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giovedì 25 novembre 2021

Hazards of Swimming Naked - Our Lines are Down

#PER CHI AMA: Post Rock
Siamo ormai agli sgoccioli con le ristampe dell'australiana Bird's Robe Records a festeggiare il proprio compleanno. La scelta di quest'oggi ricade sugli Hazards of Swimming Naked, band strumentale di Brisbane che abbiamo avuto già modo di conoscere nel 2018, in occasione dell'uscita del loro secondo 'Take Great Joy'. L'album di oggi, 'Our Lines are Down', va molto più indietro nel tempo, riportandoci al 2009, quando appunto uscì questo debut album. Pur essendo più vecchio di 'Take Great Joy' di ben nove anni, questa release mi sembra decisamente migliore, miscelando robusti suoni post rock (e l'iniziale "Requiem" conferma questa mia affermazione) di scuola Mono con sonorità più cinematiche, delicate e sensuali che ammiccano ai Godspeed You! Black Emperor. In questo caso, è la lunga e vellutata "I'm a Friend of Edward J Stevens" a corroborare la mia tesi con una proposta onirica, votata completamente al post rock tra delay, riverberi e lunghe fughe melodiche, dove tutto è al posto giusto, e a mancare è al solito, una bella voce che faccia da Cicerone al nostro ascolto. L'intero lavoro si muove lungo queste coordinate anche nei successivi pezzi, dove evidenzierei l'inquietudine che si respira in "Sparks Fly", che prova a infilare nel loro flusso musicale anche un che di math rock. Se "Sveta Pače" è più un interludio ambient tra due brani che vede però la partecipazione di Berndt Vandervelt e Karin Gislasdottir, ho trovato "...And a Whole Assortment of Uppers and Downers" molto più godibile nelle sue lisergiche trovate strumentali e anche più varia, forse per la presenza di una voce parlata a spezzare la monoliticità dei suoni. Ideare dischi privi di un vocalist non è infatti cosa semplice e rischiare di annoiarsi è una delle possibilità più facili in cui incorrere. Il quintetto australiano è però abile nel saper tenere la barra sempre alta, con una prova maiuscola ed elegante. Ovviamente non sempre ci si riesce, e forse la noiosetta "Dreams Don't Come True, That's Why We Dream" ne è la prova concreta. Tuttavia i nostri ci provano in tutti i modi a catturare l'attenzione, addirittura nella scelta dei titoli dei brani: "Don't Cry for Me, Dario Argento" mi tiene infatti incollato allo stereo semplicemente perchè curioso di cogliere se c'è un qualche tributo al nostro visionario regista dell'horror e volendo, lo si può immaginare in una ricerca di sonorità un po' più orrorifiche e inquietanti. Gli Hazards of Swimming Naked alla fine non inventano niente di nuovo e non aggiungono nulla al genere, ma da ottimi strumentisti quali sono, fanno di tutto per tenerci incollati ai loro pezzi, quasi siano vogliano compiere una magia all'interno del loro flusso musicale che però mai si avvererà. Le ultime due citazioni del disco vanno alla più roboante "Aabar Dakhe Habe", un pezzo molto solido che sembra prendere le distanze dagli altri e l'intimista "Kip Keino", una sorta di cortometraggio in bianco e nero, tributo all'ex mezzofondista e siepista keniota Kipchoge Keino. Insomma, 'Our Lines are Down' è un lavoro che merita di trovare un posto nello scaffale di ogni amante del post rock. (Francesco Scarci)

(Bird's Robe Records - 2009/2021)
Voto: 75

https://hazardsofswimmingnaked.com.au/album/our-lines-are-down

The Pit Tips

Francesco Scarci

Slice the Cake - Odyssey to the West
Dusk in Silence - Beneath the Great Sky of Solitude
Windfaerer - Breaths of Elder Dawns

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Death8699

Exodus - Persona Non Grata
Lutharo - Hiraeth
The Ruins of Beverast - The Thule Grimoires

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Alain González Artola

Sickle of Dust - Where the Sun Glare Danced
Diabolical Fullmoon - The Pagan Wolves Rise Again
Arcana Existence - Colossus

Anarcheon - Scary Tale

#PER CHI AMA: Alternative/Death Metal
Interessante il mix proposto dagli Anarcheon, quartetto originario di Vancouver che in sei anni di vita, ha confezionato un demo e un paio di EP, incluso il qui presente 'Scary Tale'. Un po' pochino ma i contenuti non si discutono visto un sound che, sin dall'iniziale "Translydrainya" (song da cui è stato anche estratto un video di scuola Cradle of Filth), miscela sonorità stile primi In Flames con rimandi di carcassiana memoria, il tutto unito alle ultime cose dei The Agonist (qui con meno piglio sinfonico), per una proposta un po' più fuori dagli schemi. Sono i Carcass tuttavia a rappresentare l'influenza primaria dei nostri, visto un riffing mid-tempo su cui si muovono la voce abrasiva (ma anche in veste pulita) della frontwoman Kaija Kinney (un Jeff Walker in erba) e di sottofondo il basso da applausi di Sylvain Maltais. Il pezzo è piacevole anche se manca in realtà quello spunto in grado di renderlo davvero (con)vincente. Ci si prova con la successiva "Vlad To The Bone" e la sua ritmica serrata e compatta, con linee melodiche sghembe interrotte da un break atmosferico in cui Kaija dà nuovamente prova delle sue qualità vocali nel pulito. Si riparte poi con un death articolato, nelle cui parti più grooveggianti la brava vocalist si diverte a modulare la propria voce con diverse tonalità. La conclusiva title track parte lenta e minacciosa con la voce della cantante ancora in una versione clean e francamente più personale e accattivante, anche quando fa stridere le sue corde vocali. Certo, nella prima parte del brano siamo più su di un versante alt rock, ma poi i nostri decidono di pestare sull'acceleratore, tornano death e perdono quel quid caratterizzante che sembrava renderli un po' più diversi da quel milione di band che popola l'underground musicale. Sono confuso, visto che trovo la band canadese ben più particolare nei frangenti alternativi. Date un ascolto anche voi e fatemi sapere qual è il lato che preferite maggiormente degli Anarcheon. (Francesco Scarci)

lunedì 22 novembre 2021

Dying Hydra - Of Lowly Origin

#PER CHI AMA: Sludge/Post Metal, Neurosis
Adoro la mitologia greca e qui sembra essercene parecchia visti i riferimenti all'Idra nel moniker dei nostri, citando il mostro leggendario dal corpo di serpente in grado di uccidere un uomo con il solo respiro, con il suo sangue o al solo contatto con le sue orme. Alla stregua di quella creatura infernale, il sound dei danesi Dying Hydra sembra in realtà più affine a quello di un serpente costrittore alla luce dei contenuti sludgy di questo 'Of Lowly Origin', opera prima sulla lunga distanza, per il terzetto di Copenaghen, che deve essere cresciuto a botte di pane e Neurosis. Si perchè l'opener del side A del vinile (una versione in cd non esiste ancora), "Earliest Root", mette in mostra le qualità del combo danese che si muove appunto tra gli anfratti oscuri a cavallo tra sludge e post metal. Aspettatevi quindi dei pachidermici chitarroni su cui poggiano le vocals roche dei due cantanti, Lars Pontoppidan e Patrick Fragtrup, peraltro anche le due asce della band. La proposta, come ovvio che sia, è melmosa quanto basta nel suo incedere monolitico, con una buona dose di melodia che si esprime attraverso ricercati break atmosferici che spezzano quei riffoni caustici che popolano il disco. Il lato A della release è interessante in tutti e tre i suoi pezzi, in particolar modo però mi soffermerei sulla lunga "Rootborn" che per nove minuti abbondanti si difende con un sound possente attraverso un mid-tempo che, dove riesce, prova a rallentare il suo ritmo riducendo la densità delle note e contestualmente aumentando un senso di inquietudine interiore, soprattutto quando si palesa un parlato pulito. Il side B del vinile ci regala qualche altro spunto degno di interesse: la flemmatica ma intensa "Species Adrift" con quel suo drumming ossessivo, quasi paranoico, stabilizzato da un paio di break strumentali. "Ashed Eyes" continua sulla medesima falsariga ritmica con una continuità musicale che desta qualche difficoltà a percepire lo stacco tra il primo e il secondo brano. Ecco, forse qui qualcosa inizia a scricchiolare, perchè sembra che il terzetto arrivi verso il fondo in apnea, con la sensazione quasi di aver terminato le idee. "Undergrowth" prova a riprendersi la mia fiducia con una maggior ricercatezza sonora e con più spazio concesso alla parte strumentale dei nostri tra litaniche melodie orientaleggiante, roboanti giri di chitarra e frangenti più claustrofobici. La versione digitale del disco include infine una bonus track, "Cry of the Colossus" che ci consegna altri sei giri di orologio di sonorità oscure che chiamano in causa i maestri di sempre del genere. La release alla fine è interessante, ma c'è ancora parecchio da lavorare per emergere da quel calderone sempre più stipato da band che vogliono emulare Scott Kelly e compagni. (Francesco Scarci)

Clayhands - Is this Yes?

#PER CHI AMA: Cinematic Post Rock
Dove c'è Barilla c'è casa, citava un famoso spot televisivo di parecchi anni fa. Parafrasando quel jingle, mi viene da dire che dove c'è Bird's Robe Records, c'è post rock. Quindi, per gli amanti di queste sonorità, eccovi servito il nuovo lavoro degli australiani Clayhands, combo originario di Sydney che è uscito all'inizio di novembre con questo 'Is this Yes?', ambizioso album di cinematico post rock, come da flyer informativo annesso al cd. Partendo da un caleidoscopico artwork di copertina che, per colori e forme richiama i King Crimson, i nostri proseguono in modo altrettanto coerente con un sound assai delicato che potrebbe inglobare al suo interno sfumature progressive, jazz, ambient, improvvisazione pura, musica da colonna sonora e tanto tanto altro, il tutto suonato in modo a dir poco celestiale. Questo almeno quanto percepito dalle colorate note dell'opener "Godolphin" e confermato poi dai tocchi malinconici ma cangianti della successiva "Orchid", dove sottolinerei l'ottima performance di ogni singolo musicista e il gran gusto per le melodie. "Murking" si muove in territori ancor più alternativi, vuoi per un sound molto più ricercato, vuoi per l'utilizzo di strumenti a fiato, non proprio consoni al genere, ma il brano alla fine, nelle sue strambe circonvoluzioni, si lascia ascoltare piacevolmente. Ben più sfocate le immagini prodotte inizialmente da "The Boy Left", prima che la song trovi una sua direzione un po' più definita ma comunque fuori dai soliti schemi post rock, con melodie a tratti dissonanti ma che comunque in questo contesto, donano grande originalità al tutto. Peccato solo manchi una voce a far da Cicerone a questa produzione, perchè con un cantante dalla calda ugola suadente o evocativa, credo che quest'album avrebbe meritato un risultato ancor più esaltante. E allora lasciatevi andare, fatevi avvolgere dalle melodie eteree dei Clayhands, dalla loro impressionante e incessante voglia di stupire con suoni che tra le proprie influenze inglobano ancora Pink Floyd, Shels, i già citati King Crimson, gli Yes e molti altri a dare garanzia di una qualità compositiva davvero eccelsa. È chiaro che 'Is this Yes?' non sia un lavoro cosi semplice da digerire, complice un'architettura sonora ben strutturata e pezzi anche dalla durata notevole: "Polars" supera gli otto minuti mentre la conclusiva "Playgrounds" sfiora i 15, proponendo in questo frangente temporale quanto di meglio i nostri hanno offerto sin qui. Chitarre liquide, incorporee che prendono lentamente forma e si lanciano in sofisticate e magnetiche fughe strumentali da lasciare a bocca aperta. Spettacolari, non c' altro da dire. (Francesco Scarci)

(Bird's Robe Records - 2021)
Voto: 80

https://birdsrobe.bandcamp.com/album/is-this-yes

domenica 21 novembre 2021

Hegemon - Sidereus Nuncius

#PER CHI AMA: Atmospheric Black
La Les Acteurs de l'Ombre Productions colpisce ancora, un po' come l'Impero nella trilogia iniziale di Star Wars. Questa volta l'etichetta di Nantes si fa promotrice del comeback discografico dei blacksters Hegemon. L'oscuro quintetto di Montpellier torna con 'Sidereus Nuncius', quinto malefico full length nella discografia dei nostri. La release si apre con le melodie agghiaccianti di "Heimarménè", un pezzo glaciale, ma di grande impatto emotivo che, per certi versi, mi ha ricordato gli Aborym di 'Generator'. Mortiferi, malvagi e devastanti, ecco come gli Hegemon si ripresentano al loro pubblico, sciorinando pezzi infuocati, taglienti a livello ritmico e vocale, ma sempre e comunque dotati di un tocco grooveggiante che rende la release avvicinabile a tutti gli amanti di sonorità estreme. "Mellonta Tauta" è un black metal cupo, che gode di partiture serrate ma anche di frangenti atmosferici davvero affascinanti. E "Shamanic Cosmocrator" prosegue sulla medesima falsariga delle precedenti, miscelando in modo davvero diabolico e convincente, il black di scuola svedese con quello più morboso e ricercato di matrice transalpina, in una sorta di Dark Funeral meets Blut Aus Nord. Il disco va via spedito senza alcun calo di tensione o ritmo: "Ascendency of Astral Chaos" sembra rievocare il black norvegese, in un pezzo di grande atmosfera (splendide le due parti acustiche dove ampio spazio viene lasciato al pulsante suono del basso) che si confermerà alla fine essere il migliore del lotto. Ma la qualità è ovunque molto alta, ve lo sottoscrivo. Pur non avendo inventato nulla di nuovo, il quintetto francese rilascia otto brani che sembrano godere di una certa freschezza compositiva, di una buona dose melodica, grazie a continui inserti di sintetizzatori e parti arpeggiate. Le cose che probabilmente ho meno apprezzato sono alla fine quelle song un po' più scontate: "Shape Shifting Void" è ad esempio un episodio di violento raw black, alquanto banale almeno all'inizio, che tuttavia diventa improvvisamente figo laddove rallenta, lascia emergere tutta la sperimentazione sonora dei nostri, cambia registro vocale e si toglie di dosso quella fuliggine primitiva e prevedibile dei suoi primi 60 secondi. Poi è una escalation di violenza e stravaganza sonica che la proiettano insospettabilmente al secondo posto nella mia personale scaletta di gradimento. "Ad Astra per Obscura" è un altro esempio di black primordiale che fatica in questo caso, ad uscire dal calderone di migliaia di band che propongono questo genere. Ci provano con l'assolo finale ma l'effetto fade-out ne vanifica il risultato precocemente. "Black Hole Womb" è figlia del black thrash norvegese, senza infamia e senza lode almeno fino a quando, dopo 90 secondi, emergono bombastici arrangiamenti orchestrali, splendide linee di chitarra e basso, deliziose parti atmosferiche, spoken words e clean vocals che fanno gridare senza mezzi termini, al miracolo. Si arriva cosi velocemente all'epilogo con "Your Suffering, My Pillars", ultimo mefistofelico atto di 'Sidereus Nuncius' in cui i nostri si lanciano nella loro ultima epica cavalcata chitarristica. Infernali. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2021)
Voto: 76

https://ladlo.bandcamp.com/album/sidereus-nuncius

Tenebra - What We Do is Sacred

#PER CHI AMA: Stoner Rock
Tornano i Tenebra con un EP di tre pezzi giusto per non deludere le aspettative di coloro che attendevano un nuovo album dei nostri nel 2021 mentre in realtà quello dovrebbe vedere la luce solamente nel 2022. E allora meglio farsi andare bene questi tre brani, peraltro racchiusi in poco più di dodici minuti di sonorità psych stoner rock (e chi più ne ha più ne metta), che dall'iniziale "Cracked Path" (per cui è stato girato anche un video) alla conclusiva "Primitive Man", cover dei Jerusalem, ci confermano l'eccellente stato di forma della band bolognese, sempre guidata dalla stentorea ugola di Silvia, una cresciuta a pane e Soundgarden. Comunque, l'opening track spacca che è un piacere con quel suo rifferama oscuro di settantiana memoria (scuola Black Sabbath ovviamente) e la voce della frontwoman che alla fine catalizzerà tutta l'attenzione. In "Hard Luck" la voce di Silvia sembra grattare di più, quasi fosse sotto l'effetto di un paio di bicchierini di whiskey, mentre il sound è ritmato, fatto salvo quel rallentamento lisergico quasi a metà pezzo, prima che venga lasciato più spazio alla componente strumentale. In chiusura di 'What We Do is Sacred', ecco la cover dei Jerusalem, band inglese di primi anni '70 dedita ad un hard rock graffiante e robusto, con tutti gli strumenti qui e l'atmosfera creata (attenzione all'assolo di flauto) che si configurano al giusto posto, quasi a ricalcare pedissequamente l'originale, da cui si distaccano semplicemente per una produzione ben più cristallina. Alla fine questo EP rappresenta un gustoso antipasto per coloro che attendono con ansia l'uscita del secondo album dei Tenebra. (Francesco Scarci)