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sabato 14 marzo 2020

Karmatik - Unlimited Energy

#PER CHI AMA: Prog Death, Cynic
Nel mio costante scandagliare l'underground metallico, questa volta mi sono fermato in Canada, nello stato del Quebec, per dare un ascolto alla seconda prova di questi melo deathsters che rispondono al nome di Karmatik. La loro ultima release, 'Unlimited Energy', è uscita nel 2019 a distanza di sei anni dal loro debut album, 'Humani-T'. Perchè soffermarmi sulla proposta di questo quartetto di canadese? Perchè sono interessanti interpreti di un sound che coniuga il melo death con prog e techno death. Lo dimostrano subito con i fatti e l'opener "Universal Life", una traccia che mette in luce la caratura tecnica del combo, una certa ricerca per il gusto, e questo loro combinare riffoni death, sempre pregni di melodia sia chiaro, con rallentamenti più sofisticati che mi hanno evocato i Cynic. E la band di Paul Masvidal e soci torna anche nell'incipit di "Tsunami Sanguinaire", con quei rallentamenti acustici da brividi, prima che la band ingrani la marcia e riparta con un rifferama compato, carico di groove, ma pur sempre bello incazzato, ove la voce di Carol Gagné trova modo di sfogare tutta la propria rabbia grazie al suo possente growl. Poi è solo tanto piacere grazie a quei break sopraffini di chitarra e basso, per non parlare dell'eccellente apparato solistico che ci delizia con ottimi giri di chitarra. Diamine, 'Unlimited Energy' è un signor album allora? Si, per certi versi rischia di essere un masterpiece, per altri mi viene da dire che l'album è ancora fortemente ancorato a vecchi stilemi di un death metal di cui si potrebbe anche fare a meno. Perchè dico questo? Semplicemente perchè quando i nostri si adoperano nel classico sporco lavoro death old school, finiscono nel calderone del già sentito. Questo capita con "Black Sheep... Be Yourself", una song che ha il suo primo sussulto solo sul finire del brano. E allora l'invito è cercare di essere un po' più fuori dagli schemi anche in quei frangenti più classiconi, altrimenti la possibilità di non farsi notare si acuisce ulteriormente. Il disco è comunque una prova di tutto rispetto che evidenzia luci ed ombre di una band che potrebbe dare molto di più. Vi segnalerei un paio di pezzi ancora che mi hanno entusiasmato più di altri: in assoluto "Transmigration of Souls" che, nonostante la sua natura strumentale, suona come un mix esplosivamente melodico tra i Death e i Cynic. E ancora, vi citerei i giochi di chitarra di "Defeat or Victory" in un contesto comunque deflagrante e la più sperimentale "As Cells of the Universe" per l'utilizzo di vocals meno convenzionali su un tappeto ritmico fortemente influenzato dalla scuola di Chuck Schuldiner. Ben fatto, ottima la prova dei singoli (basso in testa) ma ora mi aspetto il definitivo salto di qualità. (Francesco Scarci)

venerdì 13 marzo 2020

The Roozalepres - S/t

#PER CHI AMA: Punk Rock
Dalla Toscana con furore mi verrebbe da dire, dopo aver ascoltato queste 12 fottute tracce dei The Roozalepres. Trentaquattro minuti di suoni punk rock lanciati a tutta forza. Cori accattivanti annessi ad assoli arroganti ("Rough'n'Roll Rooze 'Em All"), merce rara per il genere e non solo. "Come and Go" è una bella cavalcata punk che mi hanno evocato gli esordi dei Rostok Vampires e di quell'indimenticabile, almeno per il sottoscritto, 'Transilvania Disease'. Ancora chitarre velenose, melodie che inducono ad un bell'headbanging che a quest'età rischia ormai di procurarmi qualche problemino alla cervicale. Ma sapete che penso, me ne fotto e mi lascio trascinare dal sound di questo quartetto che, pur non inventando nulla di nuovo, assembla in quest'album omonimo un mare di influenze che smuovono anche sua maestà Glenn Danzig ai tempi dei Misfits, coniugando quindi dark, punk e rock'n roll, senza dimenticarsi qualche scorribanda in territori hardcore. Inutile stare qui a fare il classico track by track ed elencarvi peculiarità, pregi e difetti di ogni song, molto meglio lanciarsi allora in pogo sfrenato creato dal combo italico e cercare di dimenticare per una mezz'ora abbondante quel frastuono che ci circonda. Il punk rock dei The Roozalepres (ecco sul moniker avrei di che ridire) è sicuramente molto più rumoroso e divertente. Difficile identificare una song piuttosto di un'altra ma dovendo esprimere la mia opinione, devo dire di preferire la band su ritmiche più tirate come "Frankenstein Heart" o "Riding Cosmos", dove i nostri trasmettono grande energia, piuttosto che pezzi più mid-tempo come possono essere "Black Magic Killer" o "Mean Mean World", una song quest'ultima più Ramones oriented. Alla fine, mi sento di consigliare la fatica di quest'oggi a tutti gli amanti di questo genere di sonorità, poco impegnate e scavezzacollo. (Francesco Scarci)

(Go Down Records - 2020)
Voto: 69

https://www.latest.facebook.com/roozalepres

Borgne - Y

#PER CHI AMA: Black Sperimentale, Aborym, Dodheimsgard
Impugnate la vostra matitina e prendete nota di questo disco perchè già oggi si candida ad essere una delle migliori release in ambito estremo di questo tribolato 2020. Gli svizzeri Borgne sono tornati con un lavoro spaventoso per intensità e qualità esecutiva. 'Y' è il loro nono album, e devo ammettere di non aver particolarmente amato i precedenti otto, un disco che propone uno sconfortante concentrato di black metal sporcato da contaminazioni industrial e visioni post apocalittiche (che in questo periodo ci stanno davvero alla grande). Sette le tracce a disposizione dei nostri per 65 minuti di musica malefica che sembra essere uscita direttamente dalle porte dell'Inferno, carica di odio ma anche di una massiccia dose di melodia. Il cd, in splendido formato digipack, si apre con le tonanti melodie di "As Far as My Eyes Can See", un pezzo che irrompe nel mio lettore con la medesima deflagrante violenza che aveva avuto "Disgust and Rage (Sic Transit Gloria Mundi)" pezzo apripista di 'Generator' degli Aborym. Ecco gli Aborym di quell'album potrebbero essere un bel punto di contatto per la nuova release del duo di Losanna. Tuttavia mi verrebbe da pensare anche ai Dodheimsgard e al loro black avanguardistico industriale per descrivere quello che i Borgne sono oggi. Come detto, non sono mai stato un fan della band elvetica, tuttavia mi ritrovo ad infiammarmi ed entusiasmarmi per un disco mastodontico. Ascoltatevi il ritmo incalzante di "Je Deviens Mon Propre Abysse", quasi una traccia dance all'inizio (e anche alla fine) che muta in una violenta melodia che governa un pezzo cosi incredibilmente ricco di pathos e ottime orchestrazioni. Ancora ammiccamenti di matrice industrial-cibernetica per la lunga e sorprendente "A Hypnotizing, Perpetual Movement That Buries Me In Silence", sorprendente per un finale che sembra chiamare in causa addirittura i Depeche Mode (soprattutto a livello vocale). Con "Derrière Les Yeux De La Création" i Borgne sembrano spostarsi invece in territori dark folk, complice quella chitarra acustica in apertura dal sapore cosi bucolico, seguita poi da un'atmosfera quanto mai glaciale e funesta che rende l'aria pesante da respirare anche quando i nostri cercano con spaventose accelerazioni, di mutare quel mood catastrofico che la song si porta dietro, figlia di giorni di sconforto e terrore. Si cambia ancora questa volta con la follia sintetico cerebrale di "Qui Serais-Je Si Je Ne Le Tentais Pas?" e la sua colata di melodie informi che si muovono tra sonorità a rallentatore e altre elettroniche, prima di immergerci nell'ambient malato di "Paraclesium", una pausa di nove minuti in attesa del gran finale affidato a "A Voice In The Land Of Stars". L'ultima song infatti include ben oltre 17 minuti di musica in cui converge tutto quanto creato sin qui dal duo formato da Bornyhake e Lady Kaos: l'inizio è lento ma poi la velocità e l'umore nero della band elvetica, hanno il sopravvento creando un wall of sound orrorifico, complici peraltro le splendide keys gestite dalla bravissima Lady Kaos. Alla fine devo ammettere che 'Y' è un signor album, moderno, sofisticato, alquanto originale a cui sarebbe il caso di dare una grossissima chance. (Francesco Scarci)

(LADLO Prod - 2020)
Voto: 83

https://ladlo.bandcamp.com/album/y

Sertraline - These Mills are Oceans

#PER CHI AMA: Blackgaze, Agalloch
Sertraline atto terzo, quanti gli EP (solo in digitale ahimè) fatti uscire negli ultimi tre anni dalla band di Buffalo, che prende il nome del generico dell'antidepressivo Zoloft. Ora avrei un desiderio, ossia che l'etichetta canadese Hypnotic Dirge Records che supporta la band, mettesse tutti e tre gli EP su supporto fisico, grazie. Ma veniamo a 'These Mills are Oceans', lo splendido lavoro di oggi. Tre pezzi per venti minuti di musica che combinano post metal, post black atmosferico e depressive con grande maestria ed efficacia per un risultato che ho trovato semplicemente intenso ed emotivamente destabilizzante. Perchè queste mie parole? Ascoltate la malinconicissima "Eyes as Tableau", un pezzo che viaggia su una ritmica post metal che vive di qualche sporadica accelerazione black, ma soprattutto di melodie struggenti su cui poggia il cantato in screaming del frontman Tom Muehlbauer. La seconda "Their Cities" potrebbe essere un mix tra Agalloch, Shining e Cult of Luna, il tutto ovviamente suonato in tremolo picking con una portanza emotiva davvero da applausi, tra rallentamenti in acustico e malefiche sfuriate post black, con la melodia sempre collocata in primo piano. A chiudere il dischetto ecco "Prague": lunga intro ambient con tanto di voci malvagie in sottofondo che cedono il passo ad un estatico intermezzo acustico e clean vocals per passare poi ad una tiepida atmosfera blackgaze con le chitarre che ammiccano qui agli *Shels. L'intensità va salendo e il riffing riprende quota acuendo la propria cattiveria a pari passo con lo screaming arcigno del vocalist, per un risultato finale veramente notevole. A parte desiderare i tre EP in cd, gradirei ora anche uno sforzo da parte della band, ossia un full length. Grazie mille per prendere in considerazione i miei desideri. (Francesco Scarci)

Omeyocan - S/t

#PER CHI AMA: Black/Doom
Palesemente influenzati dalla civiltà azteca (vedasi la piramide di Teotihuacan in copertina), il duo formato da Popocatépetl e Iztaccíhuatl (nella mitologia azteca, Popocatépetl era un guerriero che amava Iztaccíhuatl ma ora sono in realtà il nome di due delle tre montagne più alte del Messico) ci propongono una singola traccia di ben 17 minuti e 17 secondi (chissà se c'entra qualche riferimento numerologico) dedita ad un black atmosferico. L'epilogo della song omonima è una lunga intro tastieristica, di matrice burzumiana, terminata la quale i nostri affidano alla chitarra la conduzione dei giochi in uno spettrale mid-tempo di melodie malate ed infernali. L'atmosfera solfurea che si respira e propaga nell'aria è a dir poco angosciante, complice una registrazione forse un po' troppo casalinga. I riferimenti agli Omeyocan mi portano dalle parti un black (più che altro per le screaming vocals) doom tormentato e decadente che, soprattutto in questo ultimo riferimento, mi hanno rievocato gli australiani Disembowelment. Per quanto non ci sia granchè di unico e originale in questa lunga traccia, devo ammettere che il risultato finale è davvero affascinante, soprattutto per il lavoro delle keys nel cesellare atmosfere orrorifiche con le chitarre a incanalarsi in questo flusso con un lavoro oscuro ma comunque efficace, soprattutto nei momenti in cui si alternano tra arrembanti cavalcate e un tremolo picking suggestivo. Il finale è poi da brividi, laddove il duo dalle origini sconosciute, prende spunto dall'epicità dei Windir sia a livello chitarristico che vocale con un cantato pulito quasi declamato. Ora mi attendo decisamente qualcosa di più di un singolo da questi musicisti, perchè se il buongiorno si vede dal mattino... (Francesco Scarci)

giovedì 12 marzo 2020

Holy Fawn - The Black Moon

#PER CHI AMA: Shoegaze/Post Rock, Slowdive
Credo che 'The Black Moon' sia uno dei lavori che più ho ascoltato negli ultimi tempi. Nelle ultime settimane, appena tornato a casa e acceso il pc, la prima cosa che facevo era far partire "Candy", la opening track di questo EP degli statunitensi Holy Fawn. D'altro canto, la band di Phoenix mi aveva già sedotto nel 2018 con 'Death Spells', ora questo 3-track mi ha preso ancor di più, rapendomi l'anima con le sue fluttuanti atmosfere shoegaze che instillano un senso di malinconia esagerata, un nodo alla gola quasi straziante, rotto solamente da qualche schitarrata (e urlata) che ci ricorda il retaggio black metal della band dell'Arizona. Poi è solo emotività allo stato puro che ci avvinghia e stordisce in un momento in cui la nostra sensibilità appare ancor più enfatizzata. L'animo fortemente shoegaze (e post rock) della band si riflette nei pesanti riverberi sonori e vocali, con la voce del frontman davvero calda e avvolgente. "Tethered" lascia spazio a suggestioni mentali, al desiderio di scappare da tutto quel caos che ci circonda e magari abbandonarci a scrutare il cielo stellato in una qualche isola sperduta nel bel mezzo del Pacifico. "Blood Pact" è l'ultimo atto dell'EP, una song di sette minuti affidati a sonorità ancora in bilico tra shoegaze e post-rock, questa volta contaminate dal drum-beat e da paesaggi sonori che evocano i maestri Slowdive, in una eterea matrice sonora sorretta dalle splendide vocals del frontman che nel finale si lanciano addirittura in uno screaming che fitta perfettamente con il messaggio musicale lanciato da questi musicisti di talento. Ora attendo solo il nuovo album. (Francesco Scarci)

My Purest Heart For You - Change of Heart

#PER CHI AMA: Post Black, Deafheaven
Ispirati all'anime giapponese 'Neon Genesis Evangelion: The End of Evangelion', i My Purest Heart for You sono l'ormai più non comune one-man band americana, come ce ne sono tante altre. Capitanata da tal Gwynevere, la band, dopo aver rilasciato tre Lp, di cui l'ultimo nel 2018, torna a farsi risentire con questo EP intitolato 'Change of Heart', in attesa di un nuovo platter da lanciare. L'EP consta di tre tracce che, dall'iniziale title track attraverso la successiva "Heavy Lights", fino alla conclusiva "Mirror Water", vaga per i territori non tanto inesplorati, del post black di scuola Deafheaven(iana). Preparatevi quindi a farvi investire da una matrice sonora corrosiva lanciata a tutta velocità, su cui si piazza la voce molto arcigna del factotum della South Carolina, che si diletta nel regalare anche attimi di quiete in mezzo a quel caos (melodico) generato. Si insomma, avrete intuito che l'attitudine (e forse anche il risultato finale) sono parecchio assimilabili a quelli della band di San Francisco. Fondamentalmente, la cosa non mi dispiace, soprattutto quando i tempi sono più rallentati e in mezzo a quel sound cosi impastato (e talvolta volutamente caotico), affiorano le melodie di cui Gwynevere si fa portavoce. Il problema è semmai che la proposta della band non è troppo originale: il tremolo picking chitarristico è seducente, accattivante, quello che volete, ma è qualcosa di già sentito. Allora forse la band è più efficace nel proporre quel riffing debordante come nella cavalcata conclusiva che ci mostra qualcosina di più interessante e apre a nuovi spiragli di novità nella release di cui auspico una veloce uscita. (Francesco Scarci)

domenica 8 marzo 2020

Nawabs of Destruction - Rising Vengeance

#PER CHI AMA: Prog Death
Mi piaceva l'idea di recensire una band proveniente dal Bangladesh e cosi non ho resistito a prendere in mano l'EP di debutto uscito nel 2019 e a darci un ascolto attento, in attesa che venga rilasciato il prossimo aprile il loro album su lunga distanza. I Nawabs of Destruction arrivano da Dhaka, la capitale del paese e propongono in questo trittico di song, un concentrato di death progressive davvero entusiasmante. Se non avessi letto l'origine della band su Metal Archive, avrei pensato sicuramente alla Scandinavia, non solo per la freschezza a livello di suoni, ma anche per una perizia tecnica da parte del duo asiatico, davvero ineccepibile. E allora, fatevi investire anche voi dai suoni potenti e melodici di questo 'Rising Vengeance' e dalla spettacolare title track che apre le danze in modo coinvolgente tra cambi di tempo, epiche cavalcate e fantastiche melodie, il tutto in un'alternanza vocale assai interessante, tra il classico growl e un cantato tipicamente prog. Come quello che compare all'inizio della più tiepida "Beginning of the End", un mid tempo che non tarderà a crescere di intensità e a tenervi con le orecchie incollate ai funambolici giochi di chitarra del duo bengalese, davvero incazzato sul finire della song. Ultimo pezzo affidato a "In the Verge of Death", tre minuti di death metal grooveggiante bello tirato e con un assolo stile band thrash anni '80. Ora la curiosità per il full length in uscita per la Pathologically Explicit Recordings si fa davvero forte. (Francesco Scarci)

Anizvara - Atman

#PER CHI AMA: Blackgaze Strumentale
Un'altra one-man-band questa volta proveniente dal Cile, con un EP di tre pezzi che non deficitano certo in personalità. Gli Anizvara, stravagante moniker di questa creatura sud americana, propone un 3-track intitolato 'Atman', un dischetto che strizza l'occhiolino allo stesso tempo a blackgaze e post metal e che stuzzica non poco la mia curiosità in vista di una release più ufficiale di questa esclusivamente digitale. Comunque sia, i tre pezzi del lavoro si aprono con le furiose accelerazioni di "Krisis", stemperate dalle melodie malinconiche del mastermind di quest'oggi e da quelle suadenti atmosfere su cui il musicista cileno non lesina affatto. Bello immergersi in siddetti suoni con tanto di tremolo picking sempre in primo piano; vi basti ascoltare "Fire on Your Forehead" per schiarirvi ulteriormente le idee sulle eccelse qualità di questo progetto, cosi come pure con la conclusiva "Unknowable", due esempi di come si possa coniugare alla grandissima sonorità estreme con anche un più sognante post-rock intriso di splendide orchestrazioni e passaggi acustici (onore alla traccia di chiusura). Sin qui tutto benissimo ma, si c'è un ma, altrimenti mi toccherebbe parlare di un gran bel gioiellino. Ovviamente manca l'apporto vocale, per cui auspico già un cambio di rotta a partire dal prossimo album. Sapete quanto mi stia sulle scatole la mancanza di un vocalist che qui avrebbe rappresentato la classica ciliegina sulla torta. E allora, per favore, caro Anizvara, mettiamo un paio di urlacci sulla prossima release e un alto voto sarà qui garantito, promesso. (Francesco Scarci)

martedì 3 marzo 2020

Global Scum – Odium

#PER CHI AMA: Death/Industrial, Meshuggah, Fear Factory
Dovrei dire che l'album in questione è un vero ossimoro del genere metal, che mette in antitesi strutture ben consolidate di scuola Soulfly/Sepultura con una produzione modernissima e al limite della forma industrial metal. Brani che aggrediscono e opprimono l'ascoltatore con una verve tecnologica vicina al futurista sound dei Meshuggah ed anche se le composizioni sono più dirette e old style (bello il video di "Feader" disponibile sul web), l'effetto claustrofobico non perde nemmeno un briciolo della sua potenza, ipnotica ed ultraterrena. Traccia dopo traccia, con un orecchio ben ancorato alla corrente thrash metal di anni novanta, ci si immerge nella descrizione di un mondo carico di violenza, corruzione e quant'altro la perversione umana sia riuscita fin qui a generare di sinistro (viene citato nel disco anche Josef Fritzl, l'uomo che tenne segregata la figlia in cantina per ben 24 anni!). Il disco è giustamente intitolato 'Odium', e l'artwork di copertina si abbandona ad una grafica senza mezzi termini, completamente circondata da macerie, dove appare in primo piano una figura nascosta in volto da una maschera a gas, imbrattata di sangue sui vestiti, e mettendo bene in luce gli intenti espressivi dell'opera. I brani, rispettando sempre i canoni del genere, sono fantasiosi e mantengono una qualità compositiva ed una produzione assai notevoli, curati a dovere dall'infaticabile Manuel Harlander, "proprietario" del progetto Global Scum. Manuel è infatti potente voce, braccio e mente di questa nuova realtà austriaca, dove si diletta a cantare e a suonare tutti gli strumenti, cercando di portare sempre più in alto questa sua violenta e solitaria one man band. Il disco contiene 13 brani tutti sparati in faccia all'ascoltatore, senza remore, divisi da un breve spartiacque atipico per il genere, nella veste del brano strumentale "Back Beats", che presenta una sezione ritmica vicina alla dance e richiama alla mente gli esperimenti techno metal di Godflesh e Fear Factory. Difficile trovare il brano migliore su di un disco che si lascia ascoltare molto volentieri senza mai abbassare la guardia sotto il profilo della potenza e che contiene un così alto standard tecnico. Un masso sonoro che si esprime al meglio, almeno nel mio modesto giudizio, nel tagliente riff di "Call of Resistance". Quindi agli amanti di thrash e feath, infarciti di ambient futuristico e atmosfere al limite dell'horror, non resta altro che lanciarsi in questo secondo disco dell'artista austriaco, per una nuova, affascinante esperienza sonora. Attenzione, album dall'alto potere esplosivo, maneggiare con cura. (Bob Stoner)

(NRT-Records - 2019)
Voto: 74

http://global-scum.com/

domenica 1 marzo 2020

The Revenge Project - Deceit-Demise

#PER CHI AMA: Death, Vader
Burgas, da non confondere con la città spagnola di Burgos, è un importante centro turistico sulla costa del Mar Nero. La cittadina oltre a vantare un gradevole litorale, rappresenta anche il luogo di origine di questi The Revenge Project, una band in giro dal 2000 votata puramente ad un death metal di vecchia scuola. 'Deceit-Demise' è il quinto album per il quintetto bulgaro in vent'anni di onorata carriera, non proprio dei musicisti prolifici, però una band con un seguito abbastanza nutrito in patria. E allora proviamo a farli uscire dai confini nazionali questi The Revenge Project, raccontandovi del lavoro di quest'oggi che include otto tracce più intro ("Enter Oblivion") che ci prenderanno a calci in culo con la furia del loro death old school che chiama in causa campioni statunitensi del calibro di Malevolent Creation o Monstrosity. Lo si capisce immediatamente con "Unholy Soul", una song robusta che mette in evidenza tutti gli ingredienti del genere, inclusa la classica ritmica devastante, un growling da orco cattivo ed una sezione solistica (assai melodica) da urlo, vero punto forte a favore dell'ensemble bulgaro. Poi quando riparte "The Fine Print", ecco che i nostri ci stritolano con il loro rifferama ultra compatto ed efferato, per una sorta di ritorno alle origini del death made in Florida. Devo ammettere però, che nelle note di questa traccia ho scorto l'influenza di un'altra band, questa volta europea, ma pur sempre devota alla causa americana, i Vader. Quello che ancora una volta mi colpisce e fa rivalutare un lavoro che verosimilmente rischierebbe di rimanere nell'anonimato, è di nuovo il comparto solista con una ricerca melodica di gran gusto. "Confess to Sin Again" è invece un mid-tempo che sembra aver poco di che spartire con quanto ascoltato sino ad ora, almeno nei suoi primi 60 secondi, prima di esplodere in un feroce assalto sonoro che chiama in causa anche il thrash metal dei Sepultura. 'Deceit-Demise' è un disco in effetti un po' troppo derivativo, ma in questo genere che cosa pretendere dopo tutto, visto che ormai anche le grandi band si autoreferenziano  album dopo album? Francamente me ne fotto e mi lascio maciullare le orecchie dal granitico riff della compagine, interrotto qui da una porzione ritmica decisamente più controllata, laddove anche il growling lascia posto a delle pseudo clean vocals. Ma la mattanza non finisce certo qui: "You Have to Know", la più ricercata "Prayers Go Unheard" e via via tutte le altre, proseguono nella loro opera di demolizione muovendosi costantemente a cavallo tra un death tecnico e un più selvaggio thrash metal. Mi verrebbe da dire che la band debba esplorare maggiormente il proprio lato progressivo per potersi affermare anche fuori dal proprio paese e non essere additata come la classica clone band. Diciamo che per ora, i The Revenge Project sono sulla strada giusta per ciò che concerne l'aspetto puramente tecnico e melodico, ora servirebbe lavorare maggiormente sulla ricerca di una personalità ben più caratterizzata a livello ritmico giusto per non scadere nello scomodo clichè del già sentito. (Francesco Scarci)

(Self - 2019)
Voto: 65

Donarhall - Helvegr

#PER CHI AMA: Atmospheric Black
Donarhall è una one-man-band teutonica capitanata da tale Gnav, musicista che abbiamo già avuto modo di conoscere nei Sinister Downfall e che al contempo, porta avanti una nutrita serie di progetti paralleli (Crypt Witch, Death Carrier, Hexengrab, Necrochaos e Nihilisticon, giusto per citarne qualcuno). 'Helvegr' è il quinto album per l'artista originario della Bassa Sassonia, un concentrato di black strumentale assai tirato che si dipana dall'intro d'apertura, "Byrdh", fino alla conclusiva "Liflat", attraverso un percorso interamente affidato alla sola musica, per un esperimento parzialmente riuscito. Detto che non sono un fan delle release prive di un vocalist in ambito post-rock, immaginerete quanto possa esserlo ancor meno in territori prettamente estremi. Tuttavia, il mastermind tedesco prova a giochicchiare con un po' tutti gli strumenti a propria disposizione proprio per supplire all'assenza della voce. Ci riesce, con tutti i limiti del caso, sia chiaro. "Vinda" è una violentissima traccia nei cui solchi si ritrovano comunque rallentamenti acustici che fanno da contraltare alle ruvide scorribande in territori post-black. "Hyrr" è la terza song che apre con un'altra parte arpeggiata, accompagnata successivamente da una ritmica mid-tempo che costituirà la matrice della song. Non mancano le melodie affidate al tremolo picking, cosi come una certa ricorrenza nell'utilizzo della chitarra acustica che contribuisce ad acuire quel feeling decisamente malinconico che aleggia in tutto il lavoro. La sensazione è di ascoltare un che di Burzum, il tutto rivisto ovviamente in chiave più moderna, peccato solo che manchi una voce a guaire sulle note roboanti e pesanti di "Heimr" o "Vagr". Stranamente all'inizio di "Sunna" sembra esserci un etereo coro in sottofondo, offuscato successivamente dalla pesantenza del riffing portante, un peccatuccio veniale che mi sarei risparmiato proprio per dare una parvenza di voce alla song. Comunque, il lavoro si lascia piacevolmente ascoltare, pur non facendo gridare al miracolo, muovendosi tra riffoni tirati e altre parti decisamente più atmosferiche che rendono 'Helvegr' un gradevole passatempo di ascolto di musica strumentale. Se solo ci fosse stata una voce però, chissà che voto avrei dato al buon vecchio Gnav... (Francesco Scarci)

(Symbol of Domination Prod. - 2019)
Voto: 68

Officium Triste - The Death of Gaia

FOR FANS OF: Death/Doom, early Paradise Lost
The death-doom scene was rather prolific during the second half of the '90s and it has maintained a healthy level of quality during the first years of the current century. One of the most respected bands, founded in the '90s, is the Dutch project Officium Triste. Prior to the inception of Officium Triste, the original members played in a pure death metal band called Reincremated. However, it didn´t last too much as the project disappeared and the same members founded a new project, which was more influenced by the sound of early Paradise Lost, just to mention an obvious influence of the project, which evolves from standardized death metal to something darker and slower. Even though Officium Triste has had a long career, their discography is not particularly extensive, as the band has released six albums only during almost three decades of their existence. From the first line–up, almost half of the band still continues in the band, which it's a great example of their compromise with this project.

As already mentioned, the band hasn´t been particularly prolific with its releases, especially from the 2000s to onwards. Anyway, the quality has always been present and though the wait is usually long, as it has happened since ‘Mors Viri’, issued in 2013, the release of a new album is always a matter of excitement for the fans. Finally, and after six years of silence, Officium Triste released in 2019 their new opus ‘The Death of Gaia’. The band´s core sound is still present and, fortunately, with a bunch of quite inspired tunes. Officium Triste plays a classic death-doom full of sorrow and mid/slow paced compositions, where the melancholic feeling is present in every note. From the first track, "The End is Nigh", we can feel this sense of misery in every melody. The guitars sound powerful with slow paced riffs, always full of sad melodies, which are a pleasure for my ears. Pim’s vocals sound as strong and dramatic as always and the keyboards are present in many moments, but without being overused. They added an extra point of atmosphere to the compositions, like the fog wraps the mountains in an autumnal day. The pace is, as expected, quite slow but never sounding overwhelmingly monotonous. This is possible thanks to the excellent guitar work and the solid and well composed rhythmic base. Apart from the mentioned guitars and keys, the band tries to enrich its compositions with the use of classic instruments like the cello or violin in the opening track, or in songs like "The Guilt". This one is a marvellous piece of the best and most emotional death-doom you can imagine. Even though the tracks may have a similar structure due to the nature of the genre, each composition has always a distinctive melody, which is reasonably easy to keep in mind. The album maintains a very high level but I personally enjoy its second half with a particular brilliant song, the already mentioned "The Guilt", where the singer Mariska van der Krul shows us her great voice. The following "Just Smoke and Mirrors" and "Like a Flower in the Desert" complete a trilogy of impressive tracks, the true highlight of this excellent album. The first one has an awesome keyboard introduction and some outstanding guitars, making this song a little hypnotic, while the later has a more slightly vivid pace with some vicious riffs and a totally addictive melody.

At the end, Officium Triste is, thankfully, another fine example of how a veteran band can still deliver quality stuff after many years. ‘The Death of Gaia’ could be considered one of their finest releases, clearly indicating how good this work is. No doubts about it, this is a must for every fan of death-doom. (Alain González Artola)

sabato 29 febbraio 2020

Void of Silence - Criteria ov 666

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Apocalyptic Doom
Ricordo di aver atteso con grande trepidazione il nuovo lavoro dei Void Of Silence, band capitolina che nel 2001 si era già resa protagonista di un debutto esaltante, quel 'Toward the Dusk' che per alcuni è passato inosservato ma che rappresenta tutt'ora un esempio sporadico ed eccellente di come la musica estrema possa ancora rinnovarsi attraverso sonorità di matrice metal. Dopo il cambio di etichetta, da Nocturnal Music a Code666, il secondo album dei nostri, 'Criteria ov 666', rappresentò un lavoro che proseguiva nella direzione stilistica intrapresa dall'esordio e ne accentuava in modo palese la componente sperimentale, abbracciando a tratti la corrente del folk-apocalittico. La struttura portante su cui si appoggia questo disco, resta ancorata ad un doom-metal dalle ritmiche estremamente pesanti e dilatate mentre le contaminazioni di ambient industriale, costituiscono una base sempre presente, che rende unica e sublime la formula proposta dal trio romano. Il pesantissimo muro di suono creato dalle chitarre di Ivan Zara viene accompagnato dalle tastiere evocative di Riccardo Conforti, il quale si cimenta anche nell'uso di inserti disturbanti che sfiorano spesso, come nell'intro, il rumorismo di certa power-electronics. L'effettistica usata, pur non avendo un ruolo predominante, contribuisce però, a rendere terribilmente claustrofobica e angosciosa l'atmosfera dei brani e ricrea l'ideale tappeto sonoro per la voce "malata" di Malfeitor Fabban (Aborym). I rantoli sofferenti di Fabban e le sue urla cariche d'odio, affondano nella carne e la lacerano come un coltello affilato: una prestazione vocale estrema e terrificante che ricorda, in alcuni frangenti, i Katatonia di 'Dance of December Souls'. 'Criteria ov 666' rende attoniti davanti a tanta negatività, è capace di annientare, lasciando spazio unicamente al dolore e a sensazioni di morte... un'opera certamente agghiacciante, ma questa è la musica dei Void Of Silence, una delle realtà più credibili ed inquietanti che il nostro suolo può ancora vantare in ambito estremo. (Roberto Alba)