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domenica 6 novembre 2022

Sceptic - Nailed to Ignorance

#PER CHI AMA: Techno Death
Ancora Polonia, un'altra band (dopo i Faust) che ha pensato bene di prendersi una pausetta di giusto 17 anni per riassettare le idee et voilà, il disco è servito. 'Nailed to Ignorance' è il quinto album per la band di Cracovia, dopo un silenzio in cui si era pensato quasi ad uno scioglimento dei nostri. Il lavoro però giunge in nostro aiuto con nove nuovi brani di techno death di scuola statunitense che ci fa strabuzzare gli occhi e non poco. Ma non siamo nuovi a sorprese di questo tipo in una nazione che ha dato i natali a gente del calibro di Vader, Decapitated e Behemoth. E noi ci aggiungiamo anche questi Sceptic che già nel primo pezzo, "Mind Destroyer", tributano i Death con una sezione ritmica che avrebbe reso sicuramente orgoglioso il caro vecchio Chuck Shuldiner. Bravi, bravi, cosi si fa, si osa, rischiando anche di bruciarsi le ali come fece il buon Icaro. Se poi i risultati sono questi ben vengano questi lavori, che pur non portando nulla di originale alla scena estrema, in realtà danno linfa vitale ad un movimento a tratti stantio ed obsoleto. E quindi lasciamoci guidare dai giochi di chitarra che il solido quartetto ci regala, sarà un po' come fare un tuffo nel passato. In "Wolf as a Shepherd", il basso di Paweł Kolasa assume toni e sembianze del buon Steve Di Giorgio, facendomi gridare al miracolo e portandomi a verificare nel booklet interno che non ci sia qualche ospitata da parte dell'originale. Ottimo l'assolo di Jacek Hiro sebbene assai breve per i miei gusti. E difatti, si rifà nel finale con un'altra cascata di note ubriacanti, anche qui, a dire il vero, troppo stringata. Ma i nostri non hanno certo il braccino corto e continuano in "Fate in My Hand" a mietere vittime con un sound robusto, deliziosi giri di chitarra (e botte di basso) in tapping o con fraseggi non lineari, che delineano l'elevato tasso tecnico di questi individui. E poi che assoli ragazzi, che break (scuola Atheist) a farmi gridare di gioia. State anche voi ancora soffrendo per la dipartita del buon Chuck? Beh qui avrete di che divertirvi, perchè siamo solo all'inizio di un disco che avrà ancora da offrire pezzi esaltanti: dalla ultra ritmata "Gaia" (Pantera docet) e quel suo ispanico break acustico di chitarra, passando per la più sinistra "Wordbow" che segna la metà di un disco, da qui tutto in discesa, vista la capacità di conquistarmi con i suoi primi 25 minuti (assolo epico pure qui peraltro e in "All I Can Devour" sarà da leccarsi i baffi). Ma non starò qui ad assillarvi ulteriormente con altre parole, se non per citarvi "The Sakkara Bird", un pezzo strumentale che ci sta alla grande e che in un qualche modo, mi ha ricordato la progressione musicale di "Cosmic Sea" dei Death ai tempi di 'Human' e la title track, dove una voce pulita stile Mikael Stanne in 'Projector', si contrappone al corrosivo latrato del vocalist. Se poi proprio devo trovare un difetto ecco, avrei optato per un disco più breve di sei/sette minuti, sempre meglio assestarsi sui tre quarti d'ora di musica quando ci muoviamo in questi paraggi, ma come diceva Totò sono "bazzecole, quisquilie, pinzellacchere..." (Francesco Scarci)

(Szataniec - 2022)
Voto: 78
 

Faust - Cisza Po Tobie

#PER CHI AMA: Prog Thrash
I Faust sono una band in giro da metà anni '90 che, ad un certo punto della loro storia, ha pensato di prendersi una pausa di ben 15 anni, ricaricare le pile e tornare sulle scene nel 2019, rilasciando un paio di album, di cui quest'ultimo 'Cisza Po Tobie'. Detto che io la band di Wyszków stranamente non la conoscevo, mi avvicino con un certo interesse a questo cd che raffigura una Madonna con un bambino che tiene in mano quello che sembra essere il serpente del peccato originale (viste le mele marcescenti che circondano il quadretto). Nonostante questi elementi religiosi, non mi sembra di intuire (i testi sono in polacco) che ci siano riferimenti religiosi nelle liriche, semmai si parla di una fuga di un genitore col proprio figlio dalla guerra, probabilmente in riferimento al conflitto in atto oggi in Ucraina. Fatte tutte queste dovute premesse, il disco si palesa con una lunga intro, "A Jeśli Umrę", in cui la voce (operistica) è affidata ad una gentil donzella (credo tal Karolina Matuszkiewicz) in un contesto estremamente melodico, ma non lasciatevi ingannare visto che quando irrompe "Za Tamtą Górą" sembra di aver a che fare con una proposta a cavallo tra Testament e Nevermore, ricca di furenti galloppate, ma anche di parti più atmosferiche o arpeggiate, leggasi il break acustico a metà brano con tanto di strumenti folklorici a supporto. La voce del frontman, pulita ma comunque aggressiva, faccio a dire il vero un po' fatica a digerirla, ma sono convinto sia più per una questione legata alla lingua in quanto non riesco ovviamente a seguirne i testi (sarebbe stato sicuramente meglio l'inglese). Anche qui fa capolino la voce di una dolce fanciulla. "Pokocham Tę Cisze Po Tobie" parte presentando un dualismo tra voce femminile e maschile (qui anche in formato growl) offrendo peraltro una ritmica che mi evoca anche un che degli Annihilator, sebbene sparata alla velocità della luce. Tuttavia, i molteplici arrangiamenti, quasi sinfonici a tratti, sembrano addolcire la supposta devastante che i nostri sono pronti ad infilarci, indovinate voi dove. Ottima la parte solistica anche se avrei preferito un più lungo assolo, però alla fine il brano è figo. Una sirena d'allarme e un coro (che tornerà nel corso del brano) ci mettono in fuga con "Pogarda", song dotata di una splendida linea di chitarra, di un groove assai convincente e di un assolo finalmente più strutturato, ed un finale di classica matrice "testamentiana". Un piano apre "Iskra Pod Śniegiem", ma poi in realtà è una bella randellata nei denti quella che ci si para avanti, anche se i nostri, ancora una volta, indorano la pillola con rallentamenti, eteree voci femminili, da cui ripartire più selvaggi che mai, ma con mille trovate musicali in testa. "Jakbyś Gryzła Żwir" è bella tosta e diretta, con un giro di chitarra che mi ha evocato il buon rifferama dei Death, poi si abbatte una tempesta sonora senza precedenti, quasi di scuola Morbid Angel, per quella che è la canzone più incazzata del lotto, la più tecnica, quella con l'assolo più tagliente. Insomma una figata. In chiusura, l'esotica "Zdążyć Przed Deszczem" con la scena affidata nuovamente alla splendida, e qui malinconica, voce di Karolina. Insomma, un graditissimo ritorno, e una bella scoperta per il sottoscritto. (Francesco Scarci)

giovedì 27 ottobre 2022

Astarot - Rain

#PER CHI AMA: Depressive Black
La one man band messicana Astarot è una di quelle classiche realtà musicali estremamente prolifiche, quasi come se mettersi in proprio sia il modo migliore per rilasciare tonnellate di album. Detto che spesso la quantità supera di gran lunga la qualità, mi avvicino con una certa curiosità ad una band che avevo apprezzato in passato per un album come 'Gateway Microcosm', che ancora conservo nella mia collezione. La proposta del buon Gonzalo GB "Astarot" (attivo peraltro in altre band quali Abysmal Depths, Alasthor, Black Lord, Odium Umbrae), continua imperterrita sulla strada del depressive black anche in questo 7" intitolato 'Rain'. Due soli pezzi per svelarci che, nonostante siano passati sette anni da quel disco che sopra menzionavo, la musica del mastermind di Irapuato non si è spostata di un millimetro, proponendo sempre un black mid-tempo che trova alcune variazioni al genere in soffusi ("Rain I, Howls of Pain") o spettrali ("Rain II, Suspiros en la Lejania") break atmosferici o nell'uso pulito della voce, e ancora di un ipnotico utilizzo dei synth. Certo, la presenza della drum machine non aiuta l'esito conclusivo, ma se volete provare ad accostarvi alla band, beh un paio di pezzi, potrebbero essere estremamente indicativi della proposta degli Astarot. (Francesco Scarci)

(Ah Puch Records - 2022)
Voto: 63

https://astarot.bandcamp.com/album/rain

Whispers In The Maze - Stories Untold: Chapter I

#PER CHI AMA: Melo Death
Whispers in the Maze... Sussurri nel labirinto. Whispers è una parola che piace parecchio anche a me, tanto da spingermi a chiamare quell'embrionale band che breve vita ebbe circa 25 anni fa, Whispers in the Darkness. A parte i miei pregressi scarsi, da musicista scarso, ci ritroviamo al cospetto di una quartetto originario dell'Ontario che con questo 'Stories Untold: Chapter I' ci offre il proprio secondo EP e noi non possiamo che porgere il fianco alla proposta melodica del gruppo canadese che ci guida all'interno del proprio labirinto musicale con quattro pezzi dediti ad un death melodico. Le melodie dell'opener "Poisoning Imagination" mi evocano quelle dei primi vagiti dei Dark Tranquillity, epoca 'Skydancer' e 'The Gallery' per intenderci, anche se la vocalità di Ben Bertrand, cosi abrasiva, sembrerebbe spingerci verso territori, a tratti, black. Tuttavia, musicalmente parlando, i nostri infarciscono la loro proposta di elevatissime dosi di melodie con le chitarre che costruiscono gradevolissimi giochi di luci e ombre. Le cose sembrano procedere sulla stessa piacevole linea anche nella più ostica e disarmonica "Ink", in cui a mettersi più in mostra sarà però il basso del frontman, con dei giri che sembrano ricalcare l'epicità del buon Steve Di Giorgio. "Chained Till the Grave" apre le danze con la tribalità delle percussioni, affidate a Mike Berrigan, che cederanno presto il posto alle ottime chitarre delle due asce, formate da Vitto e dalla turca Emine Topcu che si rincorreranno per tutto il resto del brano. In chiusura, "Behind Your Eyes", un pezzo in cui la chitarrista turca si diletta, ahimè malamente, anche nel canto, con una performance che sembra fare il verso a Courtney Love ed in un canzone che, volendo richiamare una ritmica meshugghiana miscelata a quella degli Arch Enemy, alla fine non raccoglie troppi consensi. C'è sicuramente ancora da lavorare, ma i margini di miglioramento sono piuttosto importanti. (Francesco Scarci)

Jeff Ament - While my Heart Beats

#PER CHI AMA: Psych Rock
Nella convincente "When the Fire Comes", una rutilanza social-distorta intessuta di etnicismi Three-fish suggerisce una solidità compositiva, ahimé disillusa nel prosieguo. Nella prima parte si alternano, va detto: con una certa vivacità, ruvidi jam-punkettini ("War in Your Eyes"), distrattamente – ed è la novità – ammicanti a certa wave-80 ("Give it a Name", con un po' di fantasia la stessa "Ulcers & the Apocalypse" in apertura). Risulta affascinante il modo in cui la ballad "While my Heart Beats" viri educatamente verso dissonanze desert-psych in un modo che vi ricorderà certe cose degli Arbouretum. Al giro di boa, "The Answers" ammicca ai toni più plumbei di "Nothing as it Seems" lasciando presagire un finale prettamente doom and gloom. Niente di tutto ciò: da lì in poi il carburante scarseggia, l'ispirazione tossisce e sputacchia e la navigazione procede a (s)vista nella direzione di un folk-pop tardi-Rem tutt'altro che entusiasmante. Potreste essere tentati di saltate direttamente alla ninnanannosa "Never Forget" in chiusura. Nel caso, non vi perdereste niente di che. (Alberto Calorosi)

Coram Lethe - Reminescence

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#FOR FANS OF: Techno Death
Veramente d'alto livello il debutto su cd per i toscani Coram Lethe. Raramente mi è capitato di trovarmi davanti un lavoro tanto curato parlando di autoproduzione: la registrazione è infatti oltremodo professionale, e così anche la confezione. Se poi aggiungete una sbalorditiva maturità sul piano compositivo capirete il perchè del mio entusiasmo. Lo stile proposto è un death metal tecnicamente pregevole e quasi mai tiratissimo, d'obbligo quindi il paragone con i maestri del genere (Death-Atheist-Sadus), ma nella musica dei Coram Lethe troverete anche influenze avvicinabili alla scuola svedese (mi vengono in mente soprattutto i Dark Tranquillity di 'The Gallery'). Non ci sono in effetti punti deboli su cui fare leva, se amate il genere proposto non potete farvi mancare questo lavoro.

The Pit Tips

Francesco Scarci

Sundrowned - Become Ethereal
Silent Moriah - Kill Everything You Love
Coldworld - Isolation

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Death8699

Children of Bodom - Hate Crew Deathroll
Cradle of Filth - Existence Is Futile
Slayer - South of Heaven

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Alain González Artola

Mystic Circle - Mystic Circle
Lunar Tombfields - The Eternal Harvest
Seid - Svartr Sol

lunedì 24 ottobre 2022

Full of Hell - Aurora Leaking From An Open Wound

#PER CHI AMA: Sludge/Grind
Dai, prendetevi sei minuti e 44", e ascoltatevi anche voi il nuovo 7" dei corrosivi Full of Hell, band statunitense dedita ad una forma sperimentale di estremismo sonoro. Solo tre i pezzi a disposizione per un concentrato bello denso di musica da bersi tutto d'un fiato e per questo, mi aspettavo sonorità più violente da una band che dovrebbe essere portavoce di un power violence furibondo e invece quando "Aurora Leaking" esordisce nel mio stereo, vengo inghiottito da una serie di suoni corposi, avvolgenti, distonici e disarmonici, quasi fossimo avvolti dalle spire di un serpente affetto da epilessia. Ci trovo dello sludge doom, del sano death, un pizzico di noise e post-core, il tutto contrappuntato da sonorità non proprio linearissime o ferali. La proposta si conferma anche nella successiva "Swarming Hornets", una brevissima scheggia sonora che sembra offrire anche qualche ammiccamento e derivazione math/hardcore. Ancora suoni lenti e sinuosi con la terza "Blinding Erasure", ove sottolinerei una volta per tutte, la caustica prova vocale del frontman Dylan Walker e l'utilizzo di un qualche non identificato strumento in sottofondo ad arricchire con derive jazz, la proposta di questa infernale band del Maryland. (Francesco Scarci)

Lividity - ...’Til Only The Sick Remain

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Brutal Death Metal
Lo sprofondamento nella più cupa abiezione procura evidentemente, a taluni individui, una strana specie d’ebbrezza. Gli statunitensi Lividity, pornofili dichiarati, sfornano un album turpe e morboso, ma senza spingersi ai livelli di abbrutimento dei loro connazionali Waco Jesus (autori dell’album 'The Destruction of Commercial Scum', sulla cui copertina apparivano fotografie di gentili donzelle intente a defecare in faccia a dei pervertiti). Brutal death certo, ma non del tutto scontato come si potrebbe immaginare di primo acchito. Il suono delle chitarre non poteva esser più azzeccato: cambi di tempo e stop' & go contribuiscono a movimentare l’andazzo. La band dà il meglio di sé nei passaggi slow-doom, semplicemente catacombali. Purtroppo però, i Lividity ci infliggono i famigerati duetti voce gutturale-voce isterica; passi per la prima, che risulta coerente al truce contesto, ma la seconda è alquanto irritante. Ciò non toglie che '...’Til Only The Sick Remain' sia un album ben riuscito, più commestibile di molti altri esimi colleghi.

(Morbid Records/Metal Age Productions - 2002/2018)
Voto: 66

https://www.facebook.com/lividityofficial