Interviews

martedì 13 settembre 2022

Dez Dare – Ulysses Trash

#PER CHI AMA: Garage Rock
Nuovo album per lo stravagante artista di Brighton, che dal suo cappello magico, estrae un altro disco veramente divertente, tutto da gustare. Un lavoro multicolore di psichedelia ortodossa, figlia di un amore assoluto verso la parte più acida del mondo del rock e del low-fi. La cosa che più colpisce della musica di Dez Dare è che, pur muovendosi all'interno di un contesto molto abusato e saturo come il fuzz sound di matrice seventies, riesce a renderlo ancora una volta affascinante, grazie ad un modo tutto suo di interagire con muri di riff distorti che sanno di vintage ma che non smettono di brillare di luce propria. Quindi, ci troviamo di fronte ad un ambiente cosmico che richiama alcuni viaggi degli Hawkins, fatti a bordo di un vecchio furgone Volkswagen T2, non in perfette condizioni ma coloratissimo, che fa apparire la contea di Brighton come la California dei Fu Manchu degli esordi. Una versione del suono distorto del mitico Hendrix che ha deciso di smettere con gli assoli e dedicarsi ad una musica più diretta, come se gli Mc5 fossero in procinto di partire per lo spazio ed il riff della perla sonica "1.9.8.5." fosse uno splendido manifesto della sua arte, tra potenza proto punk alla Stooges e garage rock underground. Il fatto che tutti i cantati, nelle loro linee melodiche ricordino molto da vicino la formula vincente di 'Licensed to Ill' dei Beastie Boys la dice lunga sullo stile di questo guru del fuzz, che non ci pensa due volte ad inserire vie tortuose nella sua musica, pur di definirne un concetto di libertà compositiva assoluta, anche a rischio di ricordare troppo qualche collega più famoso. È il caso del riff iniziale di "Trashin'" che suona come un remake di "For Whom the Bell Tolls" di Hetfield e soci, oppure quello di "Bloody Sea, Holy Fuck", che ricorda l'inizio di "Country House" dei Blur, rivisitato in stile Trailer Hitch, compianta e poco conosciuta band di camionisti americana uscita per la Man's Ruin Records nel 1997, un anno di grazia per lo stoner rock. Tra le brevi composizioni che compongono il nuovo scrigno magico, vi troviamo anche brani più complessi e introspettivi, come "Outrage, Metrics, Mechanics, Death", robotico e drammatico sabba dal fascino cupo e sinistro, dove l'artista britannico si muove tranquillamente a suo agio anche in veste più ambient/noise in salsa dark. In definitiva, l'arte rumorosa di Dez Dare è come un portale verso una nuova costellazione di un cosmo sconosciuto, creata da un cultore di suoni del passato, che non vuole assolutamente far dimenticare, e che con questo nuovo 'Ulysses Trash' riporta le sue teorie a suon di fuzz, in uno stato di grazia underground delizioso, continuando in maniera vigorosa la sua opera musicale iniziata nel 2020 con l'ottimo debutto 'So Cold, Josephine'. Nota di merito anche per l'artwork coloratissimo dalle acide, fumettistiche e strepitose copertine, che ne caratterizza ulteriormente la vena artistica indomabile, gli allucinati video che lo accompagnano e per i testi anti pop, dei vari brani, “ ...la mia testa è così piena che non riesco a sognare...” (...My Head is so Full I Can't Dream...). Lunga vita allo stregone psichedelico di Brighton! Lunga vita alla psichedelia sotterranea! Entrate nel mondo fantastico di un vero artista di culto underground! (Bob Stoner)