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#PER CHI AMA: Instrumental Post Metal/Post Rock |
Il post rock italico va a gonfie vele: a casa nostra abbiamo leve di caratura ormai internazionale, e penso ai Thank U for Smoking, ai Valerian Swing che si aggiungono a band più borderline quali Klimt 1918 e Sparkle in Grey, giusto per citare qualche gruppo a caso. Vorrei aggiungere un altro nome a quelli appena citati, un nome che pian piano sta venendo fuori, soprattutto dopo aver rilasciato il nuovissimo 'Light Cut'. Sto parlando dei marchigiano/abruzzesi Aikira, nati inizialmente come side project di Fango e di El Kote, rispettivamente chitarra e batteria degli hardcorers Vibratacore, per soddisfare i loro impulsi più onirico-intimisti. E proprio per dar voce al bisogno di dilatare quanto più possibile la loro musica, pur mantenendo in seno una forte dose di aggressività, ecco completarsi la line-up con Andrea alla chitarra e, dopo una serie infinita di avvicendamenti, Lorenzo al basso (ma nel disco suona Giuseppe Pirozzi), per una formazione strumentale dedita ad un post-metal con venature post rock, che si traduce a distanza di quattro anni dal precedente album omonimo, in questo secondo capitolo. L'album si apre con la nervosissima ritmica di "Etera", altalenante nel suo incedere tra ritmiche frenetiche e gelidi fraseggi di chiara estrazione post rock, tra richiami sognanti, tunnel psichedelici e frangenti malinconici che ci conducono alla più roboante "Yonaguni", una song che parte con una serrattissima anima post black che palesa un'irrequietezza di fondo che agita il quartetto. Per fortuna nostra, la furia distruttiva che catalizza l'attenzione nei primi secondi della canzone, lascia posto a suoni che sottolineano ancora una volta l'inquietudine che imperversa nei solchi di questa release, tra suoni discordanti, momenti atmosferici e riverberi che mi consentono di non avvertire l'assenza di un cantato, mostrando pertanto la personalità ben delineata dei nostri. L'incipit oscuro di "Vantablack", unito ad una ritmica angosciante, mi regala attimi di grande fascinazione, dove vorrei sottolineare la performance di basso e batteria su tutto il resto. "Voyager" è un brano meno sperimentale che vanta tuttavia robuste linee di chitarra e atmosfere sagaci. "Elemental 3327" è invece un breve intermezzo che vede la partecipazione di Davide Grotta, responsabile della registrazione del disco, in veste di guest star al pianoforte (lo troveremo anche nella tenebrosa conclusione di "Elemental 06", dove si diletterà col theremin). Con "Drive", l'ambientazione si fa più soffusa, rilassante ma non troppo, perchè l'aria da li a poco, si renderà più pesante e cupa, con suoni che richiamano quei landscape sonori desolati assai cari ai Cult of Luna. I quasi nove minuti catartici di "Something Escapes", oltre ad avere un lungo incipit in bilico tra suoni ipnotici e space rock, vedono una seconda ospitata, ossia la voce sussurrata di Emanuela Valiante, ad aumentare, quasi ce ne fosse bisogno, lo stato di alterazione emozionale generata dai suoni liquidi ed alieni rilasciato dai quattro musicisti. Nel frattempo arrivo ad "Alan", penultima song di un album sempre ricercato nelle sue strutture e melodie, un disco che necessita sicuramente di svariati ascolti prima di poter essere masticato al meglio, in quanto le sperimentazioni soniche unite alle contaminazioni noisy e droniche dell'album, lo rendono un lavoro di classe e grande speranza per far uscire definitivamente la musica italiana dai ristretti confini nazionali. Ultima menzione per il mixing affidato ad Enrico Baraldi (bassista degli Ornaments) presso il Waiting Room Studio di Bologna, a sancire l'eccelsa di quest'ennesimo prodotto made in Italy. (Francesco Scarci)