Cerca nel blog

domenica 30 maggio 2021

Gojira - From Mars to Sirius

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Groove Death, Meshuggah
In un periodo in cui c'è attesa per la recensione del neo arrivato 'Fortitude' in casa Gojira, noi andiamo controtendenza andando a ripescare le parole del vecchio 'From Mars to Sirius', terzo lavoro per la band francese, fuori per la Listenable Records nel 2005. Dopo il pesantissimo 'The Link' del 2003, ecco arrivare un disco assai ambizioso, per portare una ventata di freschezza in un panorama death metal all'epoca un po’ stantio. E direi che i Gojira riescono quasi nell’impresa di far uscire un piccolo gioiellino: un cocktail di sonorità che pescano qua e là dal repertorio di Devin Townsend, Fear Factory, Meshuggah e Darkane, aggiungendo alla fine un discreto tocco di personalità. Il platter che ne viene fuori, risulta essere una bella bomba ad orologeria pronta ad esplodere nel vostro stereo. I pezzi sono tutti belli incazzati con ritmiche debordanti, grazie anche ad una batteria martellante, su cui s’impiantano chunky riff e arrangiamenti groovy. I Gojira sono dei maestri nel creare un muro sonoro impenetrabile: "Where Dragons Dwell" ne è una testimonianza palese, in cui una colata lavica di riff pesantissimi creano un'atmosfera asfissiante. La successiva "The Heaviest Matter of the Universe" sembra parafrasare lo stile musicale del quartetto francese, quasi che sia realmente la materia più pesante dell’universo; in questo brano poi all’influenza palese dei Fear Factory si affiancano echi di Morbid Angel e addirittura degli Arcturus. Penserete che sia un pazzo, però vi garantisco la genuinità e la genialità, in alcuni suoi passaggi, di quest'album e di una band pronta a fare (che farà) il grande salto di qualità. E ancora: "Flying Whales" parte molto atmosferica per poi incanalarsi su un un mid tempo ossessivo, quasi ipnotico. Altre songs da segnalarvi: la straripante "Backbone" e le alternative "World to Come" e "Global Warming". Ragazzi, cos’altro dire, quest’album mi è piaciuto parecchio, nonostante i primi ascolti si siano rivelati di difficile lettura, d’altro canto la proposta dei Gojira non è poi cosa semplice d’affrontare. Estremi, ma con gusto. (Francesco Scarci)

(Listenable Records - 2005)
Voto: 75

https://www.facebook.com/GojiraMusic

God Forbid - IV: Constitution of Treason

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Metalcore/Swedish Death
Lo Swedish death miscelato al metalcore americano ha avuto un grande successo in passato creando ad un certo punto anche una indigestione tale da rendere assai complicato da descrivere con parole differenti, gruppi che alla fine proponevano la stessa minestra. I God Forbid sono una di quelle band che in passato mi ha dato una mano nel semplificarmi la vita, cercando di prendere le distanze e interpretare il genere con una certa dose di personalità. Non siamo di fronte ad un capolavoro, però devo ammettere che il quarto album della band statunitense non si presentò affatto male mostrando una longevità per le nostre orecchie non indifferente. Una produzione sporca (ma va bene così) accompagna le note di “Constitution of Treason”, in cui i classici riff hardcore e la vetriolica voce di Byron Davis, si strutturano all’interno della tradizionale metal song, dotata dei tipici riffoni di chitarra (bravi i fratelli Coyle alla sei corde), delle cavalcate alla Iron Maiden, di melodici cori con brillanti clean vocals e taglienti assoli. Il 2005 fu l’anno di questo sound, dei vari As I Lay Dying, dei Trivium e anche dei God Forbid, come pure fu l’anno della moda dei cd suddivisi in 99 frammenti (qui 98), quasi a fare impazzire il recensore di turno che, come me, fatica a capire che pezzo sia arrivato ad ascoltare. E cosi mi ritrovo alla traccia 36, scuotendo la testa come un pazzo esagitato, ascoltando la freschezza e la dinamicità di “The Lonely Dead”, sicuramente il pezzo migliore del disco che tra l’altro si chiude con un suadente pianoforte. I God Forbid se la cavano davvero egregiamente, avendo dalla loro anche una grande capacità tecnico-compositiva e un ottimo gusto per la melodia. (fantastica la tappa 60-69, “To the Fallen Hero”). Alla fine mi ritrovo a tessere le lodi per una band che è riuscita a farmi vincere la mia resistenza verso un genere ormai depauperato di idee. Alla traccia 97 mi trovo ancora super entusiasta e il successivo e ultimo frammento non fa altro che alimentare il mio desiderio di riascoltare questo lavoro. (Francesco Scarci)

(Century Media - 2005)
Voto: 72

https://www.facebook.com/officialgodforbid

Pando - Rites

#PER CHI AMA: Ambient/Experimental Black
Gli americani Pando sono una delle realtà musicali più astratte ed affascinanti che abbia mai ascoltato. Il loro sound è avveniristico, è rumore, musica per emozioni e sentimenti sinistri, devastazione, sconcerto, nera espressività, dadaismo black, arte non convenzionale, accostabili per inquieta ed inusuale attitudine oscura al capolavoro 'Royaume Des Ombres' dei Borgne, unito all'intimismo dei Cave Dweller, ovvero il progetto solista di Adam R. Bryant, una delle due menti che compongono i Pando. La band a stelle e strisce tocca le corde sensibili dell'emotività mistica, come ipotetici seguaci di Sharron Kraus (epoca 'Night Mare'), ma loro sono bardi moderni, estremi ed introversi, folli ed originali in tutto quello che compongono, anche nel modo di fare ambient. Possiamo considerarli black metal, ma non lo sono nel senso stretto del termine, farli rientrare nell'ambient noise, ma non sono solo questo, definendoli sperimentali non rischiamo di cadere in errore, ma la loro musica non disdice i legami con la cultura metal più estrema, quindi, sono semplicemente ed estremamente, trasversali ai generi citati. Questo nuovo 'Rites', distribuito dalla Aesthetic Death, non fa eccezione nella loro ricca ed interessantissima discografia, è un tipico prodotto, come da anni ci hanno abituato, solo che stavolta sono riusciti a condensare le loro idee soniche dirigendole verso un apice compositivo che tocca risultati egregi sotto tutti i punti di vista, paragonabili solo alla genialità di Liturgy e Qualm. Il duo del Massachusetts non fa prigionieri, paralizzando l'ascoltatore con brani contrastanti tra loro, tra feedback e registrazioni d'ambiente, voci radiofoniche, cori eclesiastici, noise minimale e basi agghiaccianti, gelido black dal suono cruento ed altamente realistico, come nella splendida, fulminea "Dadaism", che ipnotizza al pari di un brano dei Sunn O))) ma che ci spinge in nuovi territori di black estremo, visti con una mentalità pionieristica, dove il suono è tanto glaciale quanto presente, tanto vicino che lo si può toccare con mano, e rappresenta una fotografia violentissima di quello che possono rappresentare i Pando oggi in musica. Ci sono voci, sibili, ronzii, rumori d'ambiente e nevrosi, per interi minuti, racchiusi in una tensione latente, soffocante. "Total Station Theodolite" è un macigno dal suono grezzo molto vicino a certe sonorità in uso nella psichedelia più grezza, ma i canoni compositivi sono del black più catacombale e il risultato alla fine è strabiliante, perchè il pezzo è un vero incubo, con un riff killer e voci altamente inquietanti che non passano certo inosservate. "The Molds of Men" mostra una vena classic metal sguaiata e putrida ma giunge al cuore come un proiettile, forse per un suono da cantina che fa dell'underground una causa per cui lottare e vivere. Screaming ad effetto, riff apocalittici e decadenza, è il volto dei Pando nella veste più metal, ma non solo, rivestono la loro musica con innumerevoli interferenze, discorsi rubati, rumori industriali e la presentano in una nuovo formato, togliendo quel riverbero infernale tipico del genere, per rendere il suono diabolicamente caldo, umanamente demoniaco. Innovativi, come fu in ambito cinematografico l'uscita del film, "The Blair Witch Project", ti ossessionano in "Excarnation" con un violino gitano e una ritmica dal taglio martial industrial, concludendo gli oltre dodici minuti strumentali di questo brano, in un tripudio minimalista di piano e tappeti noise compressi in un'infinita malinconia. Immancabile la coda in stile depressive in chiusura del suddetto brano, di gotica e decadente illuminata melodia. "The Octagon Room" è sperimentazione ai confini dell'avanguardia black più totale, con un finale splendido in stile noir jazz, stonato e rovinato da polvere e usura, semplicemente spiazzante. C'è spazio per una chitarra pulita dal delizioso sapore spagnolo, immersa in un'amalgama di fruscii e parole rubate da radio, tv e ...gabbiani, per una malata malinconia piena di vita. I Pando hanno fatto il salto di qualità, hanno creato un mostro sonoro che affonda gli artigli nell'anima di chi l'ascolterà, senza lasciare scampo. Un disco emotivamente devastante, l'arte di essere malignamente d'avanguardia. Incredibilmente geniali! (Bob Stoner)

The Pit Tips

Francesco Scarci

Violet Cold - Empire of Love
Souless - Shine in Purity
Olhava - Frozen Bloom

---
Alain González Artola

Këkht Aräkh - Pale Swordsman
Nachtig - Der stille Wald
Stillness - Snowflakes

---
Michele Montanari

Ragnarok Duo - Valkyriur og Baldir
Lowrider - Reflections
Psychlona - Venus Skytrip

---
Death8699

Deicide - Overtures of Blasphemy
Devotion - Necrophiliac Cults
Vital Remains - Decrystianize

martedì 25 maggio 2021

Half Visible Presence - Three​-​Faced Scapular of Death

#PER CHI AMA: Black Avantgarde
Ecco un disco che mi ha conquistato quasi immediatamente, 'Three​-​Faced Scapular of Death' della one-man band olandese Half Visible Presence. La mente dietro a questo progetto è quella di Arvath, uno che sta dietro anche ai Blutvial, i Delinquentes Infernae e agli Israthoum, una band che abbiamo recensito su queste stesse pagine parecchi anni fa. In questa nuova creatura, il factotum dei Paesi Bassi si dedica ad un black atmosferico, attraverso tre tracce. Le danze si aprono con l'opener "Loss", che privilegia un approccio melodico e sulfureo nel suo lento inesorabile avanzare. Ma l'abilità di Arvath si palesa anche nella scelta stilistica che vede abbinare al black, derive avanguardistiche e parti sghembe che ne giustificano a mio avviso l'approdo alla Duplicate Records. Il pezzo forte è però la seconda song, "Liberation": un cospicuo intro acustico ci consente di entrare in un mondo infausto, ove a regnare è il caos. Ancora ritmiche oblique, growling vocals, parti più atmosferiche a caratterizzare la proposta del nostro ospite di quest'oggi, prima di una splendida ed imprevedibile svolta stilistica, che dal caos primordiale ci introdurrà al paradiso. Si perchè quando Arvath decide di giocarsi la carta emozionale, lo fa davvero con grande classe: cambio di tempo spettacolare (scuola Agalloch), violino strappalacrime in un crescendo fantasmagorico, per cui ho i brividi sulla schiena ancora adesso a distanza di ore e dopo aver ascoltato la traccia almeno una decina di volte. Da urlo, se potessi darei il massimo dei voti solo a questo brano. Visto che manca ancora la conclusiva "Retaliation" e la media la devo fare sui tre pezzi, ahimè dovrò abbassare il mio voto complessivo, anche se è comunque da apprezzare il black mid-tempo di quest'ultima, in un avanzare avant-ritualistico di elevata qualità, che mi spinge a volerne di più. Rimaniamo sintonizzati con gli Half Visible Presence, in attesa del full length di debutto, che si preannuncia davvero come un'uscita assai prelibata. (Francesco Scarci)

White Nights - Solanaceae

#PER CHI AMA: Psych/Dark/Rock, Ghost
Pronti per farvi un bel trip acido con i White Nights? Si perchè 'Solanaceae' mai fu titolo più azzeccato per raccontarvi le allucinazioni create da questa enigmatica band statunitense. Per chi non lo sapesse, le solanacee includono patate, melanzane, pomodori, peperoni e peperoncini, ma anche piante da cui ricavare farmaci o prodotti ad uso voluttuario (il tabacco) e piante velenose (le datura). Alcune specie contengono poi alcaloidi psicoattivi che sono alla base delle visioni delle "Notti Bianche", esplicate anche attraverso l'artwork di copertina. Il disco si apre con le atmosfere gotiche di "Halluncinogenic Black Cubes", in cui conigare le melodie dark rock dei Fields of the Nephilim con post punk e psichedelia, in una sorta di immaginifico mostro con la testa dei Ghost e il corpo dei The Sister of Mercy. L'EP si muove attraverso simili sinistre sonorità anche in "Nightshade Mornings in Bloodred Satin", peraltro sempre sorrette da uno splendido organo in background. Lo psych punk rock continua inesorabile nella più che esplicita "Cannabaceae III", un'altra famiglia di piante che comprende canapa (Cannabis) e luppolo (Humulus). Potrete pertanto lontanamente immaginare lo sballo lisergico durante l'ascolto del brano grazie alle sue vocals filtrate sorrette da una ritmica frenetica e punkeggiante. Ma la catarsi sonora si raggiunge con la conclusiva title track, oltre tredici minuti di sonorità dronico ambientali che vi condurranno in un mondo fatto di mille colori, suoni sperimentali e atmosfere settantiane che chiudono un EP interessante ma che forse alla lunga, rischia di risultare un po' troppo statico e monocorde. Le idee sono valide, ma forse c'è da lavorarci su ancora un pochino. (Francesco Scarci)

Regnvm Animale - Ignis Sacer

#PER CHI AMA: Black/Crust
Gli svedesi Regnvm Animale non è la prima volta che li incontriamo qui all'interno del Pozzo. Ve ne abbiamo parlato in occasione del loro debut 'Et Sic in Infinitum', poi in compagnia degli islandesi Norn nello split 'Brinna / Brenna' e ora in questo nuovo EP intitolato 'Ignis Sacer' e contenente cinque nuovi pezzi. La nuova proposta della band di Stoccolma si snoda dall'opener "Att Leva Utan Självaktning", un pezzo che in realtà non è altro che uno spezzone del film "Passione" di Ingmar Bergman, fino alla conclusiva "Suveränitetserosion". In mezzo, tanti spunti più o meno interessanti, dal folk metal di "Interregnum" che riprende se volete quanto fatto nel precedente split con "Våga Se Mig I Ögonen", e un sound all'insegna di parti acustiche e vocals graffianti. Si passa poi alla più cupa title track, con sonorità a cavallo tra hardcore, doom e crust, il tutto proposto in chiave atmosferica. Mi rendo conto che sia difficile comprenderlo ma voi dategli un ascolto e capirete meglio queste mie parole. Come al solito, mi preme sottolineare che l'ensemble scandinavo non stia inventando nulla di nuovo e originale, ma è comunque qualcosa che si lascia piacevolmente ascoltare tra ottime rabbiose accelerazioni e rallentamenti criptici dove a palesarsi positivamente è il lavoro in sottofondo del basso. "Missväxt" mi sembra un pezzo decisamente più dinamico tra black melodico, punk e crust, con buone linee di chitarra (soprattutto a livello di una specie di assolo), un basso perennemente pulsante dietro le quinte e le harsh vocals del frontman sostenute da un drumming costantemente incessante nel suo martellare furibondo. In chiusura, la già citata "Suveränitetserosion", un pezzo più meditabondo nel suo primo giro d'orologio, prima che esploda in raffiche di mitragliatrice ritmica nel resto del brano, gigioneggiando ancora tra black e crust-punk. Insomma, la degna conclusione per i Regnvm Animale e il loro nuovo 'Ignis Sacer'. (Francesco Scarci)

lunedì 24 maggio 2021

Assemble the Chariots - The Celestials

#PER CHI AMA: Deathcore/Symph Black, Fallujah, Dimmu Borgir
I finlandesi Assemble the Chariots mi piacciono, sono una band tosta che in undici anni di vita ha rilasciato quattro EP. Io rimango però in attesa di un full length o di un disco che metta insieme le quattro release dei nostri, di cui 'The Celestial', è l'ultima in ordine di tempo. Il quintetto di Helsinki propone un deathcore che corre appresso alle cose più melodiche dei Fallujah ('The Flesh Prevails'), combinandole con la robustezza del death metal ma anche con una più che discreta vena cinematico/sinfonica, scuola Xerath/Dimmu Borgir. Spettacolare l'incipit di "The Astral Creator", con delle vocals parlate che a breve diventeranno screaming/growl e un muro sonoro alto, o se preferite profondo, come la Fossa delle Marianne. Velocità vertiginose, vocals pulite sulla scia dei Cradle of Filth/Bal Sagoth, melodie pomposissime, giri di chitarra da urlo. Io voglio tenere in mano questo EP, cosi vorrei tutti gli altri, vi prego stampate questi dischetti. Quando parte "The Immortals", che vede il featuring di Patrik Nuorteva dei Mensura, la voglia si fa ancora più forte. Qui il sound è più deathcore oriented, ma è impressionante il break di voce e batteria a metà brano cosi come quando l'oscurità dei suoni si abbatte nella seconda metà del brano. Arriviamo all'ultima "The Ocean Breather", sempre assai ritmata su un mid-tempo dall'enorme vena orchestrale. Uno due tre e le deflagranti bordate dei nostri si esplicano in un rifferama pluristratificato, esaltato peraltro da un suono cristallino e potente che non concederà la minima tregua. (Francesco Scarci)

(Self - 2020)
Voto: 78 

Psychotropic Transcendental - Compilation 2020

#PER CHI AMA: Prog/Dark Rock
La qui presente ecopack compilation racchiude i due album dei polacchi Psychotropic Transcendental. Se dell'ultimo '.​.​.Lun Yolina un Yolina Thu Dar​-​davogh.​.​.' già vi avevo parlato a suo tempo e per cui vi rimando alla recensione nel Pozzo, del debutto intitolato 'Ax Libereld...', ne faccio oggi per la prima volta menzione. Questo perchè il disco è uscito nel 2001 e credo sia passato notevolmente sotto traccia, anche negli ambienti più underground. Il quartetto capitanato da Gnat (colui che ha inventato la lingua var-inath, utilizzata nei testi dei nostri) propone sette tracce che coniugano rock, metal e progressive. E la proposta sonora si evince immediatamente nelle atmosfere prog rock settantiane dell'opener, nonchè title track del disco, in cui il breve testo è urlato al vento dalla voce graffiante di K-vass (Moanaa). Le atmosfere sognanti del primo brano lasciano il posto a "Dirigah nax Ma-zarthilag", che sembra mixare il post punk con il dark, il tutto poi spinto a livello vocale in uno screaming efferato che fa da contraltare alle voci pulite dello stesso K-vass. Allo stesso modo, la musica segue con sfuriate, le parti più estreme di voce, per poi placarsi comunque nel lungo finale strumentale. La terza "Raxus Mahad Kirdail" è un brano più intimista e meditativo, guidato da una buona dose di malinconia, da atmosfere sognanti, dal ripetersi di un refrain di chitarra e da un cantato a tratti litanico e paranoico, inserito in un contesto a tratti mediorientaleggiante. Certo, la totale incomprensione delle liriche non aiuta molto nel memorizzare i testi, che potrebbero essere invece tranquillamente canticchiabili. "Sabagih Har Sabagihed" cosi come la precedente, potrebbero essere una versione in lingua var-inath degli Heroes del Silencio, con quella commistione tra suoni etnici e dark rock, che potrebbe evocare addirittura i Fields of the Nephilim. Quest'ultima influenza sembra confermarsi anche nei cori della successiva "Hava Kirr nax Lanamar", un pezzo interessante ma a tratti sconclusionato, più che altro perchè non è chiaro dove voglia andare a parare. Ma questa è una delle caratteristiche dell'ensemble originario di Bielsko Biała e necessita sempre un po' di tempo addizionale per orientarsi nella loro proposta musicale, che nel finale vede proporre atmosfere pink floydiane abbinate al punk rock. Ancora due pezzi a rapporto per completare l'ascolto del debut album dei nostri, un disco che sfiora l'ora di durata, che abbinata poi ai quasi 80 minuti del secondo cd, fanno circa 140 minuti di musica, una vera abbuffata, che prosegue qui sulle note oscure di "Garmed Il-namars". Questo è un pezzo prog che evoca i connazionali Riverside, e che mette in mostra uno scintillante finale da brividi in un climax ascendente tutto da gustare. In chiusura "Or Navorunas", gli ultimi dieci minuti affidati alle malinconiche melodie dei quattro polacchi che chiudono in maniera esemplare un debutto che ho apprezzato molto di più del successivo lavoro. In questa compilation uscita nel 2020, li trovate poi entrambi, quindi perchè farseli scappare? (Francesco Scarci)