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lunedì 1 giugno 2020

Stoned God - Incorporeal

#PER CHI AMA: Prog Death, Cattle Decapitation, Devin Townsend
Più volte mi sono chiesto se l'originalità sia tutto nell'ascolto di un disco o se magari altri fattori contribuiscano alla positiva valutazione di una release. Ecco, prendiamo ad esempio la band di oggi, i tedeschi Stoned God: la compagine di Göttingen propone un sound che di originale non ha granchè, dovrei forse bocciarli? Ecco, di primo acchito non partirei proprio positivamente nella valutazione del loro secondo lavoro, 'Incorporeal', eppure quest'album ha quel quid che mi induce a molteplici valutazioni. La band infatti ci spara in faccia con l'opener "Celestial Deicide", un death robusto, che trova in un primo assolo davvero ispirato, il mio primo crocevia valutativo, facendomi immediatamente porre maggiore attenzione alla proposta del'ensemble della Bassa Sassonia. Tra fustigate sonore e stridule linee di chitarra, la band equilibra una proposta musicale che rischia talvolta di sfociare dalle parti di un extreme death alla Cattle Decapitation, comunque corredato da una buona dose di melodia e groove, anche a livello vocale, ma vedremo in seguito. Con "Dethrone the Traitors", il combo teutonico deflagra ancora roboanti linee di chitarra e basso, senza dimenticarci di una sassaiola batteristica da paura (ottimo Maté Balogh a tal proposito), con il vocalist che si muove tra un growling furioso nelle parti più tempestose, e vocalizzi puliti (e urlati) stile Devin Townsend, nelle parti più melodiche, permeate peraltro di una certa vena progressive. È forse con la title track però che trovo il sound della band ancor più accattivante, a fronte di una continua alternanza ritmica tra stop'n go di scuola Gojira, lead guitars da urlo ed una ricerca melodica che va migliorando istante dopo istante, soprattutto in un finale in super discesa che ha ancora da mostrare quanto i nostri possano essere pirotecnici con i loro strumenti. Top song per quanto mi riguarda. Più tradizionale invece l'impatto di "The Creator", decisamente più interessante nelle parti atmosferiche di matrice Fallujahiana. "Illusion" ci crivella di colpi nonostante un inizio in sordina, ma nei suoi tre minuti e mezzo, si dimostra dotata di una furia colossale con un assolo che sembra uscito da 'Clandestine' degli Entombed (ottima l'ospitata di Manu Moreno), con le vocals che giocano ancora a ping-pong tra il growling e il cleaning. Il riffing corposo prosegue con l'abrasiva "Alive", dove il merito di rendere speciale una traccia forse banale, spetta ancora una volta al lavoro mostruoso alle chitarre del factotum Steffen Hustert (anche basso e voce). "Artificial Sun" è un altro pezzo più ritmato e meditabondo, che magari si discosta dalla furia ascoltata sin qui, alla pari di "The Decadent Blind", che con quel suo riffing mastodontico di meshuggahana memoria, è poi corredato da ottimi arrangiamenti, parti rallentate di grande atmosfera, ed un apparato vocale davvero eccellente che la ergono a mio secondo brano preferito del lotto. A chiudere 'Incorporeal' ecco la mia terza top song, "Glowworms", e strano per una volta identificare nelle ultime posizioni della scaletta, le migliori tracce di un disco, chissà se è stato voluto intenzionalmente. Comunque, il pezzo ha un mood malinconico, con velocità più calibrate (ove il mastermind tedesco sembra trovarsi più a proprio agio) e sempre un uso ben bilanciato tra potenza, carico grooveggiante e melodia. Alla fine il death progressivo degli Stoned God, pur non eccellendo in personalità, si rivela gradevole e di facile presa, merito anche degli ottimi musicistiche hanno preso parte a questa release. Ora sono davvero curioso di ascoltare dove le future release dei nostri ci potranno condurre. (Francesco Scarci)

sabato 30 maggio 2020

Darkane - Layers of Lies

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Death/Thrash
Nel 2005 ho avuto la fortuna di recensire uno dei dischi più attesi dell’anno: il comeback discografico degli svedesi Darkane. Dopo l’ultima brillante prova di 'Expanding the Senses', ero davvero curioso di tastare il polso della band scandinava. Un’intro stile Dimmu Borgir apre le danze di 'Layers of Lies', atto quarto del combo capitanato da Andreas Sydow. “Secondary Effects” esplose nelle mie orecchie con il suo incredibile e riconoscibile marchio di fabbrica “made in Sweden”. Si, erano tornati, e com’era lecito aspettarsi lo fecero con grande stile e personalità. Senza seguire una sorta di "commercializzazione", come successo in 'Figure Number Five' degli amici Soilwork, i Darkane continuando sulla scia dei precedenti lavori, sono tornati a picchiare e a farlo duramente. Hanno rabbia da vendere e la si può percepire nelle note di “Godforsaken Universe”, “Organic Canvas” e “The Creation Insane”, dove il five-piece scandinavo mostra tutto il proprio lato più thrashy, quello legato ai lavori passati 'Rusted Angel' ed 'Insanity'. Brani come “Vision of Degradation”, “Contaminated” e la stessa title track si muovono invece su coordinate stilistiche più vicine a 'Expanding the Senses'. La voce di Andreas, con quel suo modo di cantare arrabbiato vicino a Devin Townsend, è notevolmente migliorata e riesce a muoversi su una più ampia gamma vocale; le chitarre soliste s’intrecciano in interessanti trame melodiche mentre le ritmiche giocano su funambolici cambi di tempo, break e controbreak da brivido, sulla scia dei maestri Meshuggah. La title track, che si apre con un arpeggio per poi scoppiare in un grido di denuncia, è caratterizzata da momenti di velata malinconia e termina con un ottimo breve assolo. La già citata “Godforsaken Universe”, la mia traccia preferita, irrompe selvaggia con la sua ritmica violentissima (favoloso Peter Wildoer dietro le pelli) su cui si stagliano le urla di Mr. Sydow, per poi concludersi con i killer solos dei due axemen, Klas e Christopher. Se avete apprezzato 'Expanding the Senses' non potete non apprezzare il cui presente 'Layer of Lies', un disco intenso e solido firmato Darkane. (Francesco Scarci)

(Nuclear Blast - 2005)
Voto: 80

https://www.facebook.com/darkane

The Aerium - Song for the Dead King

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Symph Metal/Gothic, Epica, Nightwish
Gli Aerium sono un quintetto proveniente dalla gelida Russia nato nel 2001 dalle ceneri di un progetto chiamato Version. Dopo la solita trafila di demo (di cui tre brani inclusi nel presente lavoro), i nostri hanno siglato nel 2004 un contratto con la greca Black Lotus Records registrando questo 'Song for the Dead King'. L’intento della band era di suonare un symphonic heavy/power metal (così cita la casa discografica, mah!) sulla scia dei ben più famosi colleghi Nightwish ed Epica. Il risultato? Beh, direi che lascia un po’ perplessi: la proposta, come spesso accade, non brilla certo di luce propria; la voce della bella Veronika Sevostjanova cerca di imitare quella della ben più preparata collega finlandese anche se il suo approccio sembra essere ancor più lirico e pomposo. La musica poi viaggia sempre sulla falsa riga di quella dei gruppi succitati, direi in modo più semplice e meno aggressivo, anche se tuttavia in alcuni momenti le strane melodie, forse derivanti dalla tradizione folkloristico-popolare russa, riescono a rendere il risultato un po’ più interessante. Nota dolente ahimè è la voce maschile che fortunatamente fa capolino assai di rado, con un gracchiato parecchio ridicolo. Accattivanti invece sono delle accelerazioni ritmiche che potrebbero conferire al prodotto della label greca anche un motivo d’ascolto o addirittura d’acquisto, su questo si rifletta un po' di più. Alla lunga però il risultato stanca; al termine dell’ascolto, la voce troppo operistica della cantante diventa infatti quasi intollerabile. Se siete dei fan di Nightwish e avete bisogno di compensare le vostre orecchie con qualcosa di nuovo sui generis, beh allora questi The Aerium potrebbero fare per voi, altrimenti lasciate perdere e continuate a gustarvi gli originali. (Francesco Scarci)


(Black Lotus Records - 2004)
Voto: 56

https://vk.com/theaerium

Wojtek - Hymn for the Leftovers

#PER CHI AMA: Sludge/Hardcore, Converge
Formatisi solo un anno fa (era infatti maggio 2019 quando i cinque musicisti si ritrovavano in quel di Padova) ma con già due EP alle spalle, i Wojtek ci presentano l'ultimo e appena sfornato, 'Hymn for the Leftovers'. La band patavina, forte delle esperienze dei suoi singoli musicisti in altre corrosive realtà underground, rilascia cinque mefitiche tracce che si aprono con le urla dal profondo della brutale "Honestly", di certo un bel biglietto da visita in fatto di ferocia da parte della caustica band veneta. Detto delle urla iniziali e del lungo rumore in sottofondo che ci accompagna per quasi tre minuti, la band inizia a srotolare il proprio sound abrasivo con un riffing lutulento ma decisamente sporco, che chiama in causa i Converge in una loro versione a rallentatore, soprattutto quando i nostri mettono da parte il drumming e si affidano quasi completamente alle voci taglienti di Mattia Zambon e alle chitarre del duo formato da Riccardo Zulato e Morgan Zambon. Finalmente però sul finale, ecco un accenno di melodia, con la linea di chitarra che assume toni vagamente malinconici. Il basso di Simone Carraro apre poi la seconda "Curse", con il drumming di Enrico Babolin che va ad accostarsi da li a poco, e poi via via gli altri strumenti in una song dall'incedere lento e maligno, che sembra non promettere nulla di buono se non asprezze e spigolature sonore di un certo livello, non proprio cosi facili da assorbire, se non quando il quintetto italico ne agevola l'ascolto con una linea melodica in sottofondo, dai tratti comunque alquanto inquietanti. E proprio in questi frangenti che la proposta dei Wojtek (il cui moniker deriva dall'orso bruno siriano adottato dai soldati dell'artiglieria polacca durante la Seconda Guerra Mondiale) acquisisce maggiore accessibilità e fruibilità, altrimenti le cinque tracce diventerebbero un'insormontabile montagna da scalare. Anche quando parte "Crawling" infatti, l'inquietudine regna sovrana nel drumming schizoide del five-piece padovano poi, complici un paio di break ben assestati ed un rallentamento più ragionato, l'asperità insita nel sound dei Wojtek trova una maggior scorrevolezza in un sound altrimenti davvero ostile, come accade ad esempio nella parte centrale di questa stessa track, prima dell'ennesimo cambio di tempo a mitigarne la ferocia. Ancora il basso tonante di Simone e la sinistra ma nervosa batteria di Enrico ad aprire "Striving", un brano che si muove in territori mid-tempo, lenti ma questa volta pregni di groove a mostrarci un'altra faccia della band che, non vorrei dire un'eresia, in questa song mi ha evocato un che dei Cavalera Conspiracy. Più post-punk oriented invece la conclusiva "Empty Veins" che ci racconta da dove i nostri sono nati e cresciuti, accostando al punk anche la sua degenerazione hardcore. Lo screaming lacerante di Mattia lascia andare tutto il suo dissapore sopra una ritmica costantemente disagiata che trova anche modo di lanciarsi in una sgaloppata al limite del post-black, che si alterna con rallentamenti che spezzano intelligentemente la brutalità in cui i nostri spesso e volentieri rischiano di incorrere. Alla fine 'Hymn for the Leftovers' è un'uscita interessante, ma a mio ancora con la classica etichetta "Parental Advisory: Handle with Care", il rischio di farsi esplodere in mano questa bomba potrebbe rivelarsi letale. (Francesco Scarci)

(Violence in the Veins/Teschio Records - 2020)
Voto: 69

https://wojtek3522.bandcamp.com/album/hymn-for-the-leftovers

Quietus - Chaos is Order Yet Undeciphered

#PER CHI AMA: Post-hardcore/Math-rock/Screamo
La Francia è ormai la vera fucina della musica estrema europea, con buona pace degli antichi pregiudizi: oltre alle certezze rappresentate da Blut Aus Nord, Celeste, Gojira, Deathspell Omega e Alcest, la scena d’Oltralpe continua ad offrire al pubblico novità interessanti come le stravaganze sonore di Ni e Igorrr. Anche il comparto hardcore transalpino non manca mai di confermare la sua vitalità, ed è proprio in questo filone che dal 2017 sguazzano i Quietus, gruppo in realtà molto attento a non fornire punti di riferimento ben precisi e votato alla contaminazione di stili. In 'Chaos is Order Yet Undeciphered' possiamo apprezzare il concentrato di screamo, mathcore e sonorità post-un po’ di tutto di questi quattro ragazzi di Charleville-Mézières, un miscuglio che a parole potrebbe far sorgere qualche perplessità, tuttavia il titolo scelto per l’opera ben rappresenta il suo contenuto. “Modern Rome” ci presenta un tripudio di ritmiche nervose, tempi storti e distorsioni ombrose a cavallo tra i primi Celeste e i Botch, il tutto però ben bilanciato da quegli intermezzi malinconici che è possibile riscontrare in band come i Touché Amoré. Ciò che propongono i Quietus è infatti un caos organizzato, dove ogni destrutturazione e ogni brusco cambio di tempo o dinamica contribuisce a dipingere un quadro dalle tinte estremamente fosche che fa da sfondo ai testi incentrati sulla critica dei costumi moderni e la decadenza morale. Le trame convulse di pezzi come “Jonny Crevé” e “Intrication Quantique” non a caso evocano immagini di claustrofobici paesaggi urbani e un senso di alienazione, con le sezioni più melodiche ed introspettive strategicamente posizionate in modo da offrire una via di fuga dall’incubo e spunti di riflessione sui nostri stili di vita asfissianti. 'Chaos is Order Yet Undeciphered' risulta tagliente e diretto come solo un album screamo può esserlo, e, malgrado si avverta una certa ripetitività di soluzioni, scorre fluido dall’inizio alla fine coinvolgendo l’ascoltatore nei suoi labirinti sonori. Stiamo parlando di un disco di esordio e le potenzialità per emergere in patria e all’estero ci sono tutte. Quietus, avanti così. (Shadowsofthesun)

(Urgence Disk/Wrong Hole Records/La Plaque Tournante/Itawak/I Dischi Del Minollo/Sleepy Dog Records - 2020)
Voto: 72

https://quietus.bandcamp.com/

Antipope - Apostle Of Infinite Triumph

#PER CHI AMA: Black/Heavy/Industrial
Siamo arrivati addirittura al quinto album di questi finlandesi Antipope per renderci conto della loro esistenza, questo a significare ancora una volta che là fuori c'è uno sconfinato mondo di cui noi conosciamo verosimilmente un 10%. E finalmente eccomi, faccia a faccia con questo quartetto originario di Oulu, una cittadina in cui ho speso alcuni giorni e in cui, a parte bere e suonare, non c'è altro da fare. Qui nascono le velleità di questo ennesimo combo finnico, che propone in 'Apostle Of Infinite Triumph', un'interessante commistione tra un black metal assai tecnico, heavy metal e una spruzzatina di industrial, cosa che deve aver catturato per forza l'attenzione della Fertile Crescent Productions. "Harbinger of Dawn" è la prova di questo stravagante mix che, a parte un attacco prog black, si assesta poi su un industrial ricco in fatto di groove grazie a delle chitarre che ammiccano al melo death finlandese, mentre il growling del frontman vuole farsi amico il cantante dei Rammstein. Con "Natural Born Heretic" ci si lancia invece in un violento turbinio ritmico, tanto frastagliato a livello di drumming quanto più lineare a livello delle chitarre che ricalcano i dettami dell'heavy metal ma anche quelli più etnici degli Amorphis, in una song completata poi da arrangiamenti orchestrali che ne aumentano la complessità compositiva. Anche la voce stessa di Mikko Myllykangas qui assume sembianze differente, tra voci pulite, roche ed effettate. Devo ammettere che la proposta dell'ensemble non mi è assolutamente indifferente, anzi più vado avanti nell'ascolto e più mi faccio coinvolgere da un sound fresco e potente, ma anche a tratti ammorbante. È il caso di "Intoxicating Darkness", più oscura e venata di una certa aura gothic-doom, che ci regala un'ulteriore versione degli Antipope, il cui moniker (cosi come pure l'obbrobrioso artwork del cd), lasciatemi dire, non calza proprio a pennello con la proposta musicale della band. A parte queste raffinatezze, la song prosegue nel suo incedere atmosferico e darkeggiante, scomodando anche i Fields of the Nephilim nel suo ventaglio di influenze, segno che non ci siano evidenti confini, e questo è un bene, nella musica dei nostri. La title track prosegue nel sottolineare le qualità della compagine nordica, con una sezione ritmica corposa (merito del drumming) ed un cantato che qui prende completamente le distanze da estremismi sonori, essendo molto più vicino a gente stile Running Wild o Crematory. La song risulta comunque assolutamente piacevole anche nella sua porzione solistica che a questo punto, avvicina maggiormente la band all'heavy metal piuttosto che a quel black prog imbastito nelle note iniziali, il che mi disorienta un attimo, soprattutto nell'ottica di dove collocare esattamente un'uscita come questa e soprattutto a chi consigliarla. Pertanto, meglio andare avanti e capire cosa le restanti tracce hanno da dirci. "Red Goddess" parte in sordina, ma poi si affida ad una roboante cavalcata per ricondurci in territori viranti verso il death gothic. La song non entusiasma come le precedenti, fatta eccezione per la coda solistica e l'arrembante attacco black che chiude il pezzo. "Venereal Ritual for Dispersion and Reintegration of the Soul" è più ubriacante per quel giro riff in apertura, anche se il blast beat affidato alla batteria ci riporta ancora una volta in territori più estremi. Ma la capacità del combo scandinavo sta nell'alternare generi cosi distonici tra loro in pochi secondi e quindi black, gothic, dark, thrash, folk, heavy e industrial si fondono tutti insieme in un crogiulo di generi e suoni. "Serpent of Old" ha ancora voglia di ubriacarci con delle chitarre frenetiche anche se l'effetto sorpresa sembra vada affievolirsi e la song perda un po' in interesse, sebbene a livello tecnico, la band confermi le sue eccelse qualità, soprattutto quando l'axeman sciorina l'ultimo interessante assolo. L'ultima traccia è affidata alla più lunga composizione del lotto, "0=2" che supera abbondantemente i sette minuti, con un sound più compassato e stanco, un mid-tempo che segna l'evidente calo dei nostri sulla lunga distanza. Peccato, ma fisiologicamente ci stava, forse era meglio collocarla a metà strada, giusto per concederci il tempo di rifiatare. Pur non essendo una song brillantissima, complice anche un finale estremamente atmosferico, non intacca assolutamente la mia valutazione di un disco, 'Apostle Of Infinite Triumph', che correrà il rischio di piacere a tanti, trovando ahimè anche una frangia che attaccherà la band per eccessivo "paraculismo", di cui francamente me ne fregherei alla grande. (Francesco Scarci)

(Fertile Crescent Productions - 2020)
Voto: 74

https://antipope.bandcamp.com/album/apostle-of-infinite-joy

The Pit Tips

Francesco Scarci

Exgenesis - Solve Et Coagula
Degraey - Reveries
Together to the Stars - As We Wither

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Shadowsofthesun

...And Oceans - Cosmic World Mother
Dead Can Dance - Anastasis
Enslaved - Monumension
 
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Alain González Artola


Vader - Solitude in Madness
Winterfylleth - The Reckoning Dawn
Beleriand - Far Over Wood and Mountain Tall

venerdì 29 maggio 2020

Yune - Agog

#PER CHI AMA: Indie Rock
Debut album in casa Yune (la Dea del Caos nel videogioco giapponese Fire Emblem, chissà se sia questo il riferimento), ensemble danese dedito ad un indie alternative rock. Questo almeno quanto si evince dalla opening track di 'Agog', intitolata "Ørkensangen", song melliflua che ci dice di metterci rilassati e farci cullare dalle atmosfere gentili che permeano la track. Soft è la ritmica, affidata ai docili tocchi di basso e flebile chitarra, accompagnati qui da synth e archi, ma soprattutto soft la voce calda del suo frontman, Tobias Sachse. Che il basso sia lo strumento portante dei nostri ce lo conferma anche la successiva "Odd One Out" (primo single, il cui video è stato girato in Marocco), un'esperienza meditativa in cui immergersi ampiamente e lasciarsi trasportare dal morbido refrain dei nostri, in una sorta di rivisitazione dei Radiohead più cerebrali. Cool. "Low" (il secondo singolo) guarda a sonorità decisamente più pop rock primi anni '90 (Talk Talk), sicuramente intimiste, in cui fermarsi a riflettere sul significato delle cose e degli eventi. Sicuramente non un ascolto complicato, complicato è semmai relazionarsi con i pensieri che da esso scaturiscono. Lo stesso dicasi per "Part 2", che con le sue dissonanze soniche sembra acquisire più un valore onirico e trascendentale. Non è un ascolto facile quello di 'Agog' e non tanto per il fatto che la musica qui contenuta sia difficile da ascoltare, è più per una questione meramente emotiva, le song smuovono infatti emozioni mai positive, sussulti, incanalano malinconie, evidenziano ombre nell'anima e nella mente, palesano fragilità interiori ("Maple") grazie ad un sound cosi melancolico che guarda allo shoegaze, alla psichedelia, all'elettronica, in un crescendo di intensità man mano che si procede nel suo ascolto, con il disco che sembra direttamente pulsare nei nostri petti al ritmo del cuore. In "Running Down The Hourglass" abbiamo il primo cambio di frequenze, con un sound meno decadente e più votato alla positività, forse per questo l'ho apprezzato meno, perchè meno in linea con gli altri brani del cd. Molto meglio infatti "Unna", in cui il mood nostalgico degli esordi trova punti di contatto con il post rock, crescendo sul finire in intensità elettrica, quasi una novità per i nostri. Le peculiari personalità dei cinque musicisti (un dottore, un idraulico, uno psichico, un comunista e un cane) si ricompongono e fondono ancora nel flusso ipnotico delle rimanenti tracce, la sexy "Copy of You", la pulsante "Gold" ed infine, nella più instabile e sperimentale "Far Gone", che sancisce le interessanti qualità di questi cinque ragazzi di Copenaghen, da tener assolutamente sott'occhio in ottica futura. (Francesco Scarci)

(Crunchy Frog Recordings - 2020)
Voto: 73

https://yune.bandcamp.com/album/agog-pre-order