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mercoledì 31 luglio 2019

Umberto Maria Giardini - Futuro Proximo

#PER CHI AMA: Alternative Rock
Transitori ("Onde"). Distanze ("Il Vento e il Cigno"). Impossibile misurare lo spazio e il tempo se non attraverso le emozioni. Una conseguita, irrevocabile impossibilità di comunicare (cfr. la amniotica "Avanguardia") raccontati con un ermetismo gentile e obliquamente naif ("Noi, l'antimateria della realtà", "Mea Culpa"), imprescindibile tratto cantautoriale di U-M-G, the-artist-formerly-known-as-Moltheni. E poi c'è l'ignoto. Orizzontale: il futuro blandamente distopico fatto di nuovi amori tridimensionali, multinazionali, Cina e Islam, quello di "Alba Boreale". Verticale: il ficcante misantropismo che emerge dalla colloquiale "Caro Dio", collocabile grosso modo tra il Battiato di "New Frontiers" e il Ligabue di "Hai un Momento, Dio" ("Nel comportamento umano colgo lacune di concetto / valanghe nel cervello"). I suoni ventosi a tratti ricordano i momenti migliori dei CSI, con tinte dream-progressive, cfr. "Dimenticare il Tempo" e i 5/4 de "Il Vento e il Cigno", la wave (soprattutto nel titolo), cfr. "Onda", e sparute inclinazioni nordic-prog, cfr. l'eccellente strumentale "Ieri nel Futuro Proximo". Ascoltate questo disco cercando di contare tutte le volte che U-M-G trasforma in E le I con accento tonico (in "Dementecare el Tempo" ad esempio, ne troverete parecchie). (Alberto Calorosi)

(La Tempesta Dischi - 2017)
Voto: 76

https://www.facebook.com/UmbertoMariaGiardini/

lunedì 29 luglio 2019

Alice Tambourine Lover - Down Below

#PER CHI AMA: Psych Alternative Rock
Ottima nuova uscita per il duo bolognese degli Alice Tambourine Lover che, con un'apparente semplicità musicale, espressa attraverso chitarre cristalline e liquide, piccoli rintocchi ritmici ed una splendida voce femminile, vellutata, delicata e sognante, sfornano una perla sonora degna di lode. In una giornata strana, in attesa del temporale, mi appresto ad ascoltare questo 'Down Below', disco dalla copertina intrigante, dai colori vividi e psichedelici. Una psichedelia intima, vissuta, polverosa, sabbiosa, una calda estate ed un tramonto introspettivo che chiudono il giorno con un pizzico di nostalgia costruttiva. Ecco, questa è la giusta visione con cui inquadrare un disco completo, potrei dire quasi perfetto, carico di emotività ed esistenza liquida, un viaggio lisergico tra le note acustiche ed una manciata di soffici riff che colpiscono dritti al cuore. Senza dimenticare l'ambientazione Paisley Underground del contesto, il tocco alt country a stelle e strisce ed il rustico ruggito solitario alla Mark Lanegan, reso ancor più intenso dal bel duetto con il noto cantante, musicista e produttore, Dandy Brown (Hermano, Orquesta del Desierto, John Garcia) nella magnifica "Dance Away". Una registrazione ed un missaggio con i fiocchi a cura di Luca Tacconi ai Sotto il Mare Recording Studios, che rende omaggio all'America desertica e solitaria, attraverso un ampio set di strumenti, foot tambourine, armonica, resonator, dobro, percussioni varie, chitarre acustiche ed elettriche, in una sospensione eterea senza tempo che permette di viaggiare indisturbati tra un brano e l'altro, coi capelli al vento a bordo di una vecchia cabriolet yankee anni '50 per le polverose distese di campi americani. Otto brani ammalianti che toccano l'apice artistico del duo formato da Alice Albertazzi e Gianfranco Romanelli, senza mai scadere nella ripetitività e ricreando anzi una magia cristallina brano dopo brano. Complice l'ipnotica, delicata, suadente e spettrale voce di Alice, quanto poteva esserla quella di Kendra Smith in 'Empty Box Blues' dei mitici Opal qualche decennio fa, ci lasciamo trascinare dalle canzoni dei nostri in un vortice allucinogeno di grazia, libertà e sofisticato misticismo rock (ascoltatevi i capolavori "Follow" e "Into the Maze"), tutte composizioni dotate di un sound complesso, rarefatto e magico. Il grado di orecchiabilità dei brani è altissimo e mostra uno spessore artistico di tutto rispetto, una conoscenza del genere assai avanzata ed una padronanza della propria arte da far impallidire band molto più in voga nel panorama internazionale. Un disco bellissimo, un'opera che riempie l'anima, una nobile band da seguire ad occhi chiusi. (Bob Stoner)

sabato 27 luglio 2019

Ordinul Negru - Lifeless

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Hellenic Black Metal, Rotting Christ
L'avevamo anticipato meno di un mese fa, in occasione della recensione di 'Nostalgia of the Full Moon Nights', che quest'anno la Loud Rage Music aveva fatto uscire qualche re-issue dei vecchi album degli Ordinul Negru. Dopo aver quindi tributato quell'album, ci spingiamo un po' più indietro verso le radici della compagine rumena, da sempre guidata dal buon vecchio Fulmineos. Ed eccoci quindi a parlare di 'Lifeless', il quarto disco dei nostri, che vedeva il solo polistrumentista gestire gli Ordinul Negru. E con un album di oltre 60 minuti e undici pezzi, non deve essere stata proprio una passeggiata. Il disco di primo impatto, risente fortemente del black metal ellenico, scuola Rotting Christ, il che, solo per questo, lo rende differente da 'Nostalgia...', che subiva invece una forte influenza norvegese. Interessante pertanto ascoltare le melodie dal sapore mediterraneo dell'opener "Wolves from the Ancient Forest" che pongono la one-man-band rumena molto vicina, per affinità musicali, agli esordi di Sakis e soci, penso a 'Thy Mighty Contract' o ancor prima, all'EP 'Passage to Arcturo'. Un po' fuori tempo massimo qualcuno avrebbe da obiettare, però il sound ellenico è un qualcosa che pare essere rimasto immutato nel corso del tempo attraverso le release dei Rotting Christ stessi ma anche di Necromantia, Varathron, Zemial, Thou Art Lord e molti altri. Allo stesso modo, la musica degli Ordinul Negru sembra possedere in questo 'Lifeless', la stessa insana magia di quei protagonisti che hanno reso illustre la scena. Quello che fa specie alla fine è che il nostro mastermind di oggi non sia greco, per il resto trovo che 'Lifeless', per quanto mostri ancora lacune importanti su più livelli (produzione, mixing, suoni rozzi e primitivi), incarni alla grande l'indomito spirito guerriero mediterraneo, il che si traduce in battagliere, feroci, tiratissime song, quali le brevi "Warewolf", "Eve Tales" o la più atmosferica "The Cold Spirit Arouse from a Forgotten Soul", passando poi per le più strutturate e lunghe (entrambe oltre i nove minuti) "Morbid Prophecy" e "Serpent's Promise" che delineano un black dalle tinte oscure, contraddistinto da un mid-tempo dotato di mistiche atmosfere orrorifiche declamate dalle magnetiche screaming vocals di Fulmineos, uno che vi ricordo aver cantato anche nei mitici Negura Bunget. Un pezzo che ho particolarmente apprezzato, più per le sue trovate tastieristico-sperimentali, è "Snow Covers the Blood of the Warrior", ma in generale è tutto l'album a convincermi, con la consapevolezza che è stato concepito oltre dieci anni fa con tutti i limiti del caso legati anche alle pesanti influenze che subisce. Fatte tutte le dovute premesse, trovo che l'occultismo di cui 'Lifeless' è intriso, lo renda più convincente del suo successore. (Francesco Scarci)

(Banatian Records/Loud Rage Music - 2008/2019)
Voto: 72

https://loudragemusic.bandcamp.com/album/ordinul-negru-lifeless

Halls of Oblivion - Endtime Poetry

#PER CHI AMA: Melo Death/Black
Formatisi addirittura nel 2007, i teutonici Halls of Oblivion si sono presi tutto il tempo necessario per arrivare al debutto sulla lunga distanza e se non è record questo poco ci manca, giusto perchè nel 2015, il quartetto di Stoccarda aveva fatto uscire un EP di sei pezzi. La proposta dei quattro tedesconi racchiude in questo 'Endtime Poetry', nove brani apparentemente devoti ad un guizzante melo death che si lascia ben ascoltare per la sua forte vena creativa. Lo si capisce nel brillante prologo di "Vanishing Woods", un pezzo che mette ben in evidenza tutte le peculiarità dell'act germanico in termini di gusto melodico, cambi di tempo, esplosività, preparazione tecnica e quant'altro, a delineare una prova già di per sè matura e che diventerà via via più convincente nel corso dell'ascolto del disco, dove molteplici altre influenze emergeranno infatti dai solchi di 'Endtime Poetry'. Parlavamo inizialmente di un death melodico, ma in realtà ascoltando "Under the Weeping Willow", potrei accostare la proposta degli Halls of Oblivion all'epicità dei Windir, in un'essenza peraltro davvero ispirata lungo i quasi nove minuti del brano, che mi farà gridare al miracolo più volte. La lunga chiusura semi-acustica del pezzo testimonia poi quanto stia scrivendo sulle capacità intrinseche della band. Nel frattempo mi avvio all'ascolto di "Last Glance Of The Sun". Questo è un brano ricco di groove, carico di melodie che si muove lungo un mid-tempo sognante e rilassato che vede qualche impennata chitarristica e poco altro ma che si lascia ben ascoltare, forte appunto di melodie orecchiabili, clean vocals, ottimi assoli e momenti atmosferici, vicini al gothic dei primi Crematory. "The Servant" prosegue lungo questo binario, premendo poco di più sull'acceleratore, ma preservando le caratteristiche melo-dinamiche della band germanica, dando grande spazio alla componente percussiva e dove a tener banco, rimane la chitarra solista e il growling aspro, visti i continui sconfinamenti nello screaming, del frontman. A me gli Halls of Oblivion francamente piacciono, avendomi catturato con le melodie delle loro chitarre, quell'alternanza frenetica tra pezzi che ammiccano al black metal con altri ben più ragionati e ruffiani, per quanto questa parola abbia qui una valenza totalmente diversa dal suo reale significato, ma con la quale voglio giustificare le melodie più soffuse di un brano come "A Poem of the End", un pezzo vario, più compassato ma davvero azzeccato. Cosi come l'intro patinato, tra acustica ed elettrica, di "Walking Dead" che sembra quasi presa in prestito dagli Amorphis, e che vede il vocalist nuovamente in versione pulita a fare da contraltare al suo più arcigno modo di cantare, in un brano che sembra risentire ancora una volta di quel gothic sound che rese grandi band come i già citati Crematory, Darkseed e in qualche modo gli Atrocity, e che richiama al "Sehnsucht" dello spirito romantico tedesco e a quello stato d'animo legato allo struggimento interiore. Ecco quello che sento (a tratti) nelle note di 'Endtime Poetry' (e penso anche a qualcosa di "A World Falling Apart"), questo perchè poi di sovente, la band cambia registro e ci lancia in pezzi più tirati (ad esempio nelle incendiarie "The Final Regret" e "The Hypocrite", che strizzano l'occhiolino maggiormente al sound svedese dei primi In Flames), uno status nel quale i nostri sembrano trovarsi molto a proprio agio, ma che a mio avviso li spersonalizza un pochino. Per il momento 'Endtime Poetry' a me sembra un ottimo biglietto da visita ove l'invito dell'ascolto deve essere un must per molti. (Francesco Scarci)

Brouillard - S/t

#PER CHI AMA: Depressive Black, Darkspace
Il factotum Brouillard l'avevamo menzionato in occasione dell'uscita di 'Loin Des Hommes' dei J'ai si Froid..., una transitoria distrazione dalla sua band principale. L'artista transalpino torna con un nuovo lavoro intitolato semplicemente come i precedenti tre, ossia 'Brouillard' (il cui significato sta per nebbia). Quattro pezzi intitolati banalmente "Brouillard", giusto per non creare eccessiva confusione anche con tutti i brani precedentemente prodotti e non lasciare il povero ascoltatore in preda ad eventuali dubbi sul ricordare un titolo o un altro della discografia della one-man-band francese, tutto semplice, tutto estremamente spersonalizzato, o forse eccessivamente personalizzato? Mah, ai posteri... Fatto sta che mi lancio all'ascolto del quarto disco dell'eccentrico musicista d'oltralpe e quello che mi trovo tra le mani è fondamentalmente un'altra visione depressive del misterioso mastermind di quest'oggi che rimanda in modo inequivocabile alle precedenti release dello stesso, cosi come pure al suo side-project. E allora le domandi sono molteplici: perchè avere due progetti distinti se poi i generi proposti confluiscono verso un comune depressive black? Ebbene, una risposta certa non so darvela, posso solo dire che gli oltre cinquanta minuti qui contenuti, contengono melodie e ritmiche che sono accostabili a quelle dei J'ai si Froid... o forse è vero il contrario, non lo so. Aspettatevi pertanto quel black fumoso, a tratti atmosferico già descritto nella precedente recensione, con suoni che variano dal marziale al depressive melancolico, scrutando infiniti desolanti, sorretti da piacevoli parti arpeggiate che placano l'irruenza malefica generata dai diabolici vocalizzi del frontman. A differenza del side project però, posso dire che mi sembra di captare una miglior produzione alla consolle, cosi come pure una minor sporcizia in fatto di lavoro alla batteria. Per il resto, gli ingredienti che trovai nel progetto parallelo di Mr. Brouillard, li ritrovo tutti anche in questo nuovo enigmatico capitolo della saga 'Brouillard' sebbene qui meglio curati: e allora adagiatevi su lunghissimi brani (dagli 8.45 dell'opener ai 17 minuti della song di chiusura), dilatate fughe strumentali in tremolo picking, break acustici, assalti black, arcigne grim vocals, parti di derivazione burzumiana (penso al terzo ed oscuro capitolo), epiche e bombastiche percussioni folkloriche (a metà della seconda traccia, la mia preferita), ammiccamenti vari ai Darkspace in quelle partiture cosmiche dai tratti minimalistico-glaciali che in tutta franchezza, mi sono ritrovato alla fine ad amare. E cosi, da un album che avevo ingiustamente etichettato come mero clone di se stesso, mi rendo conto che Brouillard in questo lavoro riesce ad esprimere molto di più di se stesso, delle sue inquietudini, della sua solitudine, delle sue paure, convogliando il tutto in questi fottutissimi 53 minuti di incubi spettrali. (Francesco Scarci)

The Pit Tips

Francesco Scarci

Fleshgod Apocalypse - Veleno
Advent Sorrow - Kali Yuga Crown
Ultar - Pantheon MMXIX

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Shadowsofthesun

Bull Of Apis Bull Of Bronze - Offerings of Flesh and Gold
Raein - Ogni Nuovo Inizio
C r o w n - Natron

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Alain González Artola

False - Portent
Old Forest - Black Forests of Eternal Doom
Ashbringer - Absolution

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Five_Nails
 

Exhumation - Seas of Eternal Silence
Feradur - Epimetheus
Wormed - Metaportal

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Dominik

Sworn - Dark Stars and Eternity
Acathexis - S/t
Rykers - The Beginning......Doesn’t Know the End

giovedì 25 luglio 2019

Seine - 22

#PER CHI AMA: Experimental Rock, The Mars Volta
Un nome inusuale per un disco, '22' è una cifra che in numerologia pitagorica identifica l’archetipo del creatore, l’attitudine alla creatività e all’innovazione. Di creatività in quest’album ne abbiamo da vendere, una miscela esplosiva di shoegaze, electro pop e trip hop di stampo decisamente atmosferico ma con una base di follia quasi schizofrenica a ricordarmi band come i Deerhoof e i Ponytail. "Novče" con la sua chitarra rock e la sua voce stralunata ai limiti dell’intonazione, descrive un paesaggio squilibrato e assurdo, mi vengono in mente immagini a cartoni animati coloratissimi, come quando si deve rappresentare il trip lisergico di qualche personaggio. Tra nuvole rosa, elefanti verdi e arcobaleni che escono dai cespugli semoventi i Seine tracciano un percorso squisitamente personale, a volte forse troppo esagerato nella bizzarria sonora, ma sempre unico e originale. Interessante "Pitaju", uno dei pochi pezzi con una evidente vena malinconica, dimostrazione di come anche solo con una chitarra e voce si possa essere davvero stravaganti. Fiore all’occhiello di '22' è sicuramente l’attenzione alla ritmica oltre che all’atmosfera altamente inusuale ed eccentrica, il pezzo che lo dimostra meglio secondo me è "Borovnica", il mio pezzo preferito del disco, che si costruisce su una sola nota ostinata seguita da una ritmica ansiotica, claudicante e stordita ma allo stesso tempo molto complessa e dettagliata a ricordare, prendetelo con le pinze, i The Mars Volta e i Flaming Lips. Una prova sicuramente lodevole per il coraggio e per l’originalità, anche se non riesco proprio a capire se sia davvero efficace la scelta dei Seine, in quanto a volte l'eccessiva eccentricità rischia di sfociare nella strampalatezza, con il filo mai del tutto chiaro. Tuttavia in '22' si sente che la volontà è esattamente quella di rendere questa musica, gli arrangiamenti, il songwriting e il concept artistico il risultato di una ricerca e nulla, e che, per quanto strambo e strano sia, sia stato conseguito per caso. (Matteo Baldi)

(Moonlee Records - 2019)
Voto: 69

https://seine.bandcamp.com/album/22

Pando - Negligible Senescence

#FOR FANS OF: Dark/Industrial/Black
'Negligible Senescence' is the 2016 debut release from Industrial Alternative Progressive Rock outfit Pando, recently re-released by Aesthetic Death. On the opening track "Residue", the first strum of the guitar sounds like 1997's "Kiss The Rain" by Billie Myers but doesn't continue as so, leading into a mariachi riff with borderline satanic growling vocals which seem out of place (a common theme throughout the first half the album). Following on from the opener is "Runt", which leads with a funky Rock n Roll riff that the Black Keys would be proud of, however, the vocals again seem like they are disjointed from the music. "Trek Through Utah Desert" has a pleasant sound (in comparison), but throughout the album, there is the inclusion of voice and sound samples that are a mostly meaningless contribution to the sound serving only to elongate the track times in an attempt to make the music seem progressive. Midway into the album, the sound transitions into Industrial Doom Rock, and for the first time the vocal style actually complements the sound. "Allisandrina" is one of the calmer moments of the album, making you feel as if you are stranded at sea whilst your deck hand is uneasily serenading you because of the lack of fish you have caught. The closing track "Ohm" is uninspired atmospheric tosh, that makes you feel like you're sitting in a damp cave, which I'm sorry to say is where this album belongs. Overall, it seems Pando had a bold idea to deliver an album (as the album name suggests) that has no signs of ageing as time goes on, however it fails in it's pursuit, leaving you with a disjointed feeling of dissatisfaction. (Stuart Barber)