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mercoledì 9 marzo 2022

Fistula - Ignorant Weapon

#PER CHI AMA: Sludge/Hardcore, EyeHateGod
Adoro i 7", hanno quell'aspetto cosi vintage che mi riportano indietro di 40 anni quando mettevo i miei primi vinili sul giradischi, quanta nostalgia. E anche se quello dei Fistula è un EP uscito nel 2015, perchè non soffermarsi a parlarne un attimo? I nostri sono una band originaria dell'Ohio (da non confondere con gli omonimi del Missouri) con un quantitativo infinito di lavori nella propria discografia. 'Ignorant Weapon' potrebbe essere un sunto del loro sound, con quattro pezzi (di cui due cover) caustici come l'odio, all'insegna di uno sludge crust hardcore feroce, dotato di un muro di chitarre che mi ha quasi evocato i primi lavori degli Entombed. E l'essenzialità dei quattro brani e delle song coverizzate ("Destroy the Handicapped" dei Fang e "I Love Nothing" dei punkers GG Allin & Antiseen) tratteggiano le caratteristiche del quintetto statunitense. Chitarre dritte e marcescenti ed un sound nudo e crudo, si scagliano contro l'ascoltatore in "Wood Glue" con piglio devastante e voce abrasiva. La cover dei Fang è una melmosa traccia di poco più di un minuto e mezzo che lascerà il posto all'incipit doomeggiante di "This is Sodom, Not L.A.", prima che si trasformi in un arrembante song punk hardcore. Non ci pensano troppo a spaccare culi, anche se a metà pezzo compaiono delle spoken word che rendono il tutto un po' caotico e impastato. In chiusura "I Love Nothing", pezzo corrosivo e tagliente contraddistinto da chitarre belle gonfie e potenti ma mai veloci. Insomma per chi ama questo genere di sonorità e a voglia di un oggetto da collezione, dateci un ascolto. (Francesco Scarci)

(Bad Road Records/Patac Records - 2015)
Voto: 64

https://patacrecords.bandcamp.com/album/ignorant-weapon

martedì 8 marzo 2022

The Grand Astoria - From the Great Beyond

#PER CHI AMA: Stoner/Psichedelia
Da San Pietroburgo arriva un quintetto (ma in realtà si tratta di un grande collettivo di musicisti) che di strada ne ha fatta parecchia dalla loro fondazione, risalente ormai al lontano 2009. Si chiamano The Grand Astoria e propongono una mistura di hard rock psichedelico contaminato da influenze folk jazz. Il loro nuovo EP, 'From the Great Beyond', si apre con l'acustica folkish della title track che rappresenta il biglietto da visita dei nostri. A fronte di un incipit tranquillo, la song prende lentamente forma in una progressione crescente che ha quasi del sorprendente, tra cori un pochino ruffiani, accelerazioni ritmiche e strappi jazzistici. Non proprio il mio genere preferito, ma devo ammettere che l'ascolto mi ha intrigato non poco. "Wasteland" attacca in modo apparentemente più elettrico, con chitarra e una voce evocativa in primo piano. Con piglio ancestrale, segue a ruota una musicalità quasi da tribù indiana e poi ecco delle tastiere super psichedeliche che entrano nella testa e da lì faticheranno ad uscire. Con la lunghissima "Njanatiloka" (oltre 10 minuti), l'impressione è di aver a che fare con la controfigura dei Black Sabbath, sia a livello vocale per le reminiscenze "ozziane" del vocalist, che per un apparato ritmico bello compatto che all'altezza del quarto minuto, evolverà in lisergiche e deliranti divagazioni psych rock, con tanto di un fantastico assolo incorporato, sia di chitarra che di flauto. Poi si va verso un'anarchia musicale, quella tipica delle jam session con gli strumenti che viaggiano verso molteplici direzioni e suggestioni, e che non potranno non conquistarvi. Un altro riffone apre "Us Against the World" e qui mi sembra di cogliere delle influenze canore abbastanza graffianti, che mi portano invece ai Faith No More. Analogamente, la musica si presenta bella imprevedibile con schegge ritmiche che all'inizio di questo viaggio, dubitavo fortemente di riuscire ad ascoltare in questo album. E invece i nostri ruggiscono alla grande con riffing tirati e ammiccamenti psych. Gli stessi rff scompaiono nella successiva "Anyhow", un pezzo a cavallo tra il prog dei Jethro Tull, il folk, i The Doors, il jazz e pure il country (vista la presenza di un banjo nella struttura della song), in un melting pot, il cui risultato è davvero particolare. In chiusura i quasi due minuti roboanti della stoneriana e strumentale "Ten Years Anniversary Riff", che vibra tesa nell'aria come una stoccata di sciabola. Da ascoltare. (Francesco Scarci)

Sound of Smoke - Tales

#PER CHI AMA: Psych/Stoner
Ancora una volta mi piange il cuore nel sentire un buon lavoro che non mette in risalto tutte le sue reali possibilità, per un missaggio svolto in maniera poco incisiva, con poco mordente e non sempre efficace. Non è mia consuetudine criticare il difficile lavoro di chi sta dietro al suono di un disco, ma stavolta rimango allibito come una bella chitarra sia stata da più parti emarginata nel contesto musicale. Al suo secondo album (il primo aveva un suono già più hard!), i Sound of Smoke, esnemble originario di Friburgo, cercano una dimensione più fumosa e cupa, sfoderando un buon stile blues dal passo pesante e compatto. Hanno le carte in regola per suonare anche un ottimo rock dalle tinte vintage, anni '70 a tutto tondo, supportati dalla preziosa e splendida voce di Isabelle Bapté (che mi ricorda Emma Ruth Rundle in una veste più soul e più allucinogena), da una massiccia sezione ritmica e, come accennato in precedenza, da una chitarra bassa di volume, che a volte sarebbe bello sentire uscire dalle casse dello stereo, mentre la sua apparizione, è sempre inspiegabilmente tenuta in sordina. La band gira bene e mostra un buon feeling tra i musicisti e tralasciando qualche rischio di plagio (vedi "Witch Boogie" verso gli ZZ Top), si nota subito che la musica dei Sound of Smoke scorre che è un piacere. Il quartetto teutonico crea dalle ceneri degli inni di settantiana memoria, cimentandosi nella ricerca di originalità e riuscendoci in brani come "Indian Summer", dal fascino di scuola The Doors, cadenza ipnotica e ritmica profonda, cembalo, polvere, deserto e una gran prova vocale. In "Dreamin'" e "Devils Voice", i nostri potrebbero gareggiare con i Lucifer o Jess and the Ancient Ones, ma le chitarre sono miti e non sempre decollano, sopra una ritmica che suona trascinante come quella dei brani più orecchiabili degli ultimi the Jesus and the Mary Chain. In questi ultimi brani, effettivamente, le chitarre si prendono un po' più di spazio ed il sound risulta già più cosmico, e nella lunga suite finale, una canzone di oltre 10 minuti, si sente il potenziale stoner che in teoria dovrebbe accompagnare l'intero disco. Presumo che il tipo di equilibrio scelto tra i volumi degli strumenti sia stato voluto per aumentare l'effetto psichedelico del disco ma a mio modesto parere, devo dire che ha funzionato solo nelle parti più soft, rimanendo carente in quelle più heavy. Il disco ha una bella grafica di copertina e i Sound of Smoke hanno delle buone idee, anche se alle volte un po' abusate, la conclusiva "Human Salvation" mi ha molto colpito e la continuo ad immaginare con un pizzico di distorsione in più per deliziare le mie orecchie desertiche. Una band che ha del potenziale, una band che se focalizzerà al meglio la propria direzione sonora, potrà togliersi parecchie soddisfazioni in ambito psichedelico e vintage rock. (Bob Stoner)

(Tonzonen Records - 2022)
Voto: 73

https://soundofsmoke.bandcamp.com/

venerdì 4 marzo 2022

Monolithic - Frantic Calm

#PER CHI AMA: Death/Hardcore
Se l'idea di una traiettoria musicale che scaturisce dagli sbaciucchiamenti death grind dei Napalm Death di 'Scum' (ad esempio in "Nemesis") per giungere al deathcore peace-n-love dei Converge (udibile in "Payback") con tanto di doom-lentone da slinguazzata sul divanetto mentre il doppelganger di Chuck Palahniuk mastica i vostri intestini ("No Way Out"?), magari transitando attraverso metanfetamiche cavalcate analog-hardcore (i quasi 200 bpm di "Into Dust") e ipervoltaiche tempeste psych-jam stile tool-divorati-da-un-branco-di-cinghiali-klingoniani (la sorprendente "Cry Out"), possa stimolare a dovere i vostri nauseabondi gangli necrotici, allora questo secondo album pubblicato dalla band composta da due jötunn al basso e alla chitarra e un kråken alla batteria, potrebbe avere su di voi lo stesso effetto piacevolmente anestetizzante del gigantesco Uomo della pubblicità di Marshmallow sulla mente di Ray Stantz. Ascoltate questo disco violentissimo, increduli del fatto che due membri della band su tre, abbiano conseguito una laurea in musica classica e jazz presso il conservatorio di Trondheim. Un posto dove a questo punto vi sconsiglio di mettere piede. (Alberto Calorosi)

(Stickman Records - 2015)
Voto: 70

http://kennethkapstad.no/

giovedì 3 marzo 2022

Furnace and the Fundamentals - A Very Furnace Christmas

#PER CHI AMA: Party Cover Songs
Forse arriviamo un po' lunghi per celebrare il Natale, ma che ci volete fare, la segnalazione di 'A Very Furnace Christmas' l'ho ricevuta solamente un paio di settimane fa. E a farsene portavoce è stata l'etichetta Bird's Robe Records che ripesca un disco del 2019 degli australiani Furnace and the Fundamentals. I nostri si divertono qui a riproporre storici pezzi della musica pop rock in formato natalizio, divertente per passare forse una serata con gli amici e niente di più, ballare magari con le note danzerecce di "YMCA (Christmas Edition)", pezzo per cui peraltro i nostri pazzoidi amici ne hanno anche estratto un video. Per non menzionare poi "Gangsta's Paradise" del rapper Coolio, storico pezzo del '95. E ancora altri brani che potreste conoscere e per i quali potreste farvi venire i crampi allo stomaco, come è successo al sottoscritto, sono "Jingle Bells" in una versione scatenata e scanzonata quasi punkeggiante, oppure le troppo natalizie "We Wish You A Merry Christmas" o "Silent Night" che mi danno il definitivo Ko per l'ascolto di questo stra(vaga/zia)nte lavoro. Meno male poi che a tirarmi su il morale arrivano "You Shook Me All Night Long" degli AC/DC e l'arrogante "Giving In The Name Of (Killing In The Name Of )" dei Rage Against the Machine, francamente una boccata d'ossigeno per evitare che questo lavoro facesse una brutta fine. Capisco la rivisazione divertente e aggressiva che possono aver fatto in passato i francesi Carnival in Coal in 'French Cancan', ma qui ci troviamo musica dance pop che non dovrebbe stare nemmeno su questo sito. Siete curiosi di sapere chi sono gli altri artisti rivisitati dai Furnace and the Fundamentals? Cold Play, Billy Joel, Depeche Mode (sacrilega la versione di "Just Can't Get Enough"), Paul Simon, i Queen con uno spezzone di 48 secondi di "Bohemian Rhapsody" e molti altri. Ora posso sentirmi male del tutto. Prendete questo lavoro per quello che è, una divertente rivisitazione natalizia di 18 storici pezzi per un solo ascolto curioso e nulla di più. Mi sa tanto che non darò un voto. Anzi, ho deciso. Senza Voto è la mia sentenza. (Francesco Scarci)

Immolation - Acts of God

#FOR FANS OF: Death Metal
Talk about some crushing death metal throughout, this band never falls short in being extreme! This is probably one of my favorites of theirs. Fresh riffs devastating the listener. Just all the way BRUTAL! There are tempo changes but mostly mid-fast to fast riffs the whole way through. A little of a clean tone guitars, but not much. The vocals keep the music underground and it goes well alongside the instruments. I don't mind any of this album, it's death metal to the extreme through and through. I wouldn't want anything changed either. The music is what captivates me ABSOLUTELY to the n-th degree!

The guitar riffs aren't overtly technical, they just are unique. And what a solid production quality! I think that's what made this release totally killer aside from the musicians amped it up entirely. I think that's what they lacked somewhat in previous releases. This one hits home all the way. After I heard it on Spotify, I had to order the actual CD. It's something that I can play over and over. I'm not a huge Immolation fan but I like how this sounded. The musicianship was phenomenal. The whole way through this one is totally in your face with brutality and guitars that just hit home in every single aspect.

As I say, the production quality was good and they're on a solid label being it Nuclear Blast. This one barely lets up in any aspect. They're slower riffs but overall the speed and the technicality in the leads were phenomenal. They definitely know how to construct sick rhythms and devastating leads. The vocals exhibit no variety to them which is ok because they wanted to keep it underground. I thought this all the way they know what they're doing! I'd rather not know the lyrics on here as long as they continue to conduct music that is so extreme. And everyone on here seemed to know what direction they needed to go.

This will probably remain the only Immolation that I own because it's in every aspect what I look forward to in a death metal album. The guitars hit home and the vocals just annihilate. Nothing needs to be changed on this album because everything is filled with precision, and precision with vigor! Check out the digital release to see if it's something that would be suitable to your metal pallet. From a skeptic regarding Immolation albums, this one is my favorite out of their entire discography! If you want something that totally slays, 'Acts of God' is where its total at! Take a listen! (Death8699)


Warpaint - Heads Up

#PER CHI AMA: Psych/Art Rock
Un'avveduta riproposizione degli acclamati languori sonici già sobillati nel lavoro precedente ma opportunamente (forse troppo/rtunamente) arricchiti di trame e substrati elettronici, vedi per esempio la kraut-bossa medialista di "Don't Wanna" o le distanze fatton-danzerecce di "So Good" o "Don't Let Go" e ancora la Bristol/izzazione diffusa un po' ovunque, ma soprattutto in apertura ("By Your Side" e "Whiteout"). Oppostamente, due elementi di continuità conducono l'ascoltatore nei paraggi del precedente, omonimo 'Warpaint': la progressiva riverberanza (leggi: sonnolenza) dei suoni e la (stra)ordinaria voce di Theresa Wayman, sempre (in)consapevolmente carica di sensualità ipnotica post-fattanza (in "Whiteout" soprattutto). Spregiudicatamente dream-poppy e save-a-prayeristico invece il singolo "New Song", soltanto apparentemente avulso dal contesto sonoro di quest'album dedito ad un psych art rock tutto al femminile. Un album che fareste bene ad ascoltare in cuffia mentre aspettate l'alba strafatti di mescalina, gambe penzoloni, seduti su un molo di legno proteso nell'Oceano Pacifico. (Alberto Calorosi)

(Rough Trade - 2016)
Voto: 68

https://www.facebook.com/warpaintwarpaint

martedì 1 marzo 2022

Lunar Tombfields - The Eternal Harvest

#PER CHI AMA: Black Metal
La band di quest'oggi si chiama Lunar Tombfields e deve il proprio nome ad un brano dei deathsters teutonici Venenum, estratto dall'EP di debutto omonimo del 2011. Il perchè di questa scelta è fatto a me sconosciuto soprattutto perchè non ci sono nemmeno punti di contatto cosi evidenti fra le due entità musicali. I due francesi, in questo loro esordio intitolato 'The Eternal Harvest', propongono infatti un sound all'insegna di un black minimalista, a tratti esasperato nella sua forma fredda e primordiale. E dire che quando ho sentito l'apertura di "The Ancestral Conjuration", affidata alle eteree vocals di Dolorès, ho fatto un mezzo infarto perchè sembrava prendere totalmente le distanze dalle produzioni estreme di casa Les Acteurs de l'Ombre Productions. Ma il coccolone in realtà è durato solo un paio di minuti, visto l'arrembante e sporco black che poi si è fatto strada da lì in poi. E non un black di quelli che si consumano in pochi minuti, la traccia ne dura addirittura 14! E qui i due musicisti transalpini, peraltro provenienti da altre realtà estreme quali Absolvtion e Defenestration, ci investono con un flusso sonoro tipicamente old fashion, con qualche influsso che ci conduce al black norvegese cosi come pure alle scorribande post black di scuola statunitense. In tutta franchezza però, la proposta dei due non mi ha catturato assolutamente, troppo scontate le linee di chitarre, sebbene molteplici cambi di tempo, fin fastidioso addirittura lo screaming. Mi riprometto però di affrontare i tre successivi e lunghissimi brani con il giudizio azzerato, ma ancora una volta, nonostante un tiepido inizio, vengo travolto da una furia belluina di voci e ritmi serrati che non mi convincono nè in termini melodici, tanto meno emozionali. Eppure "As the Spirit Wanes, the Form Appears" ha degli spunti apprezzabili, ritrovabili ad esempio in un arpeggio melodico, un break atmosferico, in partiture chitarristiche o anche in un frangente dai tratti tribali, che possono evocare i Deafheaven degli inizi. Nonostante questo, trovo che ci sia qualcosa che non mi convinca nella proposta dei Lunar Tombfields, forse anche solo una banalissima mancanza di piacere di primo acchito. E il problema ahimè persiste anche nelle successive "A Dialogue with the Wounded Stars" e "Drowning in the Wake of Dreams", due brani che iniziano carichi di aspettative, con aperture ad effetto che poi sfociano in vortici di insana causticità in cui a perdersi è la musicalità, l'essenza dei nostri. E non servono quegli intermezzi arpeggiati a stemperare la furia della band, nemmeno l'utilizzo delle clean vocals, cosi come pure i rallentamenti quasi al limite del doom che compaiono qua e là, perchè alla fine la bieca furia cieca sembra rovinare tutto, fatto salvo per uno splendido assolo nella seconda delle due tracce. Un peccato perchè le potenzialità per fare bene ci sarebbero anche, ma trovo non siano state adeguatamente incanalate nella giusta direzione. (Francesco Scarci)