Interviews

sabato 30 gennaio 2021

Bogwolf - A Sermon Unto Wolves

#PER CHI AMA: Symph Black/Death
Con una copertina che richiama inequivocabilmente la storia di Romolo e Remo e la lupa, si presentano a noi con questo demo di debutto intitolato 'A Sermon Unto Wolves', gli americani Bogwolf. Giusto tre brani per farci capire un po' di una proposta musicale di cui presto vorrei ascoltare qualcosa di più lungo e strutturato. Si perchè la release del trio originario di Raleigh contiene solamente due brani più una diabolica intro tastieristica, "The Culling". Poi esplode l'inferno, con un black death dalle tinte sinfoniche che deflagra con maestose melodie nelle casse del nostro lettore. È infatti la potente e melodica title track a consegnarci il bigliettino da visita della compagine statunitense, tra suoni bombastici ma violenti, screaming vocals, parti ritmate e altre decisamente più tirate. L'elemento portante della band? Senza ombra di dubbio la tastiera, cosi strategica nel suo saper dosare parti atmosferiche e mitigare quelle più tirate, dove la batteria viene sparata a tutta velocità a scardinare i nostri timpani. Terza traccia affidata a "God Damned American", più deathcore oriented rispetto alla precedente ma con una dose sinfonica sempre ben presente nella sua matrice musicale. Non ci rimane che attendere un debutto più corpulento che ci consegni un minutaggio più elevato per apprezzare le indubbie doti del velenoso terzetto della North Carolina. (Francesco Scarci)

venerdì 29 gennaio 2021

Черные Сердца (Black Heart) - Anthology

#PER CHI AMA: Pagan Metal
L'etichetta russa Wings of Destruction presenta orgogliosamente questa ristampa nell'intento di rispolverare le origini del metal di casa. I Черные Сердца (Black Heart per chi non mastica il cirillico) sono una band di Velikie Luki, città situata nella Russia occidentale, nota per gli scontri tra le armate russe e tedesche nella Seconda Guerra Mondiale, ed effettivamente, quell'indole guerriera si nota nel pregevole artwork di copertina, cosi come nel notevole impegno di cercare di fare musica metal, utilizzando nel canto la propria lingua madre. L'album, intitolato 'Anthology', include tutte le realizzazioni del gruppo, ovvero i due album realizzati nel 2004 uniti ad un demo del 2003. Dalla prima traccia alla quinta si possono sentire i brani del full length 'Hyperborea', dalla sesta alla decima il disco 'In Fire', mentre dall'undicesima alla diciassettesima traccia, ecco il demo del 2003. La cosa strana di quest'uscita è che non è stata fatta nessuna opera per ripulire o aumentare la qualità audio delle tracce, presumo ritenendo giusto ripresentarle nella loro forma originale, quando invece avrebbero necessitato di un restyling per acquisire nuova linfa vitale, visto il basso profilo in termini di qualità sonora, tutte falcidiate da una registrazione che supera di pochi punti la qualità di un demo amatoriale registrato in cassetta alla fine degli anni '80. Da salvare c'è la grande volontà di espressione dei nostri che vogliono emulare le gesta eroiche di band gloriose del metal internazionale ma il risultato è alquanto altalenante tra buone idee rovinate da una produzione inesistente (la batteria sembra un giocattolo cosi come le distorsioni delle chitarre) e da un'esecuzione dei brani che a volte inciampa vistosamente, soprattutto negli arrangiamenti che rischiano di naufragare in un mare di banalità. Non tutto però è da buttare, e ripeto, se non fosse per il suono decisamente scarno e low-fi, direi che evitando 'Hyperborea', si nota una miglioria nei brani di 'In Fire', che a mio parere, con la dovuta produzione sarebbero anche gustosi e più agguerriti, con una miglior interpretazione vocale nello screaming, meno nel cantato pulito che ricorda certi prodotti nipponici da film anime. Comunque, la vena pagan metal e la ricerca di epicità si sentono tutte e sarebbe stato anche interessante se emancipata in un sound più maturo e aggressivo. Il demo del 2003 non aggiunge niente di nuovo se non dimostrare che i due full length registrati l'anno successivo, siano stati concepiti in modo maldestro a livello sonoro, tagliando definitivamente le ali alla band, pur confermando che alcune idee di composizione potevano essere assai interessanti. Anche la presenza della classica voce femminile poteva essere una buona idea ma, sentita in questo contesto alquanto scadente, non la si può apprezzare al meglio, essendo drammaticamente più vicina ad una specie di folk rock rurale che al metal. 'Anthology' è un'uscita di carattere storico che appassionerà pochi intimi curiosi, io l'ho appezzata nel suo contesto, pur conoscendo poco la genesi della band, l'atmosfera in cui nacquero i loro lavori e quanto pionieristica fosse stata la loro musica in patria a quei tempi, ma devo riconoscerne i monumentali limiti musicali e stilistici, sicuramente fuori luogo e fuori tempo massimo per i tempi e suoni odierni. (Bob Stoner)

(Wings of Destruction - 2003/2004 - 2020)
Voto: 50

https://wingsofdestruction.bandcamp.com/album/anthology

giovedì 28 gennaio 2021

Mindwork - Cortex

#PER CHI AMA: Techno Prog Death, Cynic
Dei cechi Mindwork se ne erano perse le tracce dal 2012, quando uscì l'ultimo 'Eterea'. Io addirittura mi fermai all'album precedente, Into the Swirl', azzardando qualche confronto con mostri sacri tipo Cynic o Death. In questo primo scorcio dell'anno, ecco che i quattro ragazzotti ormai cresciuti di Praga, tornano con un EP, giusto per ricordare al mondo che sono vivi e vegeti, e anche abbastanza in forma. 'Cortex' contiene tre pezzi più una breve intro cibernetica che ci accompagna nello psicotico mondo di "Depersonalized". La band non si è dimenticata per niente come si suona nonostante una lontananza prolungata dalle scene. Si riparte quindi da quel suono monumentale che avevo amato 12 anni fa, fatto di tecnicismi strumentali, sprazzi di grande melodia, saliscendi ritmici, assoli da paura (a proposito qui c'è Bobby Koelble che ha militato nei Death ai tempi di 'Symbolic') che accostano la proposta del combo ceco agli Orphaned Land di 'Mabool', soprattutto per alcuni arabeschi e per l'utilizzo della voce pulita. Poi il techno death della band è quasi epico, magnetico ed intenso, con una cascata di riff davvero gustosi che mettono in luce ancora la tecnica sopraffina dei nostri che dilaga nella ancor più strepitosa "Last Lie Told", dove s'intersecano voci, chitarre e melodie, senza contare cambi di tempo da urlo, parti acustiche ed un gusto estetico che va a braccetto con quello dei Cynic. Goduria per le mie orecchie anche quando scatta l'ululato della chitarra di Jiří Rambousek nell'assolo conclusivo che mi ha fatto pensare persino a "Hangar 18" dei Megadeth. Ultimo pezzo a disposizione, e già scende la lacrimuccia, con "Grinding the Edges" e qui le influenze di Paul Masvidal e soci si fanno anche più forti, con un finale da grido corredato da un paio di assoli fenomenali che mi fanno pregustare ad un fantastico come back discografico sulla lunga distanza. Attendo con ansia. (Francesco Scarci)

Taumel - There is no Time to Run Away From Here

#PER CHI AMA: Dark/Ambient/Jazz
Jakob Diehl è un compositore freelance di musica per teatro e cinema, conosciuto anche come attore nel cast della nota serie televisiva 'Dark' e altri film ancora, mentre il suo compagno di viaggio musicale, Sven Pollkötter, è un affermato batterista e percussionista di stampo neoclassico, compositore e autore di vari progetti che si spostano dall'improvvisazione, al folk, dal jazz al metal fino al prog (Assignment, Alternative Allstars, Clause Grabke). Da questa unione nasce il progetto strumentale, Taumel, soluzione sonora sofisticata che usa le trame del jazz avvicinandole alle cadenze rallentate del doom, per far nascere un ambiente sonoro che potremmo senza difficoltà etichettare come dark jazz. Le composizioni di questo 'There is no Time to Run Away From Here' si avvalgono anche di chitarra, piano, rhodes e filicorno (a grandi linee una specie di tromba della famiglia degli ottoni) facendo notare grosse affinità di forma ed effetto filmico alla The Mount Fuji Doomjazz Corporation e dimostrando di poter competere con i mostri sacri del genere, anche se ad un ascolto più attento, oserei dire che i Taumel abbiano un approccio quasi più romantico del genere noir, più sentimentale, ipnotico e meno horror dei colleghi olandesi. "There is" apre le danze con una chiara matrice jazz, che va sfumando in un inaspettato corto circuito noise che introduce la drammatica vena di "No Time", impreziosita da tanta effettistica d'origine elettronica in sottofondo ed un bel gioco di riverbero che ne amplifica lo stato d'animo cupo. La lunga "To Run" è una marcia funebre che si alimenta di sonorità care al post punk più oscuro degli esordi, ed è forse il brano più teso e lugubre del lotto. Comunque, per tutti i pezzi che compongono il disco, ci si immerge in un'atmosfera notturna, piovosa, dove l'ingresso del filicorno, ad esempio in "Away", fa soffrire l'ascoltatore in una maniera morbosa, per una canzone che sfrutta tutta la potenza della visione al rallentatore, come in una scena di un film visionario in slow motion. Il brano è notevole, si eleva nel suo avanzare lento, con un senso di immobilità che per più di otto minuti riesce a rallentare il battito cardiaco, ponendosi statuario, ma allo stesso tempo esponendo un sound caldo ed intenso, come del resto, lo si nota lungo tutta la durata dell'album. Impossibile non notare la peculiare e maniacale ricerca del suono perfetto in una produzione che cura tutti i minimi particolari, dalle sonorità più profonde della batteria ai riverberi ed echi che circondano le melodie, per farle entrare in comunione con i colori della notte. Il piano di "From Here" mi ricorda una moderna interpretazione del più celebre "Clair de Lune", ma solo abbozzata, come se qualcosa di inconsueto e maligno, l'avesse interrotta maldestramente, chiudendo un disco che aspira nel suo profondo al suono dell'infinito. Ottimo debutto, album da non perdere. (Bob Stoner)

Asphyx - Necroceros

#FOR FANS OF: Death Doom
I thought this a great follow-up release, if not better than 'Impending Death'! It has a lot of variability to it let alone aggression. The riffs are definitely better and it seems like the band is getting better with each follow-up. I think that they have a lot to offer the death/doom community. I've found this release to be a quite adaptive and addictive release meshing death and doom together. I enjoyed every track, especially the title-track. Yes, in some respects it's can be up in tempos, others a little slowed down. But they've mixed both genres together. I've found that the quality in the sound is what made this album truly remarkable.

I have nothing bad to say about this release. The fact that there weren't many (if at all) many leads made it an album of sheer rhythms that are catchy and utmost noteworthy. The vocals are good, too! They mix well with the guitars. The drums are also a boon to this release. I'd have to say all the musicians on here put a helluv a lot of effort in the songwriting and it really shows when you listen to this release. I had initial doubts when I first heard about the new release because I didn't much care for 'Impending Death'. I'm glad that I took a listen here on Spotify and I was perplexed! I had to order the CD thereafter.

The guitar riffs are nothing but invigorating. They're catchy, fast, slow, moderate, you name it! I though that is what caught me the most. And the vocals, alongside the guitar, made it a true gem in all respects. There's nothing dull or boring on this album. It's a milestone at that. The band really made some remarkable death/doom metal combined. I had no doubt in rating this! If you're skeptical, just listen to it first and see what I'm talking about! You won't be disappointed. If you are, allow me to eat my words. I think I'm right in saying that this is a gem. Pretty darn well certain about it. No song on here lags.

Check this out on Spotify like I did and you'll get a taste of what I'm talking about. Beginning the new year right in light of tragedy that was inflicted upon the metal community (loss of Alexi Laiho). This would in my view show the metal world how death/doom is to sound like! I don't think that this album is (yet) on YouTube. But I have it on Spotify and pretty soon on CD. I would urge you to get a physical copy because it not only supports music, it shows the band that you enjoy what they're putting out. And if they know this, then they're most likely going to continue to make awesome music! (Death8699)


(Century Media - 2021)
Score: 80

https://www.facebook.com/officialasphyx/

The Pit Tips - Top Picks 2020

Francesco Scarci

Enslaved - Utgard
Helioss - Devenir Le Soleil
Gernotshagen - Ode Naturae
Borgne - Y
Hell:On - Scythian Stamm

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Bob Stoner

Paradise Lost - Obsidian
Oranssi Pazuzu - Mestarin Kynsy
Less Win - Given Light
Le Grand Sbam - Furvent
Crippled Black Phoenix - Ellengaest

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Death8699

Benediction - Scriptures
Dark Tranquillity - Moment
Plague Years - Circle of Darkness
Skeletal Remains - The Entombment of Chaos
Sodom - Genesis XIX

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Alain González Artola

Havukruunu - Uinuos Syömein Sota
Belore - Journey Through Mountains and Valleys
Darkenhöld - Arcanes & Sortilèges
Slytherin - A Tale We'll Tell of What Hath Been​.​.​.
Mooncitadel - Night's Scarlet Symphonies

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Shadowsofthesun

Emma Ruth Rundle & Thou: May Our Chambers Be Full
Deftones: Ohms
Ulcerate: Stare Into Death and Be Still
Ulver: Flowers Of Evil
Postvorta: Porrima

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Michele Montanari

Lowrider – Refractions
Stone Temple Pilots – Perdida
Katatonia – City Burials
Lamb of God – Lamb of God
Marilyn Manson – We Are Chaos

lunedì 25 gennaio 2021

Scholasticism - Sun In The Palm

#PER CHI AMA: Thrash Metal, Over Kill, Exodus
Continua l'esplorazione della scena russa thrash metal questa volta con i Scholasticism (Схоластика) e il gioco si fa ancora più duro visto che tutto di quest'album è scritto in cirillico, anche il titolo dell'album, 'Солнце На Ладони' (Sun in the Palm), il secondo per la band di Bryansk. Fortunatamente il sito bandcamp della band è venuto in mio aiuto per le traduzioni, ma preferisco lasciarvi i titoli in lingua originale, lo trovo più esotico. Il genere l'ho già anticipato, un thrash metal che ci porta direttamente nella Bay Area californiana, laddove negli anni '80 ebbe origine il tutto. E proprio da quei suoni ormai vintage, ma per il sottoscritto sempre attuali, ecco che il terzetto russo sciorina uno dietro l'altro pezzi che evocano nomi storici del genere, e penso in primis agli Exodus, anche se non mancano riferimenti ai primissimi Metallica, e guardando anche all'altra costa, l'East Coast, penso a nomi del calibro di Over Kill (quel basso di "Камозин в небе!!!" mi fa venire in mente le pulsioni magnetiche di D.D. Verni) e Anthrax. I pezzi di questo secondo lavoro dei Схоластика sono tutte schegge non troppo impazzite a dire il vero, in cui ad emergere è sicuramente il basso di Vladimir Ruchkin che si prende la scena assai spesso, soprattutto nella contorta e psicotica "Драть", un brano interessante ma di certo di non facile lettura, complice una eccessiva ricerca di arzigogolati giri di chitarra. Come spesso accade poi, non amo particolarmente il cantato in lingua russa (che restringe a mio avviso il target a cui destinare la proposta lirica) e nemmeno la performance del vocalist, troppo scolastico nel suo stile. Una song che ho particolarmente apprezzato è "Берег, которого нет", dritta, precisa, breve, efficace e con un bell'assolo da urlo. Gli altri pezzi si muovono poi tutti su questa riga, con questo thrash old school venato di influenze heavy ma anche di un certo punk/hardcore. Lo testimonia la scelta di proporre la cover di "Against" dei Sepultura, un disco che in fatto di contaminazioni hardcore, ne sa qualcosa. Alla fine 'Солнце На Ладони' è un disco forse esclusivamente adatto ad un pubblico di lingua russa o che per lo meno, ne capisce qualcosa. Gli altri si affidino alle schitarrate anni '80 dei maestri statunitensi. (Francesco Scarci)

(Wings of Destruction - 2016)
Voto: 62

https://wingsofdestruction.bandcamp.com/album/--4

Jinx - Darkness is Worldwide

#PER CHI AMA: Thrash/Death
'Darkness is Worldwide' dei Jinx è il quinto lavoro della band originaria di Smolensk. Uscito ormai nel 2017, il quintetto russo ci propone un thrash metal piuttosto canonico, di quello che certamente non lascia grande spazio alla fantasia ma nemmeno alcuna via di scampo. Lo si capisce subito dal ritmo martellante inferto dall'opener "Elizabeth", un pezzo sia chiaro, che non è solo ritmiche tiratissime e urla sbraitanti del vocalist Aleksander Ivanov, ma racchiude anche parti più ragionate. Sia altrettanto chiaro però, che non siamo al cospetto di nessuna novità per quanto riguarda il genere, offrendo i nostri suoni piuttosto convenzionali che con questo lp non arricchiranno di certo la vostra collezione di dischi memorabili. Quindi prendete 'Darkness is Worldwide' per quello che è, un disco di divertente thrash con aperture melodiche di stampo scandinavo, qualche discreto assolo come quello che si sente nella grooveggiante "Voices from the Past" o nella vorticosa title track. Ecco "Darkness is Worlwide" presenta delle variazioni al tema grazie ad un sound detonante, forse il pezzo migliore del disco insieme alla conclusiva "Dogs of War" (con i suoi fraseggi acustici e divagazioni heavy rock), ma da qui a dire che si possa realmente gridare al miracolo, ce ne passa. Direi infatti che ci sono alcune piccole cosine che faccio fatica realmente a digerire. La voce di Aleksander è tra queste, visto che il suo cantato è una sorta di growling strozzato in gola che impazzire proprio non mi fa. Tuttavia i nostri si impegnano, non sono degli sprovveduti essendo peraltro in giro da un ventennio, sanno come gestire la loro strumentazione al meglio ed in alcuni pezzi, danno delle accelerazioni che hanno un sapore più death oriented ("Pitiful Existence"). Da segnalare infine la scelta di coverizzare "Curse the Gods" dei Destruction, piuttosto fedele all'originale, ma con una produzione certamente più moderna e potente. A chiudere il disco dicevo, "Dogs of War" per gli ultimi sei minuti abbondanti di terremotante thrash old school che segnano un ritorno alle origini primordiali del metal. (Francesco Scarci)

domenica 24 gennaio 2021

Grabunhold - Heldentod

#FOR FANS OF: Death/Black/Epic
The German band Grabunhold is a four-piece project created four years ago by extreme metal musicians and Tolkien lovers to merge both passions in a unique project. This combination is pretty well-known in the scene as black metal, alongside with power metal, has maybe been the subgenre with more bands influenced by the legendary writer. Anyway, these Tokien-esque lyrics are not the only source as some lyrics have a strong melancholic nature. The combination of both topics is undoubtedly something, which always can fit with the dark and powerful essence of black metal.

After a demo and a promising EP, the ensemble focused its efforts to release the always decisive debut album, which should show the project´s true potential. 'Heldentod' is the name of the beast and its firmly rooted in the most iconic elements of the black metal genre, with the always distinctive touch of the German scene, which usually has this effective mixture of fury, aggression and a yet melodic background in its music. We won't see a lot of it in the impetuous beginning of the album opener "Wolkenbruch über Amon Sul", with a furious and straightforward attack of some vicious vocals, merciless drums and sharp guitars. Regardless of it, as the song evolves, we can appreciate an increasing melodic touch in the guitars, occasionally accompanied by majestic clean vocals, which give an epic touch to a song that was initially pure brutality. This contrasted combination of elements define perfectly what Grabunhold offers in its debut album. As it happens quite usually, the longer tracks offer a greater scope to introduce more changes, influences and arrangements in the songs, being the ideal compositions to create more epic tracks. It happens with the first song, but this feeling is stronger in the excellent "Morgenröte am Pelennor" and in the final song "Der Einsamkeit Letzter Streiter". The first one includes some acoustic guitars, a tiptop melodic riffage and heroic clean vocals aligned with the lyrical theme, being at the end my favourite track of the album. The final song shares some characteristics with Pelennor’s song, though it has a more melancholic tone. In any case, these longer tracks allow to create compositions with more variations and the aforementioned epic touch. On the other hand, we can find more straightforward songs like "Hügelgräberhöhen" or "Fangorns Erwahen", which a quite sorter and therefore, they are focused on being fast and aggressive. Although we can appreciate that the riffing is still remarkable, it varies from darker tones to more melodic ones with a respectable naturalness.

Grabunhold’s debut 'Heldentod' is clearly a quite sold first effort and shows an interesting evolution in the band’s core sound. The expected German black metal style is there but it has a quite distinctive touch and balance which makes this opus a quite interesting and enjoyable experience. Personally, I prefer the longer tracks as per their epic touch showing the variety the band is capable of. (Alain González Artola)


sabato 23 gennaio 2021

Break My Fucking Sky - Blind

#PER CHI AMA: Post Rock/Post Metal
Corpi sospesi tra la cenere e la fenice. Sospese le ombre che animano questa intro. Passione ed immagini sfuocate. Un missile terra aria spezza il velluto suadente di musiche nostalgiche per affondare la sua combustione nell’anima. Alternanze post rock lasciano la scena a chitarre infuocate. Buoni propositi si ribellano al rock estremo. Mi lascia tra la riflessione e la rabbia questa prima traccia, “Unwelcome”, opening track dell'opera ottava, 'Blind', dei russi Break My Fucking Sky. A seguire “Medusas are Like a Ghost”: il fantasma del passato presente e futuro qui ed ora, si manifesta in un gemito incauto. Le sonorità abbassano le difese, ipnotizzano con i loro guizzi di tremolo picking, accarezzano, involvono. Sarà una lunga notte. “The Letters We’ll Never Send”. E ci si trova in una stanza con la luce fioca. Un mantice di speranza appena percepibile e la musica, affidata ai tocchi di pianoforte (coadiuvati poi da una ritmica tiepida), diviene sospiro ed il sospiro una parola non detta. “Agnosia”. Ci riprendiamo un sound ritmato, elettrico. Una sorta di intercalare rispetto allo stile dell’album. Piacevole. Subito dopo l’ossigeno, respiriamo anidride carbonica. “Before We Meet in the Dark”. La song è puro rock d'atmosfera, nessuna traccia di stile, eppure quest'esercizio incorpora bene le sensazioni di una serata che avremmo voluto fosse una di quell'esperienze indimenticabili. Senza pace non può esserci la guerra. Ecco perche ora ascoltando “Doomsnight” mi alieno tra sospiri e suggestioni. Un armistizio. Temo che l’album continui senza direzione per ora. “Seven”. Stallo ed esercizi di metallo elettrico, come quello del plettro che urla sulle corde della chitarra. Veniamo a “Murphy’s law”. Aspettatevi una ripetizione in loop malinconico costante come le speranze che si lasciano fuori dalla legge di Murphy. Eppure sono ottimista perchè segue “Blind”, la lunghissima title track di oltre 13 minuti. Una casa remota, una favola antica, un racconto che odora di biblioteche dimenticate, eppure con la musica tutto torna in vita. Cosi consiglio l’ascolto di questa song sotto un planetario pensando ad un buon libro. Mentre scorre il tempo, si stringono le spalle dei ricordi. Così mi passa attraverso questa “The Drowned Lake”. Come una colonna sonora stretta alle sensazioni ed ai ricordi. Quest'album continua a viaggiare nella mente di chi conosce lo stupore. Lo ascolto così con l’attesa del prossimo brano. Siamo a “Paper Yes to Take Cover”. E non vi nascondo che questa song culli, accarezzi, scuota l'animo, tornando a parlare con i sensi a cui poco prima ha sussurrato. Eccoci all’epilogo di 'Blind'. “It was Forever. Until it Ended”: chiudiamo il nostro ascolto con un pezzo suggestivo arricchito da drammi e ricompense che solo il post-metal può dispensare quando si inizia a viaggiare nell’oscurità di suoni introspettivi. Consigliato l’ascolto a chi ha voglia di spezzare le quotidianità effimere del vivere senza sentire. (Silvia Comencini)

Pontecorvo - Ruggine

#PER CHI AMA: Stoner/Punk/Noise
Uscito in piena quarantena, questo 'Ruggine', primo long-playing dei Pontecorvo, rappresenta un’ottima medicina per le difficoltà che tutti noi stiamo sperimentando da un annetto a questa parte. Non che il concentrato di stoner, noise e bluesaccio slabbrato del gruppo milanese sia un inno all’ottimismo o evochi paesaggi utopici, ma la grinta e la sfrontatezza sfoderata in queste sette tracce di musica ad alto contenuto di decibel, vi forniranno la spinta necessaria per sopravvivere.

È impossibile non lasciarsi trascinare dal tiro dell’introduttiva “Cade” o dalla sferragliante cavalcata di “Gaviscon Blues” che, a differenza di quanto annunciato nel titolo vira con naturalezza su territori di stampo punk. I Pontecorvo riempiono con grande abilità questi venti minuti scarsi di diverse soluzioni sonore e dinamiche, arrivando a toccare persino lidi sludge nei pachidermici riff di “Freddo” e “Qualche Santo”, al punto che giunti al termine della conclusiva “Prendere Sonno”, coricarsi sarà decisamente l’ultimo dei vostri desideri: il fuoco di queste rabbiose chitarre divamperà dentro di voi e il vostro cuore batterà al ritmo implacabile della batteria.

Registrato, mixato e masterizzato presso quell’istituzione della musica indipendente che è il Trai Studio, 'Ruggine' avrebbe meritato di uscire in un periodo più favorevole. Sicuramente è l’ottimo biglietto da visita di una band che in sede live promette di rendere anche il doppio. (Shadowsofthesun)

lunedì 18 gennaio 2021

Dark Fortress - Spectres From the Old World

#FOR FANS OF: Atmospheric Black Metal
I prefer 'Eidolon' over this one, but I still think this album is pretty good. The synthesizers make the music darker and the music is pretty intense. Initially, I didn't care for this one, but I still give it a "B-". I think that the music itself isn't the greatest, but at least the intensity is high. That's what's good about it. The riffs are pretty fast and the drums are powerful. I liked the whole album, though again it's not my favorite. The vocals are pretty decent as well. They meshed well with the music. Not every song on here is super fast, but it's good that they change it up. Some clean vocals and guitar as well, it's not ALL brutality.

The guitars are my favorite highlights of this album. I like the riffs on here the most, the vocals are just mediocre. But whatever, they put together a great release (with some drawbacks). When they're on their game here on some songs, they really hit home! With this it's hit-or-miss. The double bass is pretty hardcore, too. Never knew this band is from Germany. Pretty cool. I like what I've heard so far from the band, though this one could be tighter. I suppose 'Eidolon' was tighter because every song was killer. And the atmosphere too was great. This one falls short in the riff category.

The production was pretty decent on here opposed to previous releases. As I say, the songs just needed to be more interwoven. They did a good job on some fronts, though I think if they did better with the songwriting I would've given them a higher rating. The tempos were up and down, but that's not necessarily bad. If they could've gotten better guitar riffs or at least more consistent guitar work then it would've been a stronger rating by me. The fact that the tempos are all over the place makes it harder to get into. Sounds a lot like progressive atmospheric black metal here. The the actual genre is melodic black metal.

I would say to check this out on digital rather than buying the album since it's hit-or-miss. Their earlier stuff, sure but this one needs an acquired taste to liking it. It still is decent and the riffs are OK. But in any case it's a strong album. Very experimental with sounds, guitars, and songwriting. Not my favorite album of theirs just a little better than average. The guitars are definitely my favorite parts to the album, but I think as a whole they put together a somewhat tight release here. I think that at least they were good in making a somewhat progressive album though they could've made it tighter. In any case, take a listen! (Death8699)


(Century Media - 2020)
Voto: 70

https://www.facebook.com/officialdarkfortress

Shrines of Dying Light - Sadness

#PER CHI AMA: Death/Doom/Dark, Empyrium, Saturnus
Dal Canton Argovia in Svizzera, ecco arrivare nelle nostre case, il secondo lavoro degli Shrines of Dying Light, band death doom che francamente non conoscevo. 'Sadness' è il comeback discografico per i nostri che segue a due anni di distanza quello che era stato il loro convincente album di debutto, 'Insomnia'. La nuova release degli elvetici consta di nove pezzi, che includono uno spettrale preludio ("Entering Infinity"), un malinconico epilogo ("Solitude") ed un breve intermezzo strumentale ("Into Singularity"). Quando andiamo a dare un ascolto più attento all'opera del quartetto svizzero e ci soffermiamo su "Whispers (Sadness Part 1)", il secondo pezzo, possiamo ovviamente captare quel forte sentore di struggenza che ammanta l'intero disco. Il pezzo si apre con delle delicate plettrate acustiche ed un cantato baritonale (chi ha detto Type O Negative?) che evolverà, contestualmente con la chitarra elettrica, in un growling più sofferente. La band comunque non schiaccia mai sull'acceleratore, mantenendo una cadenza compassata, decadente e guidata quasi interamente da una chitarra strappalacrime. Ad alimentare il senso di impotenza dei nostri, ecco che in "Tragedy in the Woods" compare accanto al vocalist, anche il canto di una delicata sirena, l'ospite Sury che presta la sua delicata ugola per stemperare il senso di angoscia generato da Julian al microfono. Il sound dei nostri mi ricorda quello che amai in un disco quale fu 'For the Loveless Lonely Nights' dei Saturnus, mai fuori dalle righe, mai esageratamente pesante, ma semplicemente un inno al doloroso mondo interiore che molti di noi possiedono. E io che amo immergermi in questo genere di sonorità, non posso che godere nell'ascoltare composizioni come queste che sembrano evocare, anche nelle eleganti note acustiche di "Flowers", un che del mitico esordio 'A Wintersunset​.​.​.' dei teutonici Empyrium ma anche un che degli americani Wyrding. Insomma, mica male per i nostri amici svizzeri. Già detto dell'intermezzo strumentale, con "Saddest Man (Sadness Part 2)" comincia la seconda parte dell'album che sembra acquisire una maggiore robustezza a livello ritmico rispetto alla prima parte, con delle chitarre più violente che si sostituiscono all'arpeggiato che abbiamo ritrovato un po' ovunque nella prima parte. Anche la voce si rivela qui decisamente più aspra. La linea melodica rimane intanto forte e convincente, però il pezzo mi dà modo di assaporare una versione più aggressiva degli Shrines of Dying Light e non posso che esserne felice. E questa linea cosi oscura, un che di gothic e dark metal che si fondono insieme, si conferma anche nella successiva "Void", il pezzo forse più crudo e irruento di 'Sadness'. Con "Farblos"sprofondiamo infine in un death doom nero come la pece, coadiuvato da una ritmica più pesante e profonda, il tutto peraltro cantato in tedesco (farblos significa senza colore), con il vocione di Julian qui ancora più vicino a Peter Steel per quel che concerne la performance vocale. Il brano si assesta sui nove minuti che forse si rivelano un po' eccessivi per questa proposta musicale. Alla fine 'Sadness' è un disco intrigante, alquanto originale, collocandosi a cavallo tra più generi, death, doom, gothic, dark e funeral, il tutto letto peraltro assai spesso in chiave acustica. Sia chiaro, non si tratta di un album di facile ascolto, però sicuramente merita un'occasione. (Francesco Scarci)

sabato 16 gennaio 2021

Die Entweihung - Kings & Pawns

#PER CHI AMA: Black/Death
Chi pensava che la band di oggi fosse tedesca alzi la mano. Siate onesti. I Die Entweihung sono la creatura di tal Herr Entweiherr (all'anagrafe Denis Tereschenk), musicista bielorusso trasferitosi a vivere in Israele. 'Kings & Pawn' è il decimo album per l'artista di quest'oggi, dieci dal 2007 ad oggi ed io, è la prima volta che li sento nominare. Da un punto di vista musicale, il polistrumentista originario di Vitebsk ci propone un black metal melodico che si apre sulle note strumentali di "Away into the Night" che lascia ben presto posto al suono scarno (colpa di una registrazione scadente) di "The Moustached God" un brano che, se potessi fare qualche paragone, vedrei come una versione black dei primi Amorphis. Si avete letto bene, in quanto le melodie folkloriche mi sembrano quelle che apprezzai ai tempi di 'Tales From the Thousand Lakes', dove la band finlandese mostrò al mondo le proprie qualità fuori dal comune. In questo caso non siamo a quei livelli stratosferici, ma più di una similitudine l'ho trovata con i colleghi finlandesi, sebbene questo sia invece il decimo album per Mr. Tereschenk che con la sua chitarra solista, guida un pezzo che mi piacerebbe sentire con ben altra produzione (più bombastica) e una ritmica più gonfia e potente. Questo per dire che le potenzialità ci sono tutte eccome, confermate peraltro da altri pezzi piuttosto brillanti come "As the Hangover Starts", la traccia più lunga dell'album, con i suoi otto minuti e mezzo di cupe melodie, intermezzi acustici ed eterei passaggi atmosferici, per non parlare poi di una entusiasmante sezione solistica. E ancora, interessanti sono i tecnicismi della strumentale "Confrontation", i solismi della title track (solo quelli, in quanto la traccia non mi ha fatto per nulla impazzire sebbene alla voce ci sia Alexander Ivanov dei Jinx) o la presenza al microfono di Alena Dark Zero dei Nocturnal Pestilence in "The Nonsense Games", in una sorta di emulazione della nostra Cadaveria. Due cover poi: "Working Class Hero" di John Lennon con la cantante ceca ancora alla voce e un altro ospite, Anton Shirl (Tales of Darknord) al basso per una scelta quanto mai azzardata, che fino ad un certo sembra ricalcare fedelmente l'originale, prima di prendere derive black. La seconda è "Sons of Moon and Fire" dei blacksters Der Gerwelt, di cui potevamo francamente fare a meno. Quello che mi perplime semmai e su cui lavorerei con maggiore alacrità, è la performance a livello vocale di Denis con quel suo screaming alquanto imbarazzante che mal si adatta ad un sound a tratti davvero raffinato. Insomma buona prova per i Die Entweihung, che se affinate un po' di più le armi, hanno tutte le doti per fare il salto di qualità. (Francesco Scarci)

(Wings of Destruction - 2021)
Voto: 69

https://wingsofdestruction.bandcamp.com/album/kings-pawns

Cyanide Grenade - Kind of Virus

#PER CHI AMA: Thrash Old School, Venom, Destruction
La scena thrash metal russa sembra essere improvvisamente in grande fermento, merito dell'etichetta Wings of Destruction che abbiamo avuto modo di apprezzare con innumerevoli uscite nell'ultimo periodo. La band di quest'oggi arriva da Yekaterinburg, si chiamano Cyanide Grenade e il qui presente 'Kind of Virus' rappresenta il secondo lavoro del terzetto dall'anno della loro fondazione, nel 2013. Dieci pezzi, inclusa una intro che ci accompagna a "Death in Anabiosis" la quale ci permette di far conoscenza della proposta musicale dei nostri, il cui sound ci permette un salto indietro nel tempo di oltre tre decadi. Si perchè il sound tipicamente old school della band chiama in causa vecchi classici che andavano di moda negli anni '80 quando il thrash si diffondenva a macchia d'olio a livello globale. Si partiva dagli States e da quella Bay Area in cui hanno visto svilupparsi band del calibro di Metallica, Exodus o Megadeth, o in contemporanea dalle parti di New York Anthrax e Over Kill sbocciavano con il loro sound. Per non dimenticare poi che nella piccola Newcastle upon Tyne in Inghilterra si formavano i Venom. Perchè tutti questi nomi? Semplice, sono solo alcune delle band a cui, in un modo o nell'altro, i Cyanide Grenade hanno pagato dazio nella stesura di questo disco. L'album irrompe infatti con quel sound thrash/punk che evoca gli esordi di James Hetfield e compagnia ma anche di Scott Ian e soci, senza dimenticare quell'aura maligna del duo Cronos/Mantas che avvolge l'intera release. Nella seconda "Birth of Hell" non nascondo ci abbia sentito un che dei primi Death nelle note corrosive della linea ritmica, qui un filo più articolata, complice un death mid-tempo. In chiusura poi quell'assolo allucinato ammetto mi abbia ricordato Bobby Gustafson, ascia impazzita dei primi Over Kill. Insomma, questo per dire che gli amanti di sonorità di questo tipo potrebbero anche versare una lacrima di nostalgia ascoltando 'Kind of Virus', visto che la super retrò "Salvation Denied", nel suo riffing lineare potrebbe evocare anche 'Killing is My Business...', con la più classica delle cavalcate dove le chitarre si muovono a cavallo tra thrash e speed metal, suoni che hanno cambiato la mia vita in quegli anni. E poi via giù di assoli super tirati che ci fanno ululare come matti. "Judgment Day" ha echi dei primi Testament, con la voce un po' disgraziata del frontman russo che potrebbe richiamare quella del buon vecchio Chuck Billy. Francamente, non mi vorrei dilungare oltre per dirvi che quello che ho fra le mani è un compendio del thrash metal anni '80, che ha ancora modo di citare il sound teutonico del trittico delle meraviglie formato da Kreator, Destruction e Sodom. Vi serve sapere altro? Non direi, se siete fan di tutte queste band, in 'Kind of Virus' troverete pane per i vostri denti necessari a organizzarvi la gita fuori porta che vi riporterà agli albori della storia. Ah, ovviamente il tutto senza un briciolo di originalità, ma questo era quanto meno scontato. (Francesco Scarci)

(Wings of Destruction/Global Thrash Attack - 2020)
Voto: 65

https://wingsofdestruction.bandcamp.com/album/kind-of-virus-2

The Flop - Underground Slaves

#PER CHI AMA: Punk Rock/Post Grunge
Mi sa tanto che la label Wings of Destruction non si sia sbagliata e mi abbia anzi di proposito inviato tutte le proprie release dalla notte dei tempi a oggi. Si perchè quello che ho fra le mani è un lavoro del 2012, anche se riproposto nel 2020 dalla stessa etichetta russa. Sto parlando dei The Flop, un nome un programma, che ci propongono nove tracce di garage punk rock. Non certo il mio genere preferito, però nel corso della mia lunga carriera di scribacchino, album del genere ne ho masticati diversi. E allora sapete già fondamentalmente a cosa andiamo incontro. Brevi e scanzonati pezzi, attitudine simil Sex Pistols, però il tutto rapportato ai giorni nostri. Almeno questo è quanto mi dice "Go Home", traccia in apertura di 'Underground Slaves'. La seconda "Black Sheep" è infatti già diversa, ossia la ritmica è più lenta e mortifera, esiste forse una forma di punk doom? Si perchè qui c'è un po' meno da divertirsi, essendo un pezzo più decadente e maledettamente alcolico, quasi i nostri siano in preda ad un delirium tremens bello pesante. E "White & Sticky", iniziando con un giro di chitarra stile System of a Down, si incunea in un sound malinconico, una sorta di post grunge di (primi) Nirvana memoria, imbevuto di una dose non indifferente di alcolici e sostanze psicotrope, per un cocktail servito a sole anime disperate. Anche "The USA" sembra uscito da un disco dei Nirvana, con la voce del frontman qui un po' meno tormentata. Inoltre la song è più controllata, fatta eccezione per la parte di coro. Più ostica da digerire "Hello My Dear", dissonante e con un assolo flebilmente accennato in chiusura. Con "Fucking Children" si torna al punk della traccia d'apertura, anche se questa volta non sembra gioioso come nell'opener. Più cantilenante "Own Priest" ma con un riffing più lineare e pesante. "Alice" è un pezzo semplice con la voce accompagnata dalla sola chitarra acustica. Mentre la conclusiva "The Toilet" beh, darebbe adito ad una battuta scontata stile Fantozzi, ma in realtà è l'ultimo pezzo punk oscurissimo e malato di questo 'Underground Slaves', un album non proprio indispensabile nella collezione di tutti ma per chi ama il genere, perchè non dargli una possibilità? (Francesco Scarci)

(Wings of Destruction - 2012/2020)
Voto: 63

https://wingsofdestruction.bandcamp.com/album/underground-slaves

venerdì 15 gennaio 2021

Iron Flesh - Summon the Putrid

#PER CHI AMA: Death/Doom, Autopsy, Dismember
Da Bordeaux ecco arrivare gli Iron Flesh con il loro secondo album 'Summon the Putrid', rilasciato dalla Great Dane Records in un elegante digipack. La proposta della putrescente one man band transalpina, come avevamo già avuto modo di osservare in occasione del debut 'Forged Faith Bleeding', è un death metal che chiama inevitabilmente in causa i primissimi Carcass, gli Entombed e gli Autopsy e quindi quel famigerato death sound che andava parecchio di moda nei primi anni '90 e che ha visto mirabolanti release vedere la luce in quegli anni. Con queste premesse facciamoci investire dal tornado della opening track, "Servants of Oblivion", un brano che mette in luce le potenzialità di devastazione della band ma anche una capacità di districarsi in assoli dal forte sapore heavy classico. Questo quindi il punto di forza di Julien Helwin e dei suoi compagni a supporto, ossia annichilirci con ritmiche invasate, vocals al vetriolo e graffi di chitarra davvero efficaci, sia in fatto di affilatezza che di melodia. Il tutto è confermato anche dalla successiva "Relinquished Flesh", tiratissima, ma dai contorni grooveggianti. La prima deviazione al tema si ha con la doomeggiante "Demonic Enn", mega ritmata e dotata di un refrain della seconda chitarra alquanto melodico che ne stempera quella sua plumbea cupezza intrinseca. Sembra quasi di ascoltare un altro gruppo rispetto alle prime due tracce, che erano invece cosi brevi e lineari, un vero pugno nello stomaco, mentre la terza si presenta più lunga e oscura. Con "Purify Through Blasphemy" spazio ad aperture scuola Edge of Sanity, periodo 'The Spectral Sorrows', dove la melodia era parte abbastanza consistente nel sound di Dan Swano e soci, con un altro assolo qui davvero apprezzabile. In "Cursed Beyond Death" ecco un'altra piccola novità, le spoken words che affiancano il growling, in un pezzo comunque compassato, che ammicca agli Asphyx ma che non vede ahimè particolari accelerazioni o sussulti di sorta. "Death and the Reaper's Scythe" è l'episodio più lungo del disco con ben otto minuti di sonorità ben calibrate, cosi tanto calibrate che alla fine vengono a noia. Molto meglio "Incursion of Evil" che, pur non offrendo nulla di nuovo, ci riconsegna la band laddove sembra rendere al meglio, ossia con le classiche energiche sgaloppate death old school ed un assolo sempre efficace seppur di breve durata. "Thy Power Infinite" è un altro schiaffo in faccia come incipit, poi ancora ammiccamenti agli Edge of Sanity nelle parti più melodiche e infine una cavalcata furente di death metal che trova il suo apice nel funambolico assolo conclusivo. L'ultimo pezzo è "Convicted Faith" e tutto il suo carico doom che non mi convince ancora granchè, preferendo la band su pezzi più tirati e melodici. Alla fine 'Summon the Putrid' non fa che confermare le buone sensazioni che avevo avuto in occasione del debut album, sottolineando tuttavia che quello fra le mani è un disco che non mostra alcun segno di originalità rispetto alle influenze canoniche della band. Buona tecnica, ottimi suoni, ma le idee affondano ancora nella notte dei tempi. (Francesco Scarci)

giovedì 14 gennaio 2021

Blood Pollution - Raw Sovereignity

#PER CHI AMA: Thrash Metal, Motorhead
Non ho ben capito come mai la Wings of Destruction mi abbia riproposto un album del 2015, quando la band in questione ha peraltro già fatto uscire un nuovo lavoro. Detto questo, loro sono i russi Blood Pollution e l'album è 'Raw Sovereignity', uscito ormai sei anni fa. Una mezz'ora abbondante di suoni thrash'n roll per la band moscovita. Brani scanzonati, veloci, divertenti per una serata all'insegna di birra, wurster e crauti in compagnia degli amici, a partire dall'iniziale "Runaway" per poi proseguire attraverso pezzi più o meno interessanti, fino alla conclusiva "Tribes of Doom". Sapete per atteggiamento e proposta musicale chi mi hanno ricordato questi tre pazzoidi? Un ipotetico ibrido tra Motorhead, Tankard e primissimi Over Kill. Pezzi belli tirati, vocals impastate, chorus ruffiani e tanta spensieratezza. Brevi schegge impazzite come la seconda "Greetings From Nowhere", due minuti e mezzo di mosh indiavolato, tra schitarrate selvagge e una parvenza di assoli. Non grandi cose, ma tanta genuinità che forse andavano di moda 35 anni fa. Però che volete farci, il disco ce l'abbiamo fra le mani oggi, divertiamoci perlomeno. Ascoltare "Rocket Erection" è stato un tuffo nel passato quasi ad assaporare i primissimi vagiti dei Megadeth, con la voce del frontman a emulare l'esimio Dave Mustaine dei vecchissimi tempi. E poi ancora tonnellate di riffoni come non se ne ascoltava da anni con i miei pezzi preferiti identificati nella campanellosa "Monster Trucks Gone Wild", l'hard rockeggiante "Into the Abyss" e la conclusiva "Tribes of Doom", la traccia più lunga e strutturata del lotto, che mette in pista un po' tutte le influenze dall'heavy al punk passando attraverso il thrash concepito dal terzetto russo. Niente di serio, a parte puro rock'n roll. (Francesco Scarci)

La Città Dolente - Sales People

#PER CHI AMA: Mathcore/Sludge/Hardcore, Converge
Esordio in pompa magna per La Città Dolente, che si presenta con un full length dinamitardo, dopo il primo EP del 2018 dal titolo 'Opportunist'. La band, d'istanza a Milano, composta da quattro elementi di cui tre che provenienti da altre realtà come Pescara, Londra e Roma, si espone con un sound ben calibrato, potente e dai toni naturali. Un combo assai affiatato che, al cospetto dell'universo mathcore, ci propone una manciata di brani ben assemblati e di sicuro impatto. Si gioca in casa di band storiche tra Botch, Converge e Coalesce anche se qualche ruvida sfumatura old school alla 'End of Days' dei Discharge, li fa sembrare più originali e meno omologati. Mi piace la loro ricetta sonora, perchè non è né troppo patinata, né troppo tecnica o troppo diretta, perfettamente sobria, equa, ruvida e riflessiva al tempo stesso, snodandosi in una commistione sonora in equilibrio tra i vari maestri del genere, senza pendere direttamente dalle loro note, evitando cosi il facile rischio di plagio. I nostri con 'Sales People' riescono cosi a ritagliarsi una dinamica personale che dopo pochi ascolti risulta di buon gradimento e di grande effetto, accompagnata da un'ugola potente e qualificata, che ne esalta la forza d'urto e ne caratterizza le composizioni, suonate in modo più che eccellente, calde, emozionali, che difficilmente soffrono di una ripetizione creativa. Quello che sta dentro alle canzoni, l'alienazione urbana descritta nei testi è un punto in più, anche se mi sarebbe piaciuto sentirle cantate in lingua madre (apprezzabile infatti il moniker della band), scelta che avrebbe ampliato la comprensione dei concetti al popolo italico amante della musica estrema. Comunque, brani come "Corrupt" e "Profiteering", risalgono la corrente e si posizionano ai vertici della mia personale classifica di gradimento, senza nulla togliere all'intero cofanetto, che è prodotto e confezionato egregiamente, compreso il bel lavoro svolto per l'artwork di copertina. Un bel disco dal sapore internazionale che ha i numeri per farsi notare anche extra confini nazionali, teso, rumoroso, carico di risentimenti e che sapientemente usa innesti sludge e metalcore, per creare chiaroscuri e ritmiche più contorte, interessanti e variegate. Mi è piaciuto anche scoprire, leggendo un'intervista rilasciata sul web, che la band ha come fonte d'ispirazione formazioni interessanti come Infall e Anna Sage, provenienti dall'underground tricolore e francese (dove la scena transalpina ha peraltro band interessanti), tenendo un profilo basso senza sparare nomi esaltanti e troppo costruiti. Questo modo di porsi, a mio avviso, rende La Città Dolente ancora più vicina alla realtà di una scena italiana che ha bisogno di essere riportata ai fasti e all'originalità genuina di un tempo. In conclusione 'Sales People' è un album da prendere seriamente in considerazione, un disco interessante, di qualità, che non deluderà gli ascoltatori, nemmeno quelli più esigenti. (Bob Stoner)

(Toten Schwan Records/Fresh Outbreak Records/Hidden Beauty Records/Mother Ship/Shove Records/Violence in the Veins - 2020)
Voto: 75

https://totenschwan.bandcamp.com/album/tsr-120-sales-people

lunedì 11 gennaio 2021

Spectrale - Arcanes

#PER CHI AMA: Ambient/Neofolk
Fluttua gorgogliando, agitandosi lento il primo pezzo degli Spectrale di questo secondo lavoro intitolato 'Arcanes'. “ Overture”: vortici dalla forza centrifuga alimentano acuti inviolati. L’apertura senza colpo di scena non sarebbe degna. Eccoci a “Le Soleil” brano da cui è stato estratto uno splendido video. Cavalcano i suoni le valchirie di Odino con i tocchi acustici del maestro Jeff Grimal. Scompongono i suoni le ancelle di Zeus. Le baccanti danzano sinuose dinanzi al fuoco di Bacco. Capite che in questo corpo di emozioni potreste essere chiunque, senza scordare che la malia del suono vi può portare da Medea. Dagli dei ad un talamo di veli di lino mossi dal vento dell’est. “L’Impératrice”. Un arpeggio di chitarra ed il violoncello di Raphaël Verguin ci portano ad un loop scomposto, poi a singole note pizzicate, ed ancora all’emozione, perché questa song si congeda con un climax ascendente di suoni emotivamente sanguigni. Quest'album è un salto continuo tra continenti. Ora la foresta Amazzonica ci ospita nell’ascolto di “Le Jugement”. I tronchi sentono i suoni, rimbalzandoli di volta in volta per rendere giustizia ai pensieri degli Spectrale che sembrano riflettere qui, alimentando l’attesa del prossimo brano. Non si fa attendere “Le Pendu”. Musica e poesia. Ripetuti e Rabbia. Carezze e diamante. Un vetro scolpito. Una soglia che cela. Un manto invisibile che vorrebbe cadere. Lasciamo l’atmosfera per una colonna sonora al cardiopalmo. “Interlude”. E vi ho detto troppo. Cambia ancora la veste trasformista degli Spectrale. Eccoci a “La Justice”. Ebbene siete innocenti? O siete colpevoli? Questo brano, col suo ritmo vibrante, vi porterà alla soluzione catatonica delle vostre incertezze. Aspettate che debbo vestirmi appositamente per questa “Le Bateleur”. Senza forma non potremmo assorbire la sostanza invisibile di questo grido femminile che vede il sublime featuring di Laure Le Prunenec (Igorrr, Corpo-Mente, Öxxö Xööx, Rïcïnn) dietro al microfono. Noi sulle rive della Senna. Lei sulle vette piu alte di una città. Noi predati dal suono. Lei suono. Ed è come avessimo vissuto un istante in mille anni. Sempre sul suono strumentale. Sempre sul ghiaccio sciolto dall’armonia. Sempre chiara, lontana e nostalgica è “La Lune”, un pezzo oscuro quanto una notte di luna nuova. Gli Spectrale chiudono con “La Papesse” il loro album. Un labirinto di speranza ed attesa. Una caccia ed una preda. Una evoluzione sonora che può ravvivare il nostro ascolto o portarci in un ghiaccio che solo noi potremo sciogliere. Immaginoso. Folgorante. Enigmatico. In questo lavoro degli Spectrale, ascoltate e scrivete. Avrete sorprese in musica.(Silvia Comencini)

(LADLO Productions - 2020)
Voto: 75


https://ladlo.bandcamp.com/album/arcanes

Quantum Panik - Human Bridge

#PER CHI AMA: Nu Metal, Slipknot
Di nu metal purtroppo non se ne sente più parlare, ma per fortuna c’è ancora qualcuno che, nonostante il genere sia ormai passato di moda, si cimenta ancora a sperimentarlo sfidando le mode del momento. È il caso dei toscani Quantum Panik che con l’EP 'Human Bridge', uscito lo scorso anno, dimostrano di essere devoti alla causa e di amare follemente suddetto genere. Un EP breve quanto intenso, tre tracce per una durata totale di 11 minuti in cui ci viene mostrato un sound che dimostra palesemente di essere influenzato dagli Slipknot old school, con un pizzico di personalità che s'incastona bene nel tutto. Gli elementi chiave del gruppo sono sicuramente il vocalist Tommaso Pescaglini, che con la sua ugola rimanda subito al Corey Taylor dell'Iowa al quale aggiunge anche qualche sfumatura death metal e il batterista Luca Iacopetti e i suo quattro arti che fanno sembrare la sezione di batteria al limite di una drum machine. Anche Yuri Fabbri sembra mettersi in gioco, mostrando un basso bello possente e dal suono metallico che si amalgama bene con il resto del sound. Ma parliamo dell’EP. Si parte con la titletrack, la traccia più strutturata del disco, la quale dopo un intro di chitarra abbastanza misterioso, parte con un riff trattenuto che ci introduce ad una voce apparentemente tranquilla, ma che durante i ritornelli si scatena totalmente. Altro momento da menzionare è il breve bridge composto da un basso bello pomposo che sa mettersi in luce al punto giusto e ci accompagna ad un assolo di chitarra che, seppur breve, funziona alla grande. Si passa poi alla mia traccia preferita ovvero “Stomp” che ha tutta l’intenzione di farci pogare come se non ci fosse un domani. Con questo pezzo il gruppo si meriterebbe l’appellativo di “Slipknot italiani”. Mentre la si ascolta viene quasi in automatico ripensare, attraverso vari flashback, a quel capolavoro di 'Iowa'; tutto il brano infatti viaggia su quella scia, dal potente intro ai versi accattivanti, in particolare il secondo, nonchè i ritornelli possenti ed impazziti. Dopo un bridge incalzante all’ennesima potenza, i nostri si scatenano nella seconda parte con i pedali del batterista pestati al massimo. E poi una parte finale entusiasmante, introdotta dall'urlo indemoniato del vocalist che si farà sentire da qui all’eternità. L’ultima taccia, “Medicina Amara”, è la canzone più rappata del disco cantata peraltro in italiano, lingua abbastanza sottovalutata nel rap metal, il che le dà quel tocco in più che rende speciale anche quest’ultimo pezzo. Qui possiamo sentire Yuri che, oltre a suonare il basso, nel ritornello si cimenta anche nel ruolo di seconda voce insieme al cantante. Un EP notevole per quello che vuole dimostrare e che può davvero gettare le basi per una nuova ondata nu metal in salsa italica, comunque punto di partenza per un album di debutto. Volevo chiudere dicendo che un elemento cardine che distingue l’artista che suona per soldi da quello che lo fa per passione è il fatto che se vuoi suonare un genere che ti piace, lo fai indipendentemente dal fatto che sia di moda o meno o che tu riesca o no a diventare milionario. Ecco, ascoltando 'Human Bridge' direi che i Quantum Panik lo facciano sicuramente per passione. Ne consiglio pertanto l’ascolto, e perchè no l’acquisto, a tutti gli amanti del nu metal. (MetalJ)

sabato 9 gennaio 2021

Ambassador - Care Vale

#PER CHI AMA: Alternative/Post-Grunge/Dark
Ecco una band che sul finire del 2020 ha conquistato un posto nella mia personale classifica dell'anno passato. Sto parlando degli Ambassador, compagine proveniente dalla Lousiana, che ha rilasciato sul finire dell'estate scorsa questo EP di sei pezzi intitolato 'Care Vale'. Che dire, il platter è fresco quanto mai tenebroso. Il tutto è certificato dall'opening track, "Colonial", un brano guidato da uno spettrale giro di chitarra e dalla voce di Gabe Vicknair, uno che deve essere cresciuto a pane e Fields of the Nephilim, visto che il mood oscuro degli inglesi lo riversa all'interno di un sound oltremodo delicato che tocca qua e là alternative rock, post-punk o dark metal. Il sound dei nostri tuttavia non si limita certo a questa o quell'etichetta, ma volge il proprio sguardo verso sentieri differenti, spaziando anche all'interno di post-metal, sludge, shoegaze e altre sonorità che potrebbero scomodare facili paragoni con gli ultimi Katatonia. Notevoli, è stato il mio primo pensiero. E malinconici quando la seconda "Voyager" ha cominciato a fluire nel mio stereo con i suoi raffinati orpelli chitarristici, come un soffio leggero che sposta impercettivamente i capelli davanti agli occhi. La voce di Gabe rimane il punto di forza dell'ensemble, ma anche la musicalità cristallina messa in piedi dalla band di Baton Rouge si rivela davvero formidabile con ariose aperture che potrebbero evocare un che dei Russian Circle. All'inizio menzionavo le divagazioni sludge, eccomi accontentato in "Subterfuge", con quel suo pesante riffing melmoso allegerito soltanto dal raddoppiare della seconda chitarra che, oltre a conferire un tocco di malinconia ad un brano per larghi tratti strumentale, ne stempera anche l'irruenza. Ma con l'ingresso della voce e della tribalità di un drumming che chiama in causa ancora i Katatonia, ecco che il gioiellino è servito, con quelle sue chitarre riverberate di chiara matrice post-rock. Ve lo dicevo che dentro a 'Care Vale' c'era di tutto e per tutti i gusti, quindi non esitate avanzando nell'ascolto. Verrete sorpresi dal temperamento nostalgico della title track, cosi emotivamente inquieta e cosi forte nello sconquassarci l'anima con il suo incedere delicatamente dilaniante. Con "Severant", quelle nubi che si stavano addensando nell'aria poc'anzi trovano modo di scaricare la propria rabbia attraverso un riffing dapprima pesante ma che in pochi secondi perde vivacità acquisendo un tono ancora malinconico. Ma i quattro americani sono abili nell'alternare luci e ombre, cosi come eterei passaggi acustici a fragorose scariche elettriche, ammiccando qui anche ai Deftones. La chiusura è affidata alle note di "Spasma", dove emergono infine accenni post-grunge che si vanno a sommare a una ricerca spasmodica del suono emozionale, maledetto e dannato, malinconico e irrequieto, che fanno di questo 'Care Vale' un lavoro intenso e da gustare tutto d'un fiato. (Francesco Scarci)

Hatecrime - Music About Death

#PER CHI AMA: Black/Death
Uscito nel 2019, 'Music About Death' rappresenta il secondo album per il quartetto russo degli Hatecrime. La proposta del combo originario di San Pietroburgo, definito 'misanthropic death metal', è in realtà un rozzo e furioso black death con qualche accenno grooveggiante. Lo dimostrano i 133 secondi di "Dead Raven", che su una ritmica thrash metal, s'infervorano poi con accelerazioni death e screaming black. Fortunatamente, in questo marasma sonoro, i nostri ci buttano dentro qualche accenno melodico altrimenti credo l'ascolto di questo brano non sarebbe stato certo dei più facili. E infatti è assai più complicata la successiva "We Are Not Who We Are", in primis per una durata più sostanziosa rispetto a "Dead Raven" e poi per una proposta musicale controversa e dissonante, anche se i continui cambi di tempo e una tecnica più che discreta, ne fanno galleggiare le sorti oltre la sufficienza. Un'apertura acustica apre "Against", il pezzo più lungo del lotto (circa 6 min e 20) che ci consegna un rifferama più compassato, certo non proprio memorabile, ma perlomeno si lascia ascoltare. "You Hating" ha il riffing portante davvero potente, ancora meglio l'apporto vocale che si muove tra un semi-pulito, growl e scream, per quello che è il miglior pezzo del disco, soprattutto a livello melodico con un bell'assolo conclusivo che si accompagna ad una feroce galoppata black. Ecco, qui ci siamo, ma che fatica. Con la seguente "1984" si torna a ritmiche più misurate, alternate alle classiche sfuriate, ma il risultato non mi convince più di tanto, più che altro perchè si perde nell'anonimato generale. E anche l'episodio conclusivo del disco, "The Purge", non aggiunge granchè all'album, sebbene possa certamente affermare che gli Hatecrime riescono a dare il meglio di se stessi sui pezzi più tirati piuttosto che in quelli più ragionati e qui i nostri sono abili nell'aggredirci con un rifferama tagliente e selvaggio. Insomma 'Music About Death' è un lavoro che denota ancora diverse deficienze per approdare ad un pubblico più vasto, il consiglio è come sempre una maggior ricerca di originalità per scrollarsi di dosso quell'abito che indossano ormai milioni di band impantanate nell'anonimato totale. (Francesco Scarci)

(Wings of Destruction/Grotesque Sounds Productions - 2019)
Voto: 62

https://wingsofdestruction.bandcamp.com/album/music-about-death

venerdì 8 gennaio 2021

Hulder - Godslastering: Hymns of a Forlorn Peasantry

#FOR FANS OF: Raw Atmospheric Black
Hulder is a solo-project founded only two years ago by the Belgian musician Marz Riesterer who is currently located in Oregon, USA. From its inception the project showed some potential, combining raw black metal with some medieval influences, not only conceptually but also with some small musicial touches. Anyway, Hulder couldn't be defined as a pure medieval black metal project, at least in its first stage. In these two years, the project has been quite active releasing several demos, singles and a EP, always with a very raw production and a potential yet to be fully delivered.

Twenty-twenty has been a remarkable year for Hulder that finally released the debut album entitled 'Godslastering: Hymns of a Forlorn Peasantry' with the respected underground label Iron Bonehead Productions. This debut opus marks a great step forward in terms of composition and production and it is exactly what I was expecting from this project as a logical and needed musical evolution. 'Godslastering: Hymns of a Forlorn Peasantry' doesn't differ so much from the previous works but it is undoubtedly a more mature work. First of all, the production has still its rawness, but it is clearly cleaner and more powerful. All the instruments are much more audible and the sound is perfectly balanced. The compositions have an appropriate equilibrium between clearness and agression. Musically speaking, the songs are clearly rooted in the black metal genre, both instrumentally and vocally. Marz’s shrieks sound pretty rasped and powerful and they fit the music perfectly well. Pace-wise, the songs are generally fast though they have a good dose of tempo-changes with a quite well composed guitar lines, which sound archetypal but never boring or dull. The album opener "Upon Frigid Winds" is a nice example of well-composed riffs and a relentless pace, although thankfully the rhythm varies enough to prevent the song to become boring. Moreover, it has a nice and short atmospheric interlude in the middle of the song which gives a nice medieval touch to the track. The aforementioned medieval vibe is here clearly stronger if we compare it with previous releases. This feeling is achieved thank to different arrangements, like some keyboard sections in several songs, for example, the already mentioned album oponer, or traks like "Lowland Famine", among others. Other arrangements come in the form of acoustic guitars, like in the more calmed track "De Dilje", which serves as a peaceful moment in the middle of a sonic storm. These arrangements enrich the album making it has a credible medieval vibe, but they never overshadow the absolutely loyal black metal sound. The achieved balance is excellent and the expected aggressivity is well accompanied by these atmospheric touches, which improve the final result. Another nice example is the excellent track "A Forlorn Peasant’s Hymn", with a surprising calm and beautiful first half, where Marz also shows us her heavenly voice. This ethereal start is suddenly broken by a furious change, giving wat to a second full black metal part, where she shows its strenght, it is indeed a well-done great contrast.

'Godslastering: Hymns of a Forlorn Peasantry' is undoubtedly a excellent step forward in Hulder’s career. It stays loyal to its core sound as it shows a necessary improvement in terms of production, compositions and a stronger medieval atmosphere. Absolutely recommendable for fans of the black metal genre. (Alain González Artola)


(Iron Bonehead Productions - 2020)
Score: 82

https://www.facebook.com/HulderUS/

Silent Eyes - S/t

#PER CHI AMA: Acoustic Prog Rock, Riverside
I Silent Eyes (monicker che ricorda il titolo di un brano di Paul Simon) sono una one-man-band dalle sfumature eccentriche e nostalgiche, un porto sicuro per un ascolto di un rock acustico mosso che incontra pace e generi variegati. La prima traccia di questo album omonimo, “Homeward Bound” ci porta letteralmente a casa. La voce del mastermind Keelan Butterick spezza il silenzio di un locale vuoto in cui si muovono chitarra ed ugola, un tutt’uno che accarezza un sound melancolico. Suoni dalle reminescenze prog (penso a Riverside o Porcupine Tree) si addolciscono in un pop rivisitato. Sonorità trasversali a vari generi sfumano nel racconto del cantare non del cantante. Il pezzo si chiude con virtuosismi chitarristici che non vogliono lasciare la scena, quasi ad esserne dipendenti. Epilogo lento e mellifluo. Veniamo a “The City”. Dondolo lentamente sul mio centro. Altrettanto lentamente provo ad entrare nelle pieghe di questa canzone. D’improvviso, un sorriso sghembo ed una ferita si aprono. Si. Perchè “The City” non lascia spazio alla mente, ma sussurra al cuore. E se ascoltando una canzone la commozione ci mastica l’anima, allora dobbiamo dare spazio alle fauci per riprenderci il cuore. Mi ridesto dal viaggio delle prime tracce quando parte “These Days”. Si librano sfere di luce nel buio della notte. Salvami. Perdonami. Conducimi. Ed il viaggio si ferma. Strappa il respiro. Poi ci rianima. Un prendere ed un dare. Un sussulto ed un sospiro. Una terra bruciata ed un fiore. Qui l’atmosfera si confonde in parole e musica. Ciclico. La terra trema leggera sotto “Ocean Blues”. La voce è avvolgente in una tensione superficiale che terrà sempre gli atomi in intorni coesi. Gli occhi si chiudono, il corpo no. Un messaggio da farsi passare attraverso. Un vivere di sensazioni, emozioni e musica. L’album del factotum australiano (qui aiutato da una serie di amici tra cui il Bloodwood String Quartet con tanto di viola, violino e violoncello) si chiude con “For You”. E siamo su una spiaggia dimenticata dal tempo e dallo spazio. Il fuoco è acceso. La fiamma imperante. Il silenzio tra i crepitii alimenta la voce di fondo che fa gongolare l’anima. Spengo la luce. Alzo il volume. Così dovete ascoltare questo'album. Un lavoro di classic rock acustico, dai tratti folk, fuori dagli schemi. Quest'album vi lascia lo spazio che si prende. (Silvia Comencini)

martedì 5 gennaio 2021

Mazikeen - The Solace Of Death

#PER CHI AMA: Black, Emperor
Il nome Mazikeen ho imparato a conoscerlo dalla visione della serie TV 'Lucifer', dove impersonava uno dei demoni a servizio di Lucifero, sebbene l'origine del suo nome sia da ritrovarsi nella DC Comics che la incornicia come una delle figlie di Lilith, la presunta prima donna di Adamo. A parte queste premesse, i Mazikeen sono anche la band di oggi, un quintetto originario di Melbourne che lo scorso anno, ha rilasciato il qui presente debut, intitolato 'The Solace of Death'. L'album include otto tracce di black/death più la bellezza di quattro cover. Ma andiamo con ordine raccontandovi un po' di che pasta sono fatti i nostri, che partono discretamente bene con la title track e una tempesta di sette minuti di black dalle tinte sinfoniche. Nulla di originale sia ben chiaro, però i musicisti sembrano preparati, le melodie piacevoli, anche un pochino ruffiane ma va bene, con tutti gli elementi del classico black anni '90 a disposizione dei nostri. Un tuffo nel passato quindi, sottolineato anche dalla successiva "Apostate" che con i suoi 10 minuti, e insieme agli altri 10 di "Vexation Through the Golden Sun", rappresentano i due brani più lunghi del disco (in un lavoro che comunque sfiora gli 80 minuti!). Anche in queste circostanze, la band si presenta con parti death atmosferiche che si alternano a sfuriate di scuola norvegese (Emperor/Carpathian Forest), con uno strano utilizzo delle vocals (tra screaming e qualcosa di corale). Certo gli originali sono tutt'altra cosa, però i nostri si difendono in un qualche modo, anche se avrei evitato di proporre quasi 21 minuti di musica in soli due pezzi, il rischio di incappare in una certa ridondanza si fa infatti più elevato. Ma i Mazikeen si mettono in gioco, rischiano e non ne escono nemmeno con le ossa rotte sebbene dopo un po' il desiderio di skippare lo avverta anche. I nostri musicisti australiani macinano riff a profusione con velocità sostenute, sempre contraddistinte però da una buona dose di melodia e addirittura da qualche assolo di scuola heavy classica (mi vengono in mente gli Iron Maiden nella seconda song) o addirittura da qualche break acustico che conferma le discrete qualità dei nostri. Per me il disco si poteva fermare alla soglia del quarto brano visto che qualche dolore in più inizia a palesarsi. Inutile infatti la tempesta sonora di "Fractricide" cosi come la più compassata, almeno all'inizio, "Psychotic Reign", un pezzo che francamente alla fine non è nè carne nè pesce, visto l'enorme baccano profuso fino a quando un ottimo assolo dilaga nel caos creato dai nostri; peraltro queste due tracce vedono il guest alla voce di Josh Young degli Astral Winter. Toni spettrali con l'interlocutoria "Harrowing Cessation" e ancora tocchi di piano con "Mors Vincit Omnia", per due brani la cui collocazione è quanto meno discutibile. "Cerulean Last Night" (qui il guest è del vocalist dei The Maledict) chiude il lotto di pezzi dei Mazikeen in modo a dir poco selvaggio. È il turno delle cover: si parte con "Freezing Moon" dei Mahyem e "Night's Blood" dei Dissection. Qui alla voce Nathan Collins dei Somnium Nox che presta i propri latrati a due grandi pezzi del passato, riletti quasi praticamente in un ugual modo rispetto agli originali dai Mazikeen. Poi uno dei miei brani preferiti di sempre, "The Mourning Palace" dei Dimmu Borgir, riproposti qui con una stravagante linea di tastiere che mi lascia un attimo perplesso. A chiudere quest'estenuante disco 'Transilvanian Hunger" dei Darkthrone, riproposta peraltro con la stessa pessima produzione dell'originale per mantenere intatto quel mood primigenio della band di Fenriz e Nocturno Culto. 'The Solace Of Death' è alla fine un disco che non fa dell'originalità il proprio credo, evidenzia ombre e luci (pochine a dire il vero) dei Mazikeen che per fare il salto di qualità, dovranno necessariamente mettere più personalità nel prossimo album. Per ora siamo oltre la sufficienza ma mi aspetto molto di più in futuro. (Francesco Scarci)

(Satanath Records/Iron, Blood and Death Corporation - 2020)
Voto: 65

https://satanath.bandcamp.com/album/sat282-mazikeen-the-solace-of-death-2020