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venerdì 10 aprile 2020

Darkseed - Ultimate Darkness

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Gothic, Crematory
Era il 2005 e i tedeschi Darkseed arrivavano al mirabolante traguardo del sesto album, il loro secondo per la Massacre Records, proseguendo un percorso evolutivo molto simile a quello intrapreso dai connazionali Crematory. Ricominciando là da dove avevano lasciato 2 anni prima con 'Astral Adventures', i nostri proseguono sulla stessa scia con questo 'Ultimate Darkness' continuando a proporre un genere che già all'epoca aveva ormai ben poco da dire. Non voglio stroncare tuttavia la proposta musicale del sestetto Monaco poiché, per quanto riguarda esecuzione e melodia, si attesta su livelli medi, quello che emerge semmai dalle note di questo album è superato. I cliché del genere ci sono tutti: chitarre cupe super infarcite di tastiere goticheggianti con richiami più o meno imbarazzanti ai vari Rammstein, o agli album 'Host' e 'Believe in Nothing' dei Paradise Lost. Come dicevo, le chitarre sono qui assai oscure e pesanti, però a farla da padrone sono decisamente le tastiere, sopra le quali si staglia la voce di Stefan Hertrich che spazia tra vocals pulite e altre un po’ più roche. In alcuni frangenti la proposta musicale dei nostri mi ha riportato alla mente gli Evereve, forse per i coretti tanto accattivanti quanto mai noiosi alla lunga; in “The Fall” ho sentito un riff preso in prestito da 'Symbol of Life' ancora dei Paradise Lost. Insomma tutto questo per dire che forse questo album potrebbe anche piacervi se i suddetti gruppi rientrano tra le vostre preferenze in quanto 'Ultimate Darkness' riesce comunque a coniugare un po’ tutti questi generi: gothic, elettronica, dark wave e piacevoli ritornelli. Il problema è che non crdo di riuscire ad andare oltre al terzo ascolto, poiché la band è priva di quella verve che la contraddistingueva agli esordi di cui ora rimane poco di entusiasmante e coinvolgente. Per i fan dell'ensemble teutonico, vorrei segnalare che in giro esiste anche un'edizione che comprende un secondo cd contenente 13 unreleased tracks della discografia dei nostri. (Francesco Scarci)

(Massacre Records - 2005)
Voto: 60

https://www.facebook.com/DARKSEED-46103123056/

Eluveitie - Slania

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Pagan/Death, Cruachan, Korpiklaani
Andiamo a ripescare quello che è stato il secondo lavoro degli svizzeri Eluveitie, ossia 'Slania' del 2008 (riproposto peraltro in occasione del decennale nel 2018 con una cover rinnovata e alcune bonus track, le demo version delle song incluse nell'album). La band elvetica torna con quel sound rude, ma atmosferico, caratterizzato dall'utilizzo di strumenti tipici della tradizione celtica (l'hurdy gurdy e la fisarmonica per esempio), tradizione alla quale si rifà la band alpina ma non solo, vista la presenza anche di altri strumenti tipici svizzeri come lo zugerörgeli (una specie di accordion) e il bodhràn. Più vicini alle sonorità di Korpiklaani e Asmegin, accomunati più per ideologia agli irlandesi Cruachan, l'act d'oltralpe (composto da ben otto elementi!) rilasciò questo interessante e suggestivo lavoro, addirittura per la Nuclear Blast e il risultato non fu affatto male. Il death metal dalle tinte folkish dell'act di Zurigo mantiene la rudezza del genere, ma grazie a preziosi e ariosi arrangiamenti, è capace di spingerci a ritroso nel tempo di mille anni, dove i riti pagani si consumavano quotidianamente. A me questo lavoro piace senza ombra di dubbio, anche se rimango stupito di fronte all'incedere super indiavolato di un pezzo come “Bloodstained Ground” che di folk ha ben poco, se non il finale. Sorprendente è l'aggettivo che si deve dare a un disco di simile fattura, perchè in grado di rievocare con estrema efficacia, le tipiche melodie popolari irlandesi, pur mantenendo intatto l'approccio feroce del death metal: riffing veloci, nervosi e ritmiche sostenute delineano il sound di fondo di 'Slania'; tocca poi al magico suono delle fisarmoniche e dei violini donare quel quid in più ad un lavoro in grado di spingere la band verso quello che sarà il meritato successo. (Francesco Scarci)

(Nuclear Blast - 2008)
Voto: 75

https://www.facebook.com/eluveitie

Blissful Stream - When The Wolves Start To Circle

#PER CHI AMA: Black'n'Roll/Doom, Venom
Qualcosa di magico alberga nel nuovo full length della one-man-band svedese Blissful Stream, dove Equimanthorn si prende l'onere e l'onore, di essere unico musicista e compositore delle affascinanti otto tracce che formano il disco. Dopo alcuni Ep, dove già si poteva intuire lo stile originalissimo del progetto, si arriva a questo rude, gioiellino underground, pregno di oscurità e fondamenta metal, orgogliose e pure. In realtà dietro a 'When The Wolves Start To Circle' c'è un vero e proprio esempio di conoscenza del genere sotterraneo, dal doom alla psichedelia, passando per rock'n'roll e gothic rock. Calcolando inoltre la militanza dell'artista tra le fila di una black metal band di culto, come i Pest (quelli svedesi), non possiamo che avvicinarci a questo album con interesse particolare. Prendete il concetto cantautoriale blues di stampo apocalittico dei The Devil's Trade ed accostatelo al maligno cataclisma sonoro dei Venom, unitelo alla profondità dei capolavori creati da band magiche come gli In the Woods e per finire avvicinatelo ad un panorama, simile per attitudine, agli intrecci chitarristici carichi di allucinazione, dei mitici 13th Floor Elevators. Solo così potremmo essere preparati ad ascoltare un'esplosiva e pericolosa miscela di black'n'roll dalle tinte fosche e drammatiche, che trafiggono il lato più dark dell'ascoltatore. Un magma sonoro oscuro e travolgente, che in meno di mezz'ora di musica ci proietta in una dimensione parallela nerissima, dall'umore tetro ma sempre carico di un'adrenalina hard rock/metal impensabile. Le danze si aprono con la bordata di "We See the Light" con il ricordo di Cronos e compagni ancora vivido; di seguito la spettacolare title track, con un riff portante di chitarra che fa terra bruciata intorno ed una interpretazione vocale da brividi. La lenta cadenza di "Sow the Seeds of Discontent" con il suo canto pulito ed un magnifico ritornello evocativo, non fa prigionieri nella sua semplicità devastante e gotica, che porta alla memoria (e non chiedetemi il perchè di questa mia impressione) certi primi lavori dei Joy Divison. Ci si inoltra sempre di più nella scaletta di un album pressochè perfetto, nella psichedelia sgraziata di "Covenant of Decay" e via verso altri quattro brani micidiali. Quando si parla di rock'n'roll dalle chitarre sonanti, dal timbro oscuro e violento, fatto con ispirazione e carico di emotività, di vera ribellione, di gotica genuinità con un certo indimenticabile sound stile batcave e un solenne, strascicato, passo pieno di enfasi, verso la musica del destino (DOOM), da oggi non potrete non ricordare questo magnifico disco. 'When The Wolves Start To Circle' è un album davvero degno di nota, il cui ascolto è a dir poco obbligato. (Bob Stoner)

domenica 5 aprile 2020

Allhelluja - Pain is the Game

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Death’n’Roll, Xysma, Spiritual Beggars
Avevo particolarmente amato 'Inferno Museum', full length di debutto datato 2004 della super band italica Allhelluja. Dopo 15 mesi, i nostri tornano in pista di nuovo pronti a sconquassare il mondo con quell’incredibile mix di suoni seventies, stoner e death’n roll. Dopo gli ottimi responsi ricevuti e le gig di supporto a nomi del calibro di Down, Raging Speedhorn, Gluecifer e Black Sabbath, la band rilascia il secondo 'Pain is the Game'. Undici brani per 39 minuti di musica sono sufficienti a spazzar via ogni dubbio che l’eccellente qualità dell’album di debutto non è stato, dopo tutto, un caso. La band di Stefano Longhi, sempre coadiuvata alla voce dal vocalist degli Hatesphere, Jacob Bredahl (sempre meno in versione growl, molto più rock’n’roll), è più incazzata che mai: la prova che sfoderano i nostri è quanto mai di classe, grazie anche al supporto di Tue Madsen (The Haunted, Sick of it All) alla consolle. Il sound di questo lavoro del combo italo-danese, in linea di massima non si discosta più di tanto dai suoni grezzi e ruvidi del debut cd: le ritmiche sono più rabbiose e sostenute, il che è forse andato a scapito di quelle influenze più ipnotiche e psichedeliche che contraddistinsero l’esordio dei nostri. Tecnicamente la band si discute, così come il gusto per la melodia; ottima dicevo la produzione, sempre attenta a porre in risalto il basso, vero protagonista di questo 'Pain is the Game'. Se avete amano il debut della band, non potrete fare a meno neppure di questo secondo gioiellino e della miscela esplosiva d’insano rock’n’roll; se non li conoscete e amate questo genere di musica, acquistatelo a scatola chiusa, tranquilli garantisco io per loro. (Francesco Scarci)

Chromb! - Le Livre des Merveilles

#PER CHI AMA: Jazz/Avantgarde Sperimentale/Prog
I Chromb! non hanno bisogno di presentazioni nè di spiegazioni per poter definire la loro musica, che altro non è che libertà espressiva a pieno titolo. Il quarto album della loro carriera, 'Le Livre des Merveilles', è un parto ostico ma alquanto geniale, un salto in una musica cerebrale tout court, senza limiti di sperimentazione o creatività. Una linea creativa che unisce la voglia di ambienti sonori molto vicini alle colonne sonore per film, con il jazz d'avanguardia, le escursioni uniche dei belgi Univers Zero e il canto a più voci progressivo dei Gentle Giant, una ventata di neo prog sempre in evoluzione, proiettato magicamente verso un sound moderno e dinamico. Sicuramente un'interpretazione originale del concetto più ampio di opera, dalla musica neo classica allo sperimentale senza tempo di casa Art Zoyd. Nulla passa inosservato e intentato in casa Chromb!, un impegnativo viaggio di scoperta per pochi esclusivi viaggiatori verso l'ignoto musicale, verso gli scritti di un libro del medioevo che raccoglie soggetti ed azioni da tutta l'Europa medioevale. Così come tra volti di santi, battaglie di scarabei, erbe magiche, pietre lunari, acque che non bollono, fantasmi a cavallo, foreste incantate, monti infuocati, donne barbute, sirene, streghe, chimere, morti viventi, licantropi e quanto altro vide nella sua vita il chierico e cavaliere Gervasio di Tilbury, il suono dell'ensemble francese evolve in un contesto maturo, intimo e serioso, lontano da frenesie e piroette stilistiche (ma non senza follie musicali), un aspetto colto, oserei dire accademico. Un collage di quattro brani, tra cui, due lunghe suite centrali e una miriade di suoni ad effetto scenico e cinematografico, riescono ad evocare tutte le visioni di quest'opera letteraria. Sicuramente uno sforzo da elogiare, un gesto compositivo coraggioso perfettamente riuscito, che solo una band nella piena coscienza della propria forza espressiva, poteva immergersi in questo intento. Un album che sarà certamente di nicchia e che per molti ascoltatori non consoni, si mostrerà come un tabù, lontano anni luce dalle mondanità del pop o del rock. In un universo tutto suo e sempre più vicino alla galassia della musica d'avanguardia più intellettuale, quest'opera eleva la band di Lione ad un grado assai alto nella scala musicale dei musicisti più rispettabili in ambito internazionale. (Bob Stoner)

Snorlax - II

#PER CHI AMA: Death/Grind
Avevo voglia di un cambio radicale di genere, un desiderio di un qualcosa che potesse martoriare le mie orecchie ed eccomi accontentato. Mi sorprende che siano gli australiani Snorlax (un nome che deriva peraltro da una specie di Pokemon) gli artefici di tale maciullazione dei miei sacri timpani, visto che si tratta in realtà di una one-man band. Brendan Auld si fa portavoce di questo ferocissimo concentrato di grind attraverso il suo full length di debutto, 'II'. Che goduria per le mie orecchie e le mie coronarie. Quando "Infernal Devourment" esplode nelle mie casse, il rischio d'infarto è infatti elevatissimo: una grandinata poderosa di suoni death grind mi si abbatte sulla testa con il growling catacombale del buon Brendan (uno che vanta altri quattro progetti estremi) ad affossarmi. La tempesta è servita e funge da antipasto per la seconda "The Resin Tomb", una scheggia dedita a sonorità malefiche, ottantatre secondi impattanti e schizofrenici (peraltro con guest star al microfono, Mathew Budge dei Consumed) che ci conducono in un batter di ciglia alla terza "The Chaos ov Iron Oppression", un brano apocalittico, non tanto per le sue atmosfere, ma per quell'aura di morte che sembra attanagliare la song, complice anche il vocione profondamente growl del mastermind di Brisbane. La song trova modo anche di rallentare vertiginosamente (almeno in un paio di occasioni), una pausa dovuta, anche se di pochi secondi, per preparci al meglio a serie successive di bombardamenti ritmici. Arriviamo a "Mind ov Maggots", la song più lunga del lotto, ben sei minuti che fortunatamente si rivelano trattenuti in rumori di sottofondo per almeno i primi 120 secondi, prima di inquinare nuovamente i nostri sensi di suoni molesti, che mostrano anche una certa ricercatezza in quei frangenti ben più ritmici e rallentati (quasi al limite del doom), proposti dal terrorista sonoro del Queensland che qui più che altrove, sembra voler tributare i connazionali Disembowelment. C'è ancora tempo per maciullare le nostre orecchie con altre due song, "Encapsulated Apocalypse" e "Impending Abysmal Wretchedness", la prima dall'incauto inizio rallentato (successivamente dinamitarda), la seconda a rappresentare un altro brano propulsivo che vede la partecipazione ala voce di Anthony Oliver dei Descent, un'altra delle creature in cui milita Brendan. 'II' è un disco breve ma efficace che non deluderà certo i fan di sonorità cosi estreme, a cavallo tra death, black, grind e hardcore. (Francesco Scarci)

(Brilliant Emperor Records - 2020)
Voto: 70

https://snorlaxbm.bandcamp.com/album/ii

venerdì 3 aprile 2020

Constellatia - The Language of Limbs

#PER CHI AMA: Post Black, Deafheaven, So Hideous
E anche in Sud Africa il fenomeno Post-Black sta trovando terreno fertile. Dopo Wildernessking e Crow Black Sky, ecco arrivare anche i Constellatia (band in realtà formati da membri delle due citate band) a diffondere il germe oscuro laggiù, a quelle latitudini remote con un lavoro, 'The Language of Limbs', davvero degno di nota. Non tanto perchè il quartetto di Città del Capo si è inventato un genere, piuttosto per una freschezza nelle loro idee ed una capacità comunicativo-emozionale che da un po' non suscitava in me determinate emozioni. Quattro lunghe tracce per 35 minuti di musica affascinante, un'ondivaga esperienza che parte dalla sognante opener, "All Nights Belong To You". Questa è una song che rivela la doppia anima del combo sudafricano, diviso tra ritmiche e screaming feroci ed un'altra decisamente più melliflua, votata ad atmosfere post-rock e vocals femminili (a cura di Alison Rachel degli Honeymoan) che stemperano quell'oceano in tempesta che sa tanto di scuola Deafheaven e che saltuariamente sale alla ribalta con le sue splendide melodie messe a disposizione di una componente ritmica ad alto tasso di pericolosità. "In Acclamation", a differenza della opening track, parte molto più compassata, per poi rullare su territori quasi punk ed infine prendere il volo in una deflagrante e ruvida parte post-black, "addolcita" da una meravigliosa melodia di sottofondo che ne interrompe improvvisamente la furia, proponendo uno psichedelico break acustico, ove lo screaming del frontman rimane giusto in sottofondo, lasciando in primo piano uno struggente romanticismo strumentale. "Empyrean" è un pezzo più classico di black mid-tempo che probabilmente non rimarrà negli annali della musica però, quella sua seconda vibrante parte di chitarra, merita comunque un ascolto. A chiudere il disco ci pensa la traccia più lunga del disco, "The Garden", un pezzo che nelle sue note iniziali potrebbe essere stato tranquillamente concepito (e suonato) dai Pink Floyd, cosi delicato e suadente, con la voce di un'altra brava donzella, Lucy Kruger (già incontrata qui nel Pozzo dei Dannati) a palesarsi con le sole chitarre acustiche in accompagnamento. Poi, non appena la voce ruggente del vocalist le si affianca, ecco che le chitarre elettriche tornano a fare il loro sporco lavoro e la song inizia ad accelerare pericolosamente. Ma lo dicevo all'inzio del carattere instabile di questo disco, dei suoi umori, delle sensazioni che 'The Language of Limbs' è in grado di generare lungo il suo decorso, e che avremo ancora modo di assaporare sul finale del brano tra chitarrismi abrasivi e splendide atmosfere che sanciscono l'eccelsa riuscita di un disco davvero gradevole che in Italia è passato ahimè quasi del tutto inosservato. (Francesco Scarci)

(Isolation Records - 2019)
Voto: 78

https://constellatia.bandcamp.com/releases

mercoledì 1 aprile 2020

Matteo Muntoni – Radio Luxembourg

#PER CHI AMA: Post-Rock/Jazz/Neo Progressive
Matteo Muntoni è un musicista, polistrumentista e compositore sardo con poliedriche visioni sul mondo della musica. La sua ampia versatilità lo porta a spaziare con una certa libertà tra echi post rock e reminiscenze jazz ("The Jellyfish Dance Drift"), scaglie di psichedelia d'annata e minimalismo sonoro misto ad ampie aperture, sulla scia di alcune geniali intuizioni a la Steven Wilson. Così, si susseguono colori e suoni da ogni angolatura, sempre con una moderata vena rock melodica e controllata; la sua è una musica complessa, variopinta ed allo stesso tempo di piacevole impatto che scivola bene all'ascolto, che si estende addirittura in ambito pop (l'omonimo brano che porta il nome del disco 'Radio Luxembourg') senza mai scadere nella banalità, ed anche se intavola tematiche più semplici, non si priva mai di una certa personalità. Il titolo dell'album è una dedica alla storica radio, punto di riferimento per tutti gli aspiranti dj delle prime radio libere italiane degli anni settanta, nata nel 1933 a Marnach in Lussemburgo e dedita alla diffusione di musica d'avanguardia, assai diversa dagli allora programmi delle radio pubbliche europee. Il caldo tepore del jazz d'atmosfera, arpeggi cristallini e stili che si fondono in una manciata di canzoni multicolori, fanno di questo album un marchio di fabbrica, con il rock alternativo ed i chiaroscuri musicali a susseguirsi brano dopo brano, mettendo il giusto brio al disco. Un album corposo che non si perde in virtuosismi ma che mostra un lavoro di squadra molto intenso, un disco dalle molteplici qualità artistiche e dalle sentite e cercate derivazioni compositive di certo rock progressivo più soft degli anni settanta, azzardando il paragone al sound dei mitici Sweet Smoke, o al prog dei Willowglass, con punte verso il rock fusion dei Both Hands Free, ovviamente personalizzato dall'autore, rivitalizzato ed attualizzato ai giorni nostri. Un lavoro strumentale, interessante e tutto da scoprire, partendo dal mio brano preferito ossia la bella suite progressiva in chiusura dell'album, "Werewolf Cricket". (Bob Stoner)

Untitled with Drums - Hollow

#PER CHI AMA: Alternative Rock, A Perfect Circle
Secondo lavoro per questo quintetto francese che prende il nome da una canzone dei mai troppo lodati Shipping News. Questo l'indizio che aiuta ad inquadrare le coordinate di riferimento della musica degli Untitled With Drums, cosi tesa tra reminiscenze post-rock e noise di fine anni '90 e le influenze quasi progressive dei primi anni 2000, portate da band quali Tool o Cave in. Quello dei cinque francesi è un rock oscuro e di sicuro impatto, nel quale un songwriting di qualità si fa strada attraverso coltri di feedback e bassi distorti, sorretto da un drumming potente e preciso, e una voce sempre in grado di reggere il pathos. Difficile scegliere i brani migliori, laddove la qualità media è sempre piuttosto alta (con una leggera flessione forse nella seconda parte dell'album), raggiungendo notevoli picchi di intensità nell’incedere marziale della drammatica “Silver” o nei saliscendi emozionali di “Passing on”, “Amazed” o “Strangers”, con il suo drumming tribale, mentre “Hex” lambisce gli A Perfect Circle o i migliori Incubus. Quello che piace, in generale, è come ogni pezzo contenga un’evoluzione, un twist in grado di tenere costantemente vivo l’interesse, scongiurando il pericolo dato da una certa omogeneità di atmosfere di far assomigliare un po’ troppo i brani tra loro. 'Hollow' è un disco solido e compatto, fosco e potente, perfetto per chi ama i nomi di riferimento e non solo. (Mauro Catena)

(Seeing Red Records/Araki Records/Brigante Records/Atypeek Music - 2020)
Voto: 74

https://untitledwithdrums.bandcamp.com/