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mercoledì 3 marzo 2021

Wojtek - Does This Dream Slow Down, Until It Stops?

#PER CHI AMA: Sludge/Noise, Converge
I Wojtek prendono il loro nome dall’orso, adottato dall’esercito polacco, che aiutò a trasportare casse di munizioni per la battaglia di Cassino durante la Seconda Guerra Mondiale e, curiosamente, lo condividono con un paio di band indie pop scozzesi (pare che dopo la guerra l’orso abbia trascorso la sua vecchiaia nello zoo di Edimburgo), che però, come vedremo, non corrono certo il rischio di essere confuse per il quintetto padovano. Giunti alla terza uscita in meno di un anno e mezzo, da quando cioè la band è nata dalle ceneri degli ottimi Lorø, i Wojtek continuano il loro percorso in direzione di uno sludge feroce e potentissimo, nel solco di mostri sacri quali Converge, Neuroris e Meshuggah. Ed è il caso di parlare di percorso, perchè questo EP di quattro brani (per meno di venti minuti) mostra decisi segni di evoluzione di un linguaggio che, per quanto ben definito nei suoi riferimenti cardinali, risulta meno brutale dei primi due episodi, più ragionato e personale, come se i vari elementi che caratterizzavano il suono senza compromessi degli esordi, avessero avuto il tempo di sedimentarsi. E quindi la struttura complessa dell’iniziale, splendida, "Catacomb", così come ad esempio le incursioni drone-noise di "Rednetrab" o la coda di "Desensitized", mostrano incoraggianti segnali di una maturazione che forse non è ancora giunta a compimento, ma che lascia intravedere un’interessante “via europea” per un linguaggio altrimenti già ben codificato. Come già il precedente 'Hymn for the Leftovers' (recensito su queste stesse pagine), anche questo 'Does This Dream Slow Down, Until It Stops?' esce in una versione fisica molto curata, in questo caso una musicassetta dal packaging decisamente accattivante. (Mauro Catena)

(Shove Records/Teschio Dischi/Fresh Outbreak Records/Ripcord Records/Violence In The Veins - 2021)
Voto: 76

https://wojtek3522.bandcamp.com/album/does-this-dream-slow-down-until-it-stops

Black Sun Brotherhood – God & Beast

#PER CHI AMA: Black/Death
Partiamo subito col dire che l'album di debutto dei norvegesi Black Sun Brotherhood non è di facile classificazione, avendo una struttura omogenea ma variegata, libera di muoversi tra le molteplici fonti d'ispirazione a cui la band attinge naturalmente, senza che l'esito dei brani, in quanto ad originalità e stile, venga screditato o tacciato di plagio. Nella stesura delle canzoni si sentono influenze dei Celtic Frost, in particolare dall'album 'Monotheist' per l'oscurità del sound, degli High on Fire per i tratti più sludge e corposi, i Venom di 'Resurrection' per la malignità espressa e gli Illnath per la pulizia e potenza del suono, con echi infine di Unleashed in lontananza. La band scandinava suona un death/black metal che pur portando i retaggi classici come bagaglio, riesce comunque a saltare gli schemi, grazie ad una sezione ritmica potente e pulsante ma soprattutto, grazie a riff di chitarra serrati e travolgenti, uniti ad una interpretazione vocale diabolica ed infernale. Il salmodiare a pieni polmoni ricorda quello di Thomas Gabriel Fischer, anche se qui il frontman si mostra più grave, diretto e monotono, ai confini con certi modi di cantare in puro stile hardcore, quasi una forma di recitato potente, che non sfocia mai in un vero e proprio cantato. Devo ammettere che ciò non guasta alla musica e anche se potrebbe risultare a volte un po' statico, considerata l'idea di celebrazione rituale sempre presente in sottofondo e le tematiche infernali dai toni satanisti di cui trattano le composizioni, questo tipo di approccio vocale risulta essere a tutti gli effetti l'ideale soluzione canora per questo tipo di sound. Il suono è energico e si muove all'interno del disco con abilità, tra dinamiche doom di matrice sabbathiana rivisitate in chiave moderna ("Leviathan") pesanti e ossessive unite ad un mix di tenaci riff thrash old school che non disdegnano suoni duri ed elaborati di nuova generazione (vedi alcune sonorità di chitarra vagamente vicine ai Gojira). Qualcosa di indefinito tra metal progressivo ed un suono vorticoso e psichedelico simile a quello presente nel brano "Ugly Truth" dell'album 'Louder Than Love' dei Soundgarden meno famosi, lo troviamo invece nella strumentale "Sol Invictus". Tanti riferimenti diversi tra loro, solo per cercare di spiegare la complessità della proposta musicale in questione. Anche gli intro e le parti d'atmosfera, come la sequenza dei brani o il ricercato uso di effetti sulla voce, sono ben progettati, mirati a dare fluidità ad un disco cupo e pesante, di grande impatto, veloce, travolgente e sinistramente intenso, decisamente saturo di magma oscuro. Alla fine degli undici brani, l'ascolto risulta così interessante che i 42 minuti circa di durata volano in scioltezza e presumo sia anche grazie ad una produzione di alto livello che rende gradevole il disco in tutte le sue parti senza mai scadere o risultare obsoleto. In definitiva, possiamo affermare di essere di fronte ad un buon album che farà la felicità di molti fan del metal estremo, violento ed oscuro ma dal suono sempre chiaro, definito e ricercato. Un disco 'God & Beast', che al netto delle dure tematiche trattate, che possono comprensibilmente, non essere condivise da tutti, deve essere ascoltato obbligatoriamente senza pregiudizi di sorta, poichè merita sicuramente un'ampia attenzione da tutti gli amanti del metal più estremo. (Bob Stoner)

(Metal Blast Records - 2020)
Voto: 74

https://www.facebook.com/blacksunbrotherhoodnorway

Zedr - Futuro Nostalgico

#PER CHI AMA: Pop Rock
A volte le etichette discografiche si prendono dei grossi rischi ad inviare del materiale ad una determinata piattaforma musicale, se non adeguatamente targettizzato. Quindi vedermi tra le mani il nuovo album di Zedr, one man band guidata dal cantautore Luca Fivizzani, lo trovo alquanto azzardato per un sito come Il Pozzo dei Dannati. Insomma, in questo blog trattiamo metal in tutte le sue forme, e ahimè, 'Futuro Nostalgico', secondo album dell'artista originario della Brianza (ma fiorentino d'adozione), non credo si troverà a proprio agio a fianco di proposte death o black metal. Quindi, non me ne voglia il buon Luca se il mio approccio con l'opening track , "Il Grande Dittatore", non sia stato proprio dei migliori. Di primo acchito, avrei defenestrato il cd, ma sono un professionista da 21 anni, ho spento e ci ho meditato sopra. Ci ho riprovato e cercando di cogliere quanto di interessante un metallaro potrebbe ricavare dall'ascolto di un brano simile, etichettabile come pop. Interessante il cantato in italiano con dei testi abbastanza accattivanti (anche se non propriamente originalissimi) sull'alienazione sociale, ma il pezzo è alla fine dotato di una melodia troppo ruffiana e scontata. Quello che mi ha realmente colpito è stata però una chitarra di sapore vagamente western o surf che farà capolino qua e là nel corso dell'album, che va a poggiarsi su di un pop, talvolta acustico, altre volte di stampo più "electro" ("Lo Straniero") che evidentemente non è nelle mie corde, ma che comunque ravviva un sound altrimenti un po' troppo banalotto e sdolcinato. La chitarra che entra nella seconda "Polvere" sembra evocare i Dire Straits, ma quell'andatura troppo patinata dopo un po' mi fa sbadigliare non poco, fatto salvo in quei chorus in cui ad emergere è una chitarra di morriconiana memoria. 'Futuro Nostalgico' è in definitiva un lavoro sicuramente ben curato e ben confezionato (ottime la registrazione e la cura del suono), forse più adatto ad un pubblico dai gusti più sanremesi (giusto perchè siamo in "quei giorni dell'anno"), per quanto nell'accezione meno deleteria del termine, che non a quello avvezzo alla frequentazione di queste pagine. Difficile quindi dare una valutazione che non sia inevitabilmente influenzata dalla distanza con la materia trattata qui, per questo mi allineo su una sufficienza politica, di forma più che di sostanza. (Francesco Scarci)

(Overdub Recordings - 2020)
Voto: 60

https://zedr.bandcamp.com/album/futuro-nostalgico

martedì 2 marzo 2021

Frosthelm - The Endless Winter

#FOR FANS OF: Black/Thrash
This album is more of a blackened metal album than anything else. The guitars are pretty thrash-like and the riffs just dominate. The whole way through the album it slays. The vocals accompany the guitars rather well. A shit-ton of screaming here. I like it. And the riffs are outstanding. The leads are pretty technical as well. There's some double bass beating a lot, too. It seems to let up in tempos here and there, but nevertheless it's a pretty intense road they paved this one with. I'd say that it's quite different than the EP (2012). It's just a different feel to it even though it is pretty insane. The vocals are a bit the same but the guitars more thrash-like.

I think that this is a strong debut. It seemed as though their follow-up to this one wasn't nearly as good, though I haven't heard their latest yet. This one I'm hooked on. It's the music that does it for me. And the vocals. The production quality was decent. A little bit raw, but not as raw as on their first EP. They seem like they are pretty bloody angry on this, it definitely suits the album title! I'm not much up for lyrics, this is just about the music mostly. I admire their perseverance about keeping their music underground. And also keeping it uncompromising. They slay here and I'll have to check out their follow-up soon.

The album isn't all the way intense, there are tempo changes and clean guitar bits, but not much. It is mostly blackened metal here. The vocals shriek wholeheartedly. The tremolo picked riffs are insane. They tear it up. Very well sounding album and unrelenting blasphemy going on here. I like the quality of their riffs. The fact that most of the music stays underground shows us that their an uncompromising band. The fact that they are from North Dakota startles me to know that they are not from Norway! Their influences are definitely their, like on Immortal's 'At The Heart of Winter'. The guitars remind me a little of that album by that band.

Well, this album is on Spotify but I think that you should support the band and buy the physical copy of the album. At least support the metal scene and buy the CD. It's OK if you don't have a CD player, get on Bandcamp (if they are on there) and buy the digital downloads. I happened to get this on Spotify Premium. I'm to buy a physical copy myself, though they're a bit difficult to find. It's still worth checking the album out if need be on YouTube would be fine. You'll get to hear some uncompromising blackened metal on here! It simply slays and is amazing! Support the band! (Death8699)


WitcheR - A Gyertyák Csonkig Égnek

#PER CHI AMA: Atmospheric Black
Li abbiamo incontrati meno di tre settimane fa in occasione della riedizione da parte della Filosofem Records del loro EP del 2012. Li ritroviamo oggi con 'A Gyertyák Csonkig Égnek', secondo lavoro uscito in realtà a fine 2019. La proposta dei magiari WitcheR rimane più o meno ancorata a quella del vecchio 'Néma Gyász', ossia un black atmosferico che entra con delicatezza con la lunga title track in un connubio di atmosfere malinconiche, costruite da un riffing mid-tempo e da una distesa abbastanza notevole di tastiere che costituiscono la struttura portante dell'intera traccia, che non vive di particolari sussulti musicali, ma sembra piuttosto muoversi in territori medievali affini a Empyrium e Summoning. Questo è confermato anche dalle successive "Feloldozás" e "Az én Csendemben", tutti brani che viaggiano oltre gli otto minuti di durata, combinando melodie delicate con ritmi estremamente compassati, vocalizzi affetti da una leggera raucedine e ampi spazi strumentali in cui a parlare sono i synth e le chitarre educate (fin troppo) del duo ungherese. Fortunatamente, la seconda delle due tracce di cui sopra, ha un inizio più dirompente rispetto alle altre, prima di tornare a sonnecchiare con partiture più controllate. Ma il pezzo gode di sbalzi umorali, mai stati cosi utili in una situazione statica come questa, visto che ci sono ancora alcune accelerazioni che alterano lo stile fin troppo garbato e monolitico della band, cosi come avevo già osservato nella precedente release. Serve il giusto mix di coraggio, incoscienza e personalità per uscire dall'elevato rischio di insabbiarsi in pericolose sabbie mobili. I nostri ci provano a più riprese anche con "Az Utolsó Utamon", sfoggiando ancora un mood piuttosto malinconico che mostra qualche picco di un certo interesse lungo i suoi otto minuti abbondanti di calibratissimi suoni black atmosferici che potrebbero fare da accompagnamento alla narrazione di una fiaba o come colonna sonora di un film in stile 'Il Signore degli Anelli'. In chiusura, la gemma, la splendida ed inattesa cover "A Hattyúk Tava" (Il Lago dei Cigni) di Pyotr Ilyich Tchaikovsky in una rilettura, ovviamente di stampo medieval black, che mi sento di premiare. Ecco se devo essere franco, mi aspettavo che dopo sette anni dal loro debut EP, la band avesse fatto passi da gigante nel proprio sound, invece non ho scorto grosse differenze tra i due lavori. L'invito è pertanto quello di sempre, ossia di osare di più, se la reale intenzione è quella di emergere dall'anonimato del sottobosco musicale. (Francesco Scarci)

lunedì 1 marzo 2021

Love Machine - Düsseldorf - Tokio

#PER CHI AMA: Garage Rock/Psichedelia
Avevo lasciato i Love Machine con il buon album 'Times to Come' del 2018, perdendomi tuttavia 'Mirrors & Money' nel 2019, che solo di recente sono riuscito ad ascoltare. Nel 2021 i cinque teutonici presentano questo nuovo album intitolato 'Düsseldorf - Tokio', mostrandosi più bizzarri che mai, con un lavoro che presenta una geniale novità, ovvero il cantato in lingua madre, a rimarcare la totale alienità di questa band dai confini classici del rock a cui fanno riferimento. Il canto in tedesco mostra tutta la durezza della sua pronuncia e porta molto bene ai Love Machine perchè, mi si passi il termine, suonano ancor più estroversi e krautrock, anche se decisamente in un contesto di psichedelia assai diversa dal quel filone musicale dei '70s. Le influenze musicali sono molte per la band tedesca e spostarsi dall'easy listening/lounge dei sixties al Johnny Cash di 'Ride This Train' è una cosa quasi scontata, il passo poi risulta breve anche tra il Presley di 'Viva Las Vegas' e certo garage punk'n'roll che, al cospetto del fantasma dei Birthday Party, riportano in vita l'anima malata della band australiana ed in chiusura del disco, sfornano due ottime tracce di rock sgraziato e selvaggio, "That Mean Old Thing" e "The Animal", i soli due brani cantati in lingua d'Albione. Queste due canzoni sono le uniche dotate di una certa scarica elettrica e vitalità ritmica, con cori stralunati e un'indole distruttiva, molto diverse spiritualmente e ritmicamente dal resto delle tracce. Comunque, se in un disco appaiono solo due canzoni veramente ritmate, non vuol dire che il resto sia da buttare anzi, direi che il vero stile dei Love Machine risieda proprio in quelle ballate miti e patinate tra glam, rock sulfureo e sonorità psichedeliche da pseudo figli dei fiori. Inoltre, se aggiungiamo una voce sensuale e profonda come Barry White, che incrocia la tenebrosità di certe interpretazioni a metà strada tra il Blixa Bargeld di 'Nerissimo' e i Crime & the City Solution, le cose si fanno più interessanti. Basta osservare il brano "Hauptbahnhof" dove, al minuto 1:53, nel bel mezzo di un contesto musicale tra il noir e il romantico di una ballata sonnolenta, un glaciale grido disperato cambia le sorti del brano, elevandolo a gioiello di disperazione per antonomasia. Prendendo atto della magnifica e spettrale voce baritonale da oltretomba di "100 Jahre Frieden", dove plasticata felicità e tristezza si fondono per esplodere in un assolo di chitarra tagliente come un rasoio, la proposta musicale diventa molto suggestiva. L'album continua tra sporadiche e assassine stilettate di chitarra, ritmiche allucinate a suon di morbido rock e di tanto visionaria quanto pacata psichedelia. Il tutto è guidato da un'interpretazione vocale impressionante a cura del vocalist Marcel Rösche, che racconta con stile da crooner vissuto, di una città malata e sofferente, vizi e disperazioni presentati con vellutata saggezza e ruvida sfrontatezza in memoria della coppia Bowie/Reed, tra raffinatezza e spazzatura, proprio come descritto nelle note del disco. Un vero album bohémien, che non teme confronti nè paragoni, poiché vive di luce propria e si nutre di una certa originalità artistica sanguigna, cosa che porta la band di Düsseldorf a ritagliarsi una scena tutta propria nel vasto mondo del retro rock. Il che spinge l'ascoltatore a porsi di fronte ad una scelta obbligata, amare od odiare lo stile di questa singolare band. A mio parere 'Düsseldorf - Tokio' è un ottimo album, originale ed interessante, un mondo sonoro tutto da scoprire! (Bob Stoner)

sabato 27 febbraio 2021

Les Chants de Nihil - Le Tyran et l'Esthète

#PER CHI AMA: Symph Black
Mentre i Les Chants de Nihil tagliano il traguardo del quinto album, io me li trovo davanti per la prima volta in vita, che vergogna. Autofustigatomi per benino per le mie mancanze, mi metto all'ascolto di questo 'Le Tyran et l'Esthète'. Il disco, promosso dall'ormai omnipresente Les Acteurs De L’Ombre Productions, ci propone un interessante concentrato di black dalle tinte sinfonico-folkloriche che si dipanano dalle scorribande sonore della seconda "Entropie des Conquêtes Éphémères" che segue a ruota la strumentale "Ouverture". Il suono dei nostri non è cosi semplice da digerire per quanto l'approccio sinfonico ne dovrebbe invece agevolare l'ascolto, ma le elucubranti orchestrazioni unite a funambolici giri di chitarra e vocals che si manifestano sia in versione harsh che in un cantato più pomposo (direi grandeur), rendono l'ascolto non proprio cosi immediato. A questo aggiungete vorticose linee ritmiche in cui basso, batteria e chitarra sembrano in realtà cavalli imbizzarriti alla guida di una carrozza totalmente fuori controllo (la mia immagine di "Ma Doctrine, Ta Vanité"). E il parallelismo vocale tra scream efferati e cori maestosi, il tutto rigorosamente cantato in francese, con un suono che non resce a star fermo nemmeno un attimo e che qui in chiude addirittura in un rallentamento doom, non agevolano certo l'assimilazione della proposta dei quattro musicisti proveniente dalla Bretagna, dal piccolo paesino di Pléri. E quell'appendice doom in chiusura della terza traccia serviva ad introdurre la gloomy (adoro questo termine ad indicare la cupezza di un suono) "L'Adoration de la Terre", un pezzo che inizia in modo alquanto rallentato prima di deragliare in una serie di ambientazioni che variano tra il sinfonico, l'avantgarde, il progressive e ovviamente il black, in una sorta di rivisitazione della musica di Stravinsky, con il tutto comunque corredato da una più che discreta dose di imprevedibilità che rende il disco decisamente poco scontato. "Danse des Mort-nés", più lineare delle precedenti, mi ha evocato un che dei conterranei Misanthrope. Interessante ma non avvincente come quanto ascoltato sino ad ora, colpa forse di una linea di chitarra troppo più vicina allo zanzaroso black norvegese piuttosto che al maestoso sound delle prime tracce. Con la title track spazio al marziale drumming di Sistre prima che le voraci e schizoidi linee di chitarra prendano il sopravvento in un turbinio sonoro (per lo più di stampo militaresco) che vedrà esibire anche uno splendido assolo che non avevo ancora fin qui assaporato e che rappresenta la classica ciliegina sulla torta. "Ode Aux Résignés" esibisce una malinconica melodia iniziale in un brano dai tratti più compassati che comunque nella sua seconda metà, non rinuncerà all'ebbrezza dei ritmi infernali delle sue chitarre. "Lubie Hystérie" ha ancora forza dirompente per investirci con il tremolo picking, con i nostri che non si esimono nemmeno qui in cervellotici giri di chitarra che ci danno il colpo del definitivo KO. Ma non siamo ancora alla fine visto che sarà "Sabordage du Songeur - Final" a porre fine alle ostilità. Il brano è l'ultima scheggia impazzita di un disco sicuramente suonato a livelli disumani sia di tecnica che di velocità esecutiva, per un album intensamente bombastico e moderno che comunque non rinuncia agli echi di un passato glorioso nè ad un modernismo presente. Un lavoro, 'Le Tyran et l'Esthète' che necessita comunque di grande pazienza per poter essere assimilato. (Francesco Scarci)

venerdì 26 febbraio 2021

Shame on Youth! - Human Obsolescence

#PER CHI AMA: Punk/Garage Rock
Spaccano di brutto questi Shame On Youth!, quartetto originario di Bolzano che mette il punto esclamativo non solo alla fine del proprio monicker ma anche della propria performance sonora. 'Human Obsolesence' è il loro debut a cinque anni dalla loro fondazione, un disco che miscela alla grande punk hardcore con il garage rock, il tutto certificato già dall'opener "Got No Choice" che irrompe in tutta la sua frenesia punk rock senza rinunciare a bordate stoner e che prosegue anche nelle ritmiche fortificate della successiva "The Show Must Go Wrong". Contraddistinta da una bella carica di groove nei suoi giri fuzzati di chitarra e nelle elucubrazioni del basso, si presenta anche con quei chorus che invitano a lanciarsi in un pogo infernale. Le due asce non si sono certo dimenticati di come si facciano gli assoli, brevi, efficaci nel loro stamparsi nel cervello e dal classico taglio heavy rock. "Seed" ha un intro poco rassicurante, per poi lanciarsi in una cavalcata tesa ed incazzata che invoglia solo un headbanging frenetico, di quelli che ti aggiustano la cervicale, a meno che non ve la rompiate prima durante una danza ipercinetica. Ma la traccia rallenta pure, s'incunea in versanti dark, per poi ripartire di slancio ancor più rabbiosa negli ultimi 45 secondi dove i nostri vi faranno vedere i sorci verdi. E si prosegue sulla falsariga anche nella successiva "Mr. Crasher", più lineare e meno convincente a mio avviso, quasi che l'effetto sorpresa si sia esaurito con la precedente 'Seed'. E allora avanti con più curiosità per ascoltare "A Bunch of Crap (I Don't Care About)" e sperare di essersi sbagliati. Nel suo chorus iniziale mi ricorda un coretto di un vecchio disco dei Rostok Vampires, poi la canzone ha un piglio più old style che sembra depotenziare quella verve micidiale dei primi pezzi. Il basso velenoso di Matteo Cova apre "Uniform", un pezzo quasi hardcore, dotato di una pesantissima linea di chitarra che unita a quel cantato rabbioso opera di tre ugole, la rendono forse il brano più efferato del platter. "Fluke of Faith" è un breve inno al punk, cosi come "Premium 9,99", punk rock'n roll sufficiente per farci fare gli ultimi salti prima della conclusione affidata a "Demons are Right". La song, all'insegna di un ruvido garage rock, ci regala gli ultimi imprevedibili giri di orologio di 'Human Obsolesence', un buon biglietto da visita dei nostri italici portatori di vergogna. (Francesco Scarci)