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mercoledì 11 dicembre 2019

Everdying - Black Acid Soul

#PER CHI AMA: Death/Black, primi In Flames, Dissection
Interessante la proposta di questi Everdying, duo dell'Illinois che si propone di combinare il sound dei primi In Flames con God Dethroned, Naglfar e Hypocrisy, senza dimenticare l'apporto di Opeth e Dissection, niente male no, almeno sulla carta. Ecco beh, io tutte queste influenze in un colpo solo non le ho sentite a dire il vero. Ascoltando l'opener di questo 'Black Acid Soul', "The Air You Breathe", ho percepito sicuramente i Dissection per quella melodia tagliente delle chitarre e lo screaming della voce, poco altro però. Le cose cambiano radicalmente con la title track, dove gli echi dei primi In Flames s'incontrano davvero con le band citate, però la sensazione è quella di ascoltare una band diversa da quella sentita nella traccia d'apertura. Francamente il risultato ha quasi del miracoloso sconquassando le mie orecchie con una buona dose di genuinità e ottime melodie, soprattuttto nella parte conclusiva del brano. Il terzo episodio dell'EP, "The Dead Heart", è interamente suonato dal polistrumentista e mastermind di questo progetto, ossia Johnny Dove. Le carte in tavola cambiano ancora e questa volta mi sembra di aver a che fare con i Rammstein, ma che diavolo combina Mr. Dove? Niente paura, perchè l'approccio industrial viene interrotto da un estremismo sonoro dirompente che perdura ahimè per pochi secondi, generando ancor più confusione nel sottoscritto. In definitiva, 'Black Acid Soul' è un esperimento piuttosto eterogeneo che per quanto possa risultare ai più ancora piuttosto acerbo, ha in serbo importanti buoni spunti e una discreta dose di originalità. Da tenere assolutamente sotto traccia. (Francesco Scarci)

(Voice of the Soul Studios - 2019)
Voto: 68

https://everdying.bandcamp.com/album/black-acid-soul

Raven Legacy - Sol Invictus

#PER CHI AMA: Symph Black/Death
I Raven Legacy sono un progetto capitanato da Wassim Amdouni (in arte Invictus) e Hugo Spezzacatene, originariamente nato in Tunisia nel 2003 col moniker Lord of Terror e poi trasferitosi in quel di Roma nel 2016. 'Sol Invictus' è il risultato di questa collaborazione, un EP di debutto contenente sei pezzi che si aprono con "Cleaving the Bones of Your God", un brano che caratterizza immediatamente le peculiarità del combo capitolino, ossia un death/black metal dotato di pesanti elementi sinfonico-orchestrali. L'assalto è a dir poco spaventoso con velocità iper tirate, un'alternanza tra screaming e growling vocals, ed una forte dose di tastiere. Un bel chorus contraddistingue invece la seconda song, "The Infernal Herald", che mostra dapprima una ritmica detonante per poi assestarsi su velocità più pacate, comunque davvero affascinanti, che avvicinano la band ai nostrani Ade. "As I'm Born in Hell" è un brano meno ricercato che mantiene comunque intatta la sua valenza sinfonica, ma che mette semmai in evidenza (finalmente) un bell'assolo di matrice classica, susseguito da un attacco ritmico davvero invasato. Si prosegue con lo strisciante black sinfonico di "The Abyssal Portrait", un altro esempio di come si possano combinare elementi di musica estrema con ottime orchestrazioni, il tutto ovviamente supportato da una produzione potente e cristallina che ne esalta il risultato finale. Queste in breve le caratteristiche dei nostri che anche nei conclusivi pezzi si adoperano per intrattenere i fan con tutte le armi in loro possesso. Se proprio devo trovare il pelo nell'uovo, direi che c'è una certa mancanza a livello solistico che rischia di appesantire la proposta dei nostri e indurre qualche sbadiglio di troppo già a livello della quarta song. E allora visto che le potenzialità tecnico-strumentali ci sono, vediamo per lo meno di sfruttarle fino in fondo. (Francesco Scarci)

Lesath - Like the Wind

#PER CHI AMA: Depressive Black
Quanto mi affascinano le band il cui moniker si rifà al nome di stelle: Lesath è infatti una stella azzurra della costellazione dello Scorpione che ha da poco intrapreso il percorso per diventare una supergigante. Non so quali siano le ragioni che hanno portato alla scelta di tale nome, fatto sta che la one-man-band di oggi ci propone un EP di due tracce (banalmente "I" e "II") intitolato 'Like the Wind'. La prima song si manifesta sottoforma di un black depressive che vive del contrasto tra chitarra acustica ed una ritmica mid-tempo su cui si affaccia la voce sussurrata del mastermind di questo progetto. Niente di stravolgente, se non l'emozionalità dirompente che scaturisce dalle tiepide note di questi primi minuti. Interessante proposta, che necessiterebbe di qualcosa di più stimolante per decollare. Eccomi accontentato visto che "II" è una devastante traccia black con tanto di chitarre e screaming ringhianti, che vanta tuttavia ottime melodie e avvincenti cambi di tempo. Rimango curioso di ascoltare un disco completo di questi Lesath per capire esattamente dove vogliano andare a parare con la loro musica, vista la discrepanza contenutistica di codesto 'Like the Wind', che non mi aiuta di certo a valutare in toto la proposta musicale del polistrumentista misterioso che si cela dietro a questo moniker stellare. (Francesco Scarci)

I Maiali - Cvlto

#PER CHI AMA: Noise/Post-Hardcore
Devo ammetterlo: il nome della band mi aveva fatto pensare ad uno di quei gruppi punk più interessati a scandalizzare che a confezionare un’opera in grado di stupire e rivolgersi ad un pubblico eterogeneo. Fortunatamente I Maiali, formazione romana attiva dal 2016, hanno infranto i miei pregiudizi con 'CVLTO', il loro debut album partorito quest’anno dopo un lungo travaglio, vuoi perché questa creatura luciferina è stata concepita là dove scorrono lo Stige e il Flegetonte, vuoi perché i ragazzi hanno preferito prendersi tutto il tempo necessario per lasciar maturare le loro idee. Se la seconda ipotesi è quella giusta, possiamo affermare che è valsa la pena aspettare.

Prodotto da Phil Liar (Monolith Recording Studio), masterizzato presso gli studi americani di Mistery House Sound e pubblicato per Overdub Recordings, 'CVLTO' si compone di dieci tracce roventi come i gironi infernali che evoca fin dall’introduttiva “Ave”, con la quale questo sulfureo concentrato di post-hardcore e noise-rock, inizia subito a scorrere nelle viscere dell’incauto ascoltatore come un filtro che abbia il potere di mettere a nudo i demoni nascosti in tutti noi. Gli ingredienti di questa pozione malefica? Versare copiosamente nel calderone le percussioni incazzate di Angelo Del Rosso, aggiungere le linee nevrotiche del basso di Matteo Grigioni e i taglienti riff della chitarra di Daniele Ticconi e non dimenticare la fondamentale formula magica recitata, urlata e bestemmiata da un mefistofelico Francesco Foschini.

Man mano che i brani si susseguono come una raffica di pugni nello stomaco, ci si rende conto che a colpire non è soltanto la furia sonora (qualità che fortunatamente non manca nel panorama noise e hardcore nostrano), quanto la personalità del quartetto nel destreggiarsi tra reminiscenze di quel rock graffiante e al tempo stesso accessibile che ha fatto le fortune di Marlene Kuntz e Il Teatro Degli Orrori, mantenendo i piedi sempre ben piantati nell’underground e gli occhi puntati verso gente come Nerorgasmo e Negazione. Il risultato è un sound compatto, moderno e dinamico, che si mantiene sempre accattivante, nonostante la rabbia selvaggia sprigionata in “Carne”, le atmosfere cupe di “Abbandono” e la schizofrenia di “Danza come Manson”.

“Adora il cvlto, adora il cvlto” grida ossessivamente il cantante nell’irresistibile title-track, perfetta sintesi dei contenuti di un disco zeppo di riferimenti a rituali poco ortodossi che garantiranno alla band le consuete accuse di oscure venerazioni. Ma qual è il culto oggetto di tanto fervore? E che c’entra il maiale, sbattuto in copertina nell’inquietante artwork del maestro Coito Negato?

Nulla in 'CVLTO' è stato scelto per caso o al solo scopo di scatenare le ire dei paladini di presunte radici nazionali: il rapporto morboso e al tempo stesso contradditorio tra l’uomo e la simpatica bestia, quotidianamente servita sulle nostre tavole malgrado sia il simbolo per eccellenza di impurità, sporcizia e istinti animaleschi, sembra una metafora di una triste consuetudine della nostra società, ossia l’ostentazione fanatica di valori e principi puntualmente rinnegati e sacrificati sull’altare delle nostre ambizioni e dei nostri bassi istinti. Ed è forse proprio questo l’unico culto che onoriamo fanaticamente: l’ipocrisia. (Shadowsofthesun)


(Overdub Recordings - 2019)

domenica 1 dicembre 2019

Ketoret - Departure

#PER CHI AMA: Post Metal/Blackgaze
'Departure' non è altro che una prova per vedere di che pasta sono fatti gli israeliani Ketoret, pasta buona direi io. La band di Gerusalemme propone infatti tre tracce per 26 minuti di musica all'insegna di un post-metal riflessivo, impreziosito da certe venature blackgaze. Questo è almeno quanto ho potuto assaporare dall'ascolto dell'opening track "Ivy", una song che si dipana tra melodie solenni e decadenti assai simili ad una colonna sonora degna di un colossal, che solo sul finire prende le sembianze di un post-black (con tanto di screaming vocals) davvero ispirato, che non fa che aumentare la mia curiosità per questa compagine. Con mia sorpresa, l'incipit di "Box" è molto più pacato, con voci pulite che sembrano condurci in mondi alternativi (musicalmente parlando); poi sprazzi di ferocia, ma sono ancora le sonorità alternative a prevalere, prima che nuovamente la band si conceda ad un finale suggestivo all'insegna di un blackgaze sognante, che mi fa ben sperare per il futuro. E visto che ci siamo, diamo un ascolto anche all'ultima traccia, gli undici minuti di "Departure in a Heartbeat" che partono dai sussurri del vocalist che evolvono a grida di dolore su di un atmosferico tappeto di melodie soffuse che va via via crescendo fino all'esplosione di un pathos disarmante che mi lascia senza parole e per cui auspico, che quanto prima qualcuno si accorga di questi affascinanti Ketoret. (Francesco Scarci)

Isor - S/t

#PER CHI AMA: Instrumental Black
Gli Isor sono una misteriosa creatura proveniente dalla Germania, verosimilmente una one-man-band, la cui città d'origine mi rimane sconosciuta. Non so nemmeno se questo sia un EP d'esordio o cos'altro, visto che le informazioni sul web sono praticamente assenti oppure rimandano ad una omonima band inglese. E allora lasciamo spazio alla musica contenuta in questo 5-track omonimo che apre con l'intro sinistra di "Abgleiten" e prosegue con le melodie accattivanti (disturbanti, ridondanti e qualsiasi altra cosa che termini in -anti) di "Kein Zurück": una serie di impulsi sonori in grado di penetrare pericolosamente le nostre menti come se un trapano si avvicinasse alla fronte e li iniziasse a bucare per far fluire internamente i suoni ingannevoli di questa song, che a me ha affascinato per lo più per il suo carattere disperato e disperante. Mi aspettavo un cantato almeno nella terza traccia, "Einsamkeit", ma ancora non v'è traccia di una voce, e qui ancora peggio, dato che ci troviamo al cospetto di una stralunata song noise ambient. E allora ci si riprova con "Leibes Hass", ma il suo carattere cerimonialistico-tibetano, mi lascia presagire l'ascolto di suoni meditativi per tutti i suoi sette minuti. In realtà la song evolve la propria musicalità in melodie soffuse (sempre rigorosamente strumentali) che ci conducono fino alla conclusiva "Geist", l'ultimo atto di questo complicato 'Isor'. (Francesco Scarci)

Pènitence Onirique - Vestige

#PER CHI AMA: Symph Black
Della serie a volte ritornano nel Pozzo dei Dannati, ecco arrivare il tanto atteso comeback discografico dei francesi Pènitence Onirique, intitolato 'Vestige'. Detto che l'uomo fotografato in copertina somiglia a Jeff Bridges nei panni del Grande Lebowski, del combo della Valle della Loira avevo parlato già molto positivamente in occasione del loro debutto. Sempre supportati dalla Les Acteurs de l'Ombre Productions, la band transalpina sembra qui far addirittura meglio rispetto al passato, senza peraltro stravolgere di una virgola il proprio sound. Sempre di black sinfonico infatti stiamo parlando, un black però di alta qualità che dall'infima e malefica "Le Corps Gelé de Lyse" si giunge alla conclusiva ed epica title track. Detto che l'opener ci dice dell'attuale eccellente stato di forma dell'act di Chartres, "La Cité des Larmes" sottolinea ancora una volta la bravura con cui i nostri riescono a produrre un black metal elaborato, dinamico, atmosferico ma soprattutto estremamente convincente. Il tutto sostenuto da ottime trame ritmiche accompagnate da una grande performance vocale del nuovo arrivato Ebrietas e da un sontuoso lavoro alle tastiere che, per quanto non invasive, contribuiscono ad elevare la qualità dell'opera, che ancora una volta partendo dai vecchi insegnamenti dei Limbonic Art, li fa propri, e anzi li arricchisce di una propria personalità che si esprime appunto attraverso i pezzi già menzionati, ma soprattutto attraverso l'inquieta spettralità di "Les Sirènes Misérables", e di un suono che trasuda spaventosi incubi ad occhi aperti, in particolare nella sua debordante seconda parte. A calmare i tormenti dell'anima, ci pensa fortunatamente la strumentale "Hespéros" che ci regala quasi 180 secondi di delicate melodie mortali, prima che la pura devastazione prenda il sopravvento nelle rimanenti tracce del disco. Si perchè con "Extase Exquise" e a seguire con quello che è stato il singolo apripista, "Souveraineté Suprême", ma anche con la devastante title track, c'è solo da prepararsi al peggio, visto che il quintetto non scherza assolutamente. Ci attendono infatti gli ultimi 20 minuti di melodie malinconiche, blast beat furenti, screaming vocals e splendide atmosfere, che fanno di questo 'Vestige' finalmente un lavoro black di interessanti prospettive. (Francesco Scarci)
 
(LADLO Productions - 2019)
Voto: 77

https://ladlo.bandcamp.com/album/vestige

Atom Made Earth - Severance

#PER CHI AMA: Psych Rock
Davvero interessante la proposta dei marchigiani Atom Made Earth, band comparsa da queste parti in occasione del precedente album 'Morning Glory'. Il gruppo, dopo gli ottimi responsi ottenuti con quel lavoro, torna con questo nuovo 'Severance' e otto brani nuovi di zecca, calibrati tra lo shoegaze dell'opener "First of a Second Split" ed un sound che ammicca in modo inequivocabile alla psichedelia dei Pink Floyd, così come avevamo avuto modo di sottolineare in precedenza. E nella stessa opening track balzano all'occhio, nella porzione solista, le influenze seventies della compagine italica, nelle cui tracce si ritrova peraltro un'elevata dose di malinconia. "Childhood Song" è un breve intermezzo strumentale che ci introduce a "Youth" attraverso atmosfere morbide e suadenti di un post-rock comunque dai connotati decisamente nostalgici che mi hanno evocato nel cantato anthemico, gli americani *Shels. In questo meraviglioso fluido sonoro, altri generi musicali invadono la musica dei nostri, dall'elettronica, quasi perennemente in background, al kraut prog-rock, che fanno della lunga "Youth", il mio pezzo preferito. "From Earth With Hurt" è un'altra piccola perla, in cui i nostri giocano con una girandola di colori a pastello e calde emozioni messe in musica, che si fanno però più scure nella seconda metà del brano. "Native" ha una forte componente etnico tribale nelle sue note, quasi un rito di iniziazione dei nativi d'America attorno al fuoco per un tributo alla Madre Terra. "El Roi" è invece il brano di cui avrei fatto volentieri a meno, troppo vintage per i miei gusti e a mio avviso troppo scollegato dai pezzi ascoltati sino ad ora, anche se la seconda parte va riprendendosi coi suoi frequenti rimandi ai Pink Floyd. Per fortuna con "In the Glow" si rientra nei binari del post rock qui ancora pervaso da un certo shoegaze. La title track chiude col suo ambient minimalista un disco affascinante che conferma le eccellenti doti tecnico-artistiche di una band, il cui nome è da imprimere nel proprio taccuino. (Francesco Scarci)