatile - Les Litanies du Vide

#PER CHI AMA: Industrial/Symph Black
La Svizzera si conferma terreno fertile per le sonorità industrial black. Dopo aver scritto di recente sui Borgne, è il turno dei Versatile, che fanno il loro ingresso nella scena con il debut 'Les Litanies du Vide'. Quest'album, un amalgama di black metal dissonante, industrial freddo e una certa macabra teatralità, si presenta colmo di un’energia inquietante. Pubblicato dalla Les Acteurs de l’Ombre Productions, questo lavoro offre un ennesimo viaggio sonoro complesso, arricchito di visioni apocalittiche e influenze ispirate alle catacombe parigine e alla Corte dei Miracoli. Più che suonare sinistro, l'album lo incarna, con una feroce audacia estetica. Il disco si apre con "Géhenne", un'anticamera orchestrale che prepara il terreno al travolgente “Enfant Zéro”, dove riff abrasivi s'intrecciano con un drumming implacabile e le urla strazianti di Hatred Salander. Il modernismo del black metal dei nostri emerge in una fusione di texture elettroniche e grooveggianti, che possono ricordare una sintesi tra i The Kovenant e gli Aborym, ma qui con un’anima più oscura. Inizialmente, devo ammettere che temevo di trovarmi di fronte a un gruppo con poche idee e ben confuse, ma sono stato sorpreso dalla capacità dei Versatile di equilibrare caos e struttura. Se brani come “Morphée” sembrano essere un’esplosione di declamazioni possedute e passaggi onirici, con un’intensità che alterna violenza pura a momenti di oscura poesia, un brano come "La Régente Blême", incarna la moltitudine di anime che permeano questo quartetto di Ginevra, tra ammiccamenti vampireschi e derive elettro-industrialoidi, che si fanno ancor più evidenti nella successiva "Ieshara". "Graisse" si distingue per il suo approccio prog black, con ubriacanti cambi di tempo e campionamenti che ci conducono in un racconto distopico, in una proposta sonora che potrebbe quasi evocare i nostrani Sadist. “Alter Ego” sonda territori cyberpunk, mescolando francese e inglese in un duello linguistico, che amplifica il senso di alienazione. Ciò che rende l’album davvero diabolico è tuttavia il suo approccio eclettico e innovativo. I Versatile non si accontentano di replicare il black metal ortodosso: lo smembrano, lo arricchiscono con partiture industriali e sinfoniche, ricostruendolo poi in una forma moderna e profondamente inquietante. Le chitarre di Cinis e Famine rilasciano arpeggi dissonanti mentre la batteria di Morphée colpisce con precisione cibernetica che sottolinea l'estetica industriale della band. Tuttavia, non suona tutto cosi perfetto ma glielo si può anche perdonare ai Versatile, visto lo status di debutto di quest'opera. L’assalto sonoro ridondante infatti può talvolta risultare monotono cosi come l'eccessiva complessità di alcuni passaggi rischia di attenuarne l’impatto. Ma questi sono peccatucci di gioventù, in un’opera che osa tanto da creare una definita identità. 'Les Litanies du Vide' colpisce per la sua violenza controllata e per un immaginario grottesco, che portano il black metal verso nuovi orizzonti, mantenendone intatta l'anima oscura. È un’esperienza che attrae e respinge, un’aberrazione affascinante e inquietante. Un debutto potente e visionario sicuramente consigliato agli amanti di Dimmu Borgir, Borgne o Blut Aus Nord. (Francesco Scarci)

venerdì 2 maggio 2025

Gràb - Kremess

#FOR FANS OF: Atmospheric Black
The German duo Gràb was founded back in 2015 by Gránt and Gnást, two quite active musicians who are involved in different projects related to the extreme metal scene. Contrary to other projects that release several demos prior to a full-length debut, Gràb only released an EP, but its debut 'Zeitlang' was an impressive first try and a magnificent display of German black metal. The balance between fury and melody was great, captivating the fortunate listeners who discovered this first opus.

Four years later, Gránt and Gnást are back with a sophomore album entitled 'Kremess'. A second try is always a key moment to confirm that a project can have a long-term impact on the scene, and a reasonably successful career. The new album's production has a perfect balance, equally clean and powerful, where both vocals and instruments have room to shine and be enjoyed by the listener. Stylistically, 'Kremess' is again firmly rooted in the black metal genre, but touches different palettes of the genre, sounding furious or melodic and even epic when required. The impressive album opener "Waidler" combines a barbaric/epic feeling with the always present ferocity. This track reminds me of pagan black metal bands with its powerful riffs and intense atmosphere. The title track differs a lot, as it has a strong influence from the atmospheric black metal subgenre. Nevertheless, as it happens with other compositions, the composition finds the balance between atmosphere and a more straightforward aggression as it introduces several tempo changes to create a more diverse structure. Gràb seems to master the art of reaching a perfect equilibrium between atmosphere and strength. You will find several examples throughout the album. "Kerkemoasta", for instance, has a simple, yet beautifully captivating piano. Anyway, this song goes way further than having a catchy melody, as the German duo always create pieces rich in details and dynamism.

Another highlight of the album is the excellent track "Vom Grab im Moss", where Grab masterfully combines tasteful melodic touches with tremendous guitar work. The riffing is varied and excellent, regardless of whether we focus on the most atmospheric parts or the heaviest ones. The ups and downs in intensity are crafted faultlessly, creating a truly remarkable composition. A great album like 'Kremess' needs to be closed by an equally good final track, and "Das Letzte Winter" is the memorable composition the album needed. As usually happens, this final song is the longest one, and although it is not as varied as other compositions in terms of pace, it does not lack interesting details. This is a solemn track with an intense atmospheric touch that has a truly touching final part where the melody becomes absolutely hypnotic and emotional. The vocals, the main guitar melody, and the different arrangements all form a tremendously beautiful harmony that leaves the listener engrossed.

'Kremess' is exactly what Gràb needed to confirm its immense potential. Its approach to black metal is carefully crafted with many details that enrich each composition and make them unique and undoubtedly enjoyable. A highly recommendable work. (Alain González Artola)


(Prophecy Productions - 2025)
Score: 85

https://grab.bandcamp.com/album/kremess

giovedì 1 maggio 2025

Cowards – God Hates Cowards

#PER CHI AMA: Post Punk/Noise Rock
In effetti ci ho messo un po' per assimilare 'God Hates Cowards' al meglio: tanti e ripetuti ascolti, per capire cosa mi rendesse dubbioso, ma alla fine ho capito che la differenza tra un album derivativo e un album conservativo è molta, ed è molto importante riconoscerne la differenza. Nel nuovo disco dei Cowards, ci sono suoni e trame che al primo ascolto potrebbero essere confuse o scambiate per il solito clone di band più blasonate, ma a un attento ascolto, ci si accorge che la band marchigiana ha saputo cogliere al meglio quell'essenza musicale che spinge verso un periodo di rock alternativo ben definito e per un post punk intenso e oppressivo. La sua chiave di ascolto la si può trovare nei suoni distorti di chitarra, suoni che sono curatissimi, distorsioni e riverberi adorabili che rimandano a band di culto come My Bloody Valentine, A Place to Bury Strangers, Sonic Youth, Pixies e God Machine, come in una sorta di catarsi compositiva, dove raccogliere i frutti di questi artisti per trarne ispirazione, calcarne le orme e intraprenderne un cammino sonoro similare. Ecco svelate le mie perplessità, tra il derivativo e il conservativo. Quindi, questo è un album che conserva e ripropone le teorie e le gesta magiche di band che hanno fatto la storia del rock trasversale, grigio, sonico, inserendosi tra le loro note, vivendo di persona il significato del loro suono fino a comprenderlo e farlo proprio, e partorendo alla fine un album che vale la pena ascoltare. "Storm" e "About a Friend" sono due brani molto intensi, le chitarre di "3020" fischiano che è un piacere, come le ricercate stonature chitarristiche shoegaze di "Scream". Giulia Tanoni al basso e alla voce, che divide con il chitarrista Luca Piccinini, emula i vecchi fasti di Kim Gordon, mentre è in "Barefoot Walking the Head", che la band tocca una vetta notevole tra chiaroscuri sonici, intensi e ruvidi. L'apporto di Michele Prosperi dietro le pelli, già con i Jesus Franco & the Drogas, chiamato a sostituire il membro fondatore e batterista, Peppe Carella, dopo la sua tragica scomparsa, e a cui è dedicato l'intero album, dona l'impulso necessario per rendere ancora più aggressivo e immediato l'effetto sonoro di questo lavoro. Cogliere l'urgenza creativa che si nasconde tra le note di questi brani è facile quanto capirne l'umore cupo che li ha ispirati, un intenso modo, superbamente retrò ma altrettanto attuale di fare musica, che può insegnare ancora molto alle giovani leve di oggi. Il modo più giusto, semplice e rumoroso di concepire il rock alternativo. E per cui l'ascolto è consigliato. (Bob Stoner)

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mercoledì 30 aprile 2025

Borgne - Renaître de ses Fanges

#PER CHI AMA: Industrial Black
Sono quasi tre decadi che gli svizzeri Borgne regnano incontrastati negli abissi dell'industrial black, alla stregua di una macchina sonora implacabile, che plasma paesaggi sonori che oscillano tra il caos nichilista e una malvagità primordiale. Con 'Renaître de ses Fanges', undicesimo capitolo della loro discografia, il duo svizzero guidato da Bornyhake, e affiancato dalla sempre più centrale Lady Kaos, torna a scandagliare le profondità dell’animo umano, dandoci modo di immergerci in un viaggio oscuro e tormentato, come già certificato nell'apertura affidata a "Introspection du Néant", un preludio freddo e inquietante che sembra evocare le atmosfere di un’astronave derelitta, prossima a raggiungere l'orizzonte degli eventi. Dopo un inizio in sordina, è con "Comme une Tempête en Moi qui Gronde" che il disco rivela la sua vera natura: un assalto di black glaciale, con riff distorti, melodie minacciose e una drum machine martellante che scandisce ritmi disumani, ci coglie quasi di sorpresa. La produzione, cruda e glaciale, amplifica un senso di disagio che ritroveremo forte lungo gli oltre 60 minuti del disco, mentre le tastiere di Lady Kaos aggiungono un’epica malvagità, un tocco che dona carattere ma non sempre riesce a elevare i brani oltre una formula già esplorata. Rispetto al precedente 'Temps Morts' infatti, che si distingueva per le sue digressioni elettroniche e una forte aura enigmatica, 'Renaître de Ses Fanges' appare più diretto, quasi a segnare un ritorno a un black più canonico, seppur filtrato attraverso la lente industriale. Brani come "Même si l’Enfer m’Attire Dans sa Perdition" (la traccia più lunga del lotto con i suoi quasi 11 minuti) o l'acuminata "Ils me Rongent de l’Intérieur", vanno a segno, colpendo per intensità e per i riff contorti, ma forse mancano di quei ganci memorabili che hanno reso i lavori precedenti così avvincenti. Qui, la struttura dei brani, sempre lunga e complessa, tende quasi a ripiegarsi su se stessa, con pattern di accordi che, per quanto efficaci, sembrano reiterare soluzioni già proposte nella discografia dal duo di Losanna, e probabilmente da qualche altro interprete del panorama estremo. Un elemento di forza rimane comunque inalterato nell'intelaiatura dei nostri: l’atmosfera. Si, perché anche questo nuovo album ci permette di affondare in paesaggi apocalittici, sorretti da synth eterei e da un senso di vastità che richiama, inequivocabilmente, i Blut Aus Nord o i Lunar Aurora. La conclusiva "Royaumes de Poussière et de Cendre" potrebbe rappresentare il momento più ispirato, con quel suo mid-tempo affranto e un’atmosfera avvolgente che sembra suggerire una profondità stilistica che il resto del disco non sempre mantiene. Eppure, anche qui, si avverte una certa mancanza di audacia: dove 'Temps Morts' osava con deviazioni sperimentali, 'Renaître de ses Fanges' si accontenta di consolidare un suono ormai familiare, senza spingersi oltre i confini che i Borgne stessi hanno tracciato in passato. Forse, non aiuta il confronto con la loro storia, avendo costruito la propria carriera su un’evoluzione costante, alternando pulsioni sperimentali a una ferocia old school. Quest'album, invece, sembra un passo indietro, un’opera che, seppur ben confezionata, non riesce a eguagliare la personalità travolgente di 'Y' o l’audacia di 'Temps Morts'. In definitiva, 'Renaître de ses Fanges' è un album che non delude, ma nemmeno esalta. È un viaggio oscuro e ben eseguito, capace di trascinare l’ascoltatore in un vortice di disperazione e caos, ma che manca di quella scintilla innovativa che aveva reso i precedenti lavori così memorabili. (Francesco Scarci)

martedì 29 aprile 2025

The Pit Tips

Francesco Scarci

Fugit - Cieli di Porpora
Aran Angmar - Ordo Diabolicum
Deafheaven - Lonely People With Power

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Alain González Artola

Old Forest - Graveside
Hesperia - Fra Li Monti Sibillini
Wardruna - Brina

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Death8699

Dark Tranquillity - Projector
Metallica - Kill‘em All
Midnight - Hellish Expectations

domenica 27 aprile 2025

Ex Deo - Year of the Four Emperors

#PER CHI AMA: Symph Death
Gli Ex Deo tornano con 'Year of the Four Emperors', un EP che s'inserisce con decisione nel solco dell’epic death metal, un terreno che la band canadese calca da parecchi anni sotto la guida di Maurizio Iacono. Questo lavoro, ispirato al turbolento anno 69 d.C., si compone di quattro brani che cercano di catturare il peso della storia romana attraverso un sound robusto e narrativo. Non mancano intensità e ambizione, anche se il risultato non scuote le fondamenta come potrebbe suggerire il tema. Il disco si apre con “Galba”, un brano che avanza con riff solidi e ritmi marcati, accompagnati da arrangiamenti sinfonici che tentano di riflettere le tensioni dell’epoca. L’effetto è suggestivo, un’immersione sonora che richiama le lotte di potere di un impero in crisi, anche se non sempre la forza delle note raggiunge l’epicità promessa. Segue “Otho”, più cupo e complesso, un pezzo che richiede attenzione per essere apprezzato, ma che non devia dalla struttura ormai consolidata degli Ex Deo. “Vespasian” e “Vitellius” chiudono l’EP, offrendo un’alternanza di chitarre più controllate e sezioni orchestrali che omaggiano i protagonisti storici, senza però spingersi troppo lontano dal sentiero battuto nei lavori precedenti. 'Year of the Four Emperors' non si limita a essere un semplice episodio di death metal: prova a esplorare territori più ampi con dinamiche variegate e una certa complessità strutturale, suggerendo un’evoluzione, seppur cauta, rispetto al passato della band. Si percepisce come un punto di passaggio, un’interlocuzione tra ciò che gli Ex Deo sono stati e ciò che potrebbero ancora diventare. La produzione è curata e l’intensità rimane costante, ma l’impatto complessivo non travolge. È un ascolto valido per chi apprezza il genere e il connubio tra musica e storia, senza però rappresentare una svolta memorabile. Roma rivive, sì, ma con un’eco che non sempre risuona con la forza che ci si potrebbe attendere. (Francesco Scarci)

(Reigning Phoenix Music - 2025)
Voto: 68

https://www.facebook.com/exdeo

sabato 26 aprile 2025

Psycollapse - Taste Of Anguish

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Death Metal
Questi Psycollapse nacquero dalle ceneri degli ex Sepolcral (e dopo questo lavoro, come Sepolcral sono tornati a esistere/ndr). La loro proposta era all'insegna di un soffocante death metal di devastante carica e potenza. Tecnicamente preparati, proponevano nei loro brani cambi di tempo repentini. Il sound riprendeva chiaramente caratteristiche del death americano, ma veniva impreziosito da arpeggi di chitarra e da parti di basso ben in evidenza. All’ascolto si percepisce la professionalità e la disinvoltura nel trattare questo genere. La registrazione, pur essendo di buon livello a parer mio, non sembra essere stata effettuata in uno studio professionale, quindi non oso immaginare quale brutalità potesse scaturire da una registrazione più appropriata. Ora andatevi pure a riprendere i Sepolcral.

giovedì 24 aprile 2025

Iotunn - Kinship

#PER CHI AMA: Melo Death
 'Kinship', il secondo album del gruppo danese Iotunn, è un'autentica pietra miliare che ridefinisce i canoni del progressive death metal. Pubblicato il 25 ottobre scorso, rappresenta non solo una degna prosecuzione dell'acclamato debutto, 'Access All Worlds', ma anche una dichiarazione di maturità artistica e musicale che va ad alzare ulteriormente l'asticella. L'album si apre con "Kinship Elegiac", una traccia mastodontica di quasi 14 minuti che cattura immediatamente l'attenzione grazie alla sua imponenza. Qui la band fonde con maestria riff robusti e melodie rarefatte, dando vita a un intreccio sonoro che riesce a essere tanto maestoso quanto intimo, merito soprattutto delle straordinarie interpretazioni vocali di Jón Aldará (Barren Earth, Hamferð, ex-Solbrud), una vera punta di diamante. Il loro stile potrebbe richiamare influenze da band come Wintersun e Amorphis, ma è proprio la voce di Jón, particolarmente incisiva nelle linee pulite rispetto al growl, a rendere l'intero lavoro irresistibile, aggiungendo un valore unico. Non sorprende quindi che 'Kinship' sia rapidamente entrato nella mia personale top 5 del 2024. Ogni brano si sviluppa come un racconto carico di pathos, arricchito da cambi repentini di ritmo e dinamiche che tengono l'ascoltatore incollato, come travolto dall’energia delle ritmiche, dal magnetismo vocale del frontman, dalle melodie di chitarra mozzafiato e dagli assoli coinvolgenti. Pezzi come "Mistland", la travolgente "The Coming End", e la roboante "Earth to Sky" sono veri capolavori: i loro ritornelli epici, le parti più atmosferiche e gli assoli sensazionali (spettacolare quelli della conclusiva e più introspettiva "The Anguished Ethereal") sottolineano una capacità tecnica ben oltre la media. In conclusione, 'Kinship' si profila come un autentico capolavoro nel panorama metal, che non solo supera brillantemente le aspettative dei fan, ma si impone come uno dei lavori più memorabili degli ultimi anni, grazie alla sua combinazione impeccabile di potenza sonora, testi evocativi e una produzione di altissimo livello. Destinato a essere un classico intramontabile, 'Kinship' invita ad ascolti ripetuti per scoprire ogni dettaglio e sfumatura della sua immensa bellezza. (Francesco Scarci)
 
(Metal Blade - 2024)
Voto: 88
 

lunedì 21 aprile 2025

Mesarthim - Anthropic Bias/Departure

#PER CHI AMA: Cosmic Black
Una delle band più enigmatiche del panorama estremo è sicuramente rappresentata dagli australiani Mesarthim, che se ne escono con questo nuovo 'Anthropic Bias/Departure', che raccoglie in realtà, due singoli usciti rispettivamente nel 2022 e 2024. Ora, che siano due brani, non significa che la durata del lavoro sia esigua, visti i quasi 37 minuti di suoni che il duo aussie ci propone, miscelando, come al solito, elementi di black metal atmosferico con pesanti influenze electro-ambient, in grado di evocare immagini spaziali, attraverso una musica che si muove tra momenti di intensità estrema e fasi più contemplative. Il titolo suggerisce una tematica legata al bias antropico (l'inclinazione umana a vedere se stessi come centrali nell'universo) e alla partenza o all'allontanamento da questo punto di vista. Probabilmente (non ho le liriche nelle mie mani), proprio da questi temi cosmologici, i nostri decollano in direzione della loro galassia lontana, sprigionando quel propellente sonoro che si muove lungo le coordinate di un black atmosferico, su cui pennellare quei deliziosi grovigli di synth pulsanti. E poi, proprio su questi due elementi, giocare su un'alternanza tra parti più glaciali di chitarra e partiture elettroniche, che però sulla lunga distanza potrebbero anche stancare, data una certa prolissità nel ripetere certe strutture estetiche. Trattandosi di due soli brani, uno di 17 e l'altro di 19 minuti, non vorrei soffermarmi (e sfiancarvi), descrivendoli nei minimi dettagli. Le peculiarità rimangono infatti le medesime dei precedenti sei album e nove EP, garantendo quindi quelle classiche progressioni melodiche, corredate da un (ab)uso nell'utilizzo dei synth, su cui poi si stagliano le screaming vocals del cantante. Ecco, quindi niente di nuovo sul fronte orientale, tanta buona musica che ha un solo difetto: rischiare di diventare scontata. (Francesco Scarci)

sabato 19 aprile 2025

Wormwood - The Star

#PER CHI AMA: Melo Black
I Wormwood sono noti per il loro sound che mescola elementi di black metal con influenze melodiche e atmosfere evocative. 'The Star' rappresenta la quarta tappa della loro carriera, cominciata ormai nel 2014. E proprio in occasione del decennale della band, lo scorso anno ha visto l'uscita di quest'album ad andare a esplorare temi legati al collasso della società attraverso la loro lente oscura. Sette i brani a disposizione del quintetto di Stoccolma, a cominciare dall'iniziale "Stjärnfall", cantata in lingua madre, e che mette da subito in mostra le caratteristiche della band scandinava, ossia quello di alternare passaggi aggressivi e momenti più melodici (si ascolti il lungo break atmosferico di "pink floydiana" memoria, per capire cosa intendo), creando un contrasto che tiene l'ascoltatore coinvolto per tutto il tempo, nonostante la proposta dei nostri non brilli proprio in termini di originalità. Eppure è proprio grazie a questa modalità, all'uso di vocals sia in screaming che più pulite e accattivanti, che l'attenzione si mantiene sempre ai massimi livelli. Se passiamo a "A Distant Glow", non possiamo non notare le affinità con i Katatonia di 'Brave Murder Day' e non posso che esultare di fronte alle facili e melodiche linee di chitarra proposte. Parimenti, "Liminal", ma in generale un po' tutti i brani qui contenuti, mostrano caratteristiche piuttosto simili, con un uso distorto delle chitarre (spesso e volentieri in tremolo picking) coadiuvate da un ottimo lavoro alle tastiere, una batteria secca ma incisiva e ampie sezioni strumentali che offrono respiro e profondità, e in chiusura non mancano neppure ottimi assoli. Senza dimenticare anche qualche variazione dal sapore folk che possiamo riscontrare qua e là, e che proprio in "Liminal", nella successiva "Galactic Blood" o in "Suffer Existence", ne sento la maggior influenza. Poi citavo per l'opening track, i suoi break atmosferici, ebbene anche quelli fanno parte del corredo della band svedese, che sia attraverso l'uso di parti acustiche o dell'efficace violino di Martin Björklund, contribuiscono a rendere la proposta dei Wormwood costantemente accattivante, arricchendo ulteriormente il paesaggio sonoro. Non mancano nemmeno le tracce mega tirate (la già citata "Suffer Existence" ne è un esempio), tra blast beat, furiose gallopate, screaming selvaggi, voci femminili e parti folkloriche, giusto a ricordare che la band sa muoversi a 360° con grande disinvoltura e abilità tecnica. E il finale affidato a "Ro" rappresenta la summa di tutto questo, ancora con porzioni furiose, voci femminili, delicate componenti atmosferiche e parti più progressive. Insomma, 'The Star' è un lavoro a cui dare più di una chance, ve lo garantisco. (Francesco Scarci)

(Black Lodge Records - 2024)
Voto: 76

https://wormwood-official.bandcamp.com/album/the-star