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lunedì 8 aprile 2019

Humanity Zero - Proseliytism

#PER CHI AMA: Death Doom
Nati nel 2003 come death one-man-band dalla mente di Dimon's Night, i greci Humanity Zero hanno trovato solo nel 2018 nelle vocals di Kydoimos, l'ideale sparring partner del primigenio mastermind per offrire un concentrato di death doom, in quello che è addirittura il quinto album della band ateniese, il cui presente 'Proseliytism'. Quello che balza subito all'orecchio, oltre alla proposta tipicamente death doom, è forse il cantato del frontman, che sembra eruttare il proprio growling attraverso un tubo, per un risultato alla fine un po' ostico da accettare. Ascoltando l'opener, "Celebrating the Opener of the Way", quello che sembra emergere è il carattere cerimoniale delle keys che suonano pompose in una sorta di orgia ecclesiastica, mentre le chitarre, proveniendo dal territorio ellenico, risentono in un qualche modo della loro origine, relegando le influenze di My Dying Bride e soci in secondo piano, anche se l'influsso di quest'ultimi emergerà subito nella ritmica in apertura di "Ruler of the Ultimate Void of Chaos", per un risultato un po' troppo statico e privo di colpi di scena. Francamente non amo apparire come la Santa Inquisizione ma devo ammettere che la proposta del duo greco non mi scalda proprio l'anima come dovrebbe invece fare questo genere. Faticano e non poco infatti  i nostri ad uscire dalla visione stantia, cupa e desolata di simili sonorità. Vi dirò che la scarsa armonia di fondo poi mi fa sbadigliare non poco durante l'ascolto del disco, auspico che ci sia qualcosa che possa risollevare le sorti di un lavoro ahimè già destinato al plotone di esecuzione. "The Slumbering One", la militaresca "The God of the Bloody Tongue" (che vanta un break molto ma molto simile ai My Dying Bride, manca solo la voce sofferente di Aaron) fino a giungere alla conclusiva e drammatica "Dark Angel of the Four Wings", sono onesti pezzi di death doom che risentono parecchio, nella loro scarsa fluidità musicale, del retaggio tipicamente death di Dimon's Night (il che si evince anche da un artwork decisamente votato ad elementi del death metal). Non sono sufficienti quelle onnipresenti tastierone ad alleggerire un risultato che fatica ad aver presa o risultare in qualche modo originale. Sembra di rituffarsi indietro nel tempo di quasi trent'anni, unire il vecchio umore di 'As the Flower Withers' con la pesantezza di 'Serenades' degli Anathema, per un risultato a dir poco obsoleto e che ahimè non riscuote in alcun modo i miei favori. Spiace sempre segare un album, ma in questo caso vuole essere uno sprono a fare meglio in futuro, alla ricerca di una maggiore identità sonora, per regalare davvero qualcosa di più a chi si ciba di simili suoni, sottoscritto compreso. (Francesco Scarci)

Finis Omnivm - Cercle

#PER CHI AMA: Crust Black, Nux Vomica
I Finis Omnivm hanno un retaggio grind crust e si avverte in 'Cercle', EP ed opera prima della band francese. Si chiamavano infatti Faxe poco meno di una decina di anni fa quando quella era la loro proposta. Quel bagaglio musicale, sebbene i molteplici cambi di line-up, è rimasto intatto e crudo nel loro DNA e ancora ammanta il loro sound, sebbene l'iniziale "The Womb" ci conduca in anfratti oscuri di un tenebroso post-hardcore dalle forti tinte malinconiche. Non fatevi fuorviare perchè da li a poco, la musica dei nostri incendierà l'aria con paurose accelerazioni crust-black e rallentamenti dal sapore quasi doom. Quello che meglio tocca le mie corde è la bravura del quartetto parigino negli avamposti musical-emozionali con dei frangenti che trasudano veramente un senso di disagio. Lo stesso che irrompe nella ritmicità marziale di "The Great Destroyer", la song che più delle altre, nella parte centrale, evidenzia proprio le passate influenze dei Finis Omnivm, con le classiche cavalcate crust-grind-black-punk e le urla sguaiate figlie di un genere che non ha mai mollato nonostante le mille mode che sono succedute. E allora che ne dite di abbandonarvi anche voi alle furiose accelerazioni dei quattro musicisti transalpini, sudare quel tanto necessario, prima di arrendervi alle suggestioni sludge che si palesano nel finale della seconda traccia, che peraltro mi ha evocato un che degli ultimi Entombed A.D. Che i nostri non siano dei pivellini è chiaro dalla loro padronanza strumentale, che si palesa fin dall'opening track, di grande livello. La terza è ultima song, "The Empty Gem", completa con i suoi quasi 15 minuti, il quadro musicale dei nostri con un approccio tribale, in cui le grim vocals, accompagnate da basso, batteria e chitarra, ci avvolgono in una spirale sonora stritolante, prima di irrompere nuovamente in un abrasivo crust-punk dal sapore novantiano, pregno di paurose accelerazioni black e di rarefatti momenti fangosi, due caratteristiche che chiamano in causa i Downfall of Gaia, giusto per darvi un ulteriore punto di riferimento, se volete capire qualcosa di più dei Finis Omnivm e di questo 'Cercle', un corrosivo manifesto sonico degno delle migliori realtà crust degli anni '90, là dove ebbe origine il tutto. (Francesco Scarci)

Harmdaud - Skärvor

#PER CHI AMA: Epic Black/Viking/Death, Windir
Dalla piccola cittadina di Skellefteå, ecco arrivare il progetto di Andreas Stenlund, gli Harmdaud, di cui lui è mente ed esecutore unico. 'Skärvor' è il secondo album (dopo 'Blinda Dödens Barn' del 2017) per il factotum svedese, uno che tanto per dire, è stato il chitarrista live di Vintersorg, elemento questo da tenere a mente. Ma andiamo con ordine e prima cosa, lasciamoci sopraffare dall'opener "Kraft", una traccia spettacolare di black epico dai tratti sinfonici che ha da regalare splendide melodie e dirompenti inni, omaggio ai guerrieri vichinghi. Il riffing prosegue compatto in "Stöpt", mantenendo intatta la matrice viking che alla fine ammanterà l'intero lavoro. Ciò che verosimilmente cambia tra una traccia e l'altra è l'approccio chitarristico, a metà strada tra black e death. In questa seconda song ci sento un che dei Windir, anche se le chitarre sono qui meno taglienti rispetto ai colleghi norvegesi. La voce poi è più votata al growling tipico del death metal piuttosto che allo screaming efferato del black, questo per dire che la proposta del mastermind viaggia in bilico tra i due generi, senza che uno prevalga alla fine sull'altro. In "Bränt Till Grund", un'infuocata traccia nera come la notte, ecco affiancarsi al cantato ringhiato di Andreas il buon Vintersorg alla voce (che ritornerà anche nella movimentata "Sprickorna I Verkligheten"), con la sua inconfondibile timbrica epica e pulita, con la song che vive di continui cambi di ritmo in un incedere a tratti selvaggio. La title track ha un intro che esula da death o black, sembra quasi di derivazione sperimentale, alla Devin Townsend per intenderci. Però quando le vocals demoniache di Andreas fanno la loro comparsa, il riffing si fa più serrato, anche se non è proprio da ascrivere al metal estremo, ha un'origine più classica e comunque fuori dall'ordinario, a sottolineare la maturità artistica del factotum svedese. "Koloss" è un pezzo thrash death, sembra quasi che il cantato di Andreas poggi sulla ritmica degli Over Kill, giusto per spiegarvi la mia incredulità nell'ascoltare un brano che ha tempo anche di ammiccare agli Old Man's Child e di rallentare vertiginosamente in un break dal forte sapore doom. Ancora una volta, il risultato è positivissimo, al di sopra della media, per cui non ci resta che godere appieno della bravura del musicista nordico. Ancora viking sound questa volta vicino agli Amon Amarth (ma con un tocco alla Rotting Christ), in "Natten Oss Genomströmmar", ove Andreas tenta, ma non vi riesce appieno, di proporre un cantato vicino a quello del suo illustre ospite Vintersorg. "Näven Kring Min Hals" parte decisamente più tranquilla, prima di esplodere nell'ultimo giro di chitarre e growling possenti, in cui la melodia la fa comunque da padrona anche nel break centrale che prepara allo scoppiettante finale, dove alla voce di Andreas, si affianca il ruggito delle chitarre. Per quanto mi riguarda, 'Skärvor' necessita solo di un paio di consigli finali: aggiungere un batterista in carne e ossa e migliorare la grafica della artwork di copertina. Per il resto, una sorpresa totalmente inaspettata: ottimamente prodotto (anche qui grazie allo zampino del buon Vintersorg), ben pensato ma soprattutto ben suonato, gli Harmdaud hanno tutte le carte in regola per far ancora meglio in un immediato futuro. (Francesco Scarci)

(Art Gates Records - 2019)
Voto: 78

https://harmdaud.bandcamp.com/releases

sabato 6 aprile 2019

Sundead - Ashes

#PER CHI AMA: Symph Death, primi Dismal Euphony
Credo che la scena tedesca sia, al pari di quella francese, quella che ha da offrire, in termini di quantità, ma non ancora di qualità, più band in Europa. Gli ultimi giunti sulla mia scrivania sono i Sundead, quartetto proveniente dalla cittadina di Ludwigsburg che con 'Ashes' giungono al loro debutto, dopo che la band si era formata nel 2014. Un lungo periodo di gestazione per produrre questo lavoro interessante che mette in luce le importanti qualità dei nostri in ambito black death melodico. Nove pezzi, ma in realtà abbiamo un'intro e un'outro, per spiegarci la loro visione del metal estremo, e devo ammettere che non è affatto male. Si perchè quando "Reduced to Ashes" irrompe nel mio stereo, la stanza viene invasa dal suono imponente dei quattro musicisti teutonici, che offrono un po' gli ingredienti tipici del genere con feroci sgaloppate melodiche, inserti progressive, growling (e di rado qualche screaming) vocals e parti atmosferiche che mi hanno rievocato un po' i tempi d'oro del genere in Scandinavia, con band del calibro di Siebenburgen o Dismal Euphony, due realtà con i quali i Sundead potrebbero tranquillamente condividere il palco. La vena sinfonica dei nostri emerge anche nell'incipit devastante di "Unwatered", song iper tirata, ma al contempo che include un po' tutti gli elementi del black sinfonico, voci femminili comprese, in una spettrale (brava la tastierista Ashima) cavalcata davvero da applausi. "Into Black Horizons" è un altro bel pezzo che combina in modo armonico, graffianti riff di matrice classica con un tocco sinfonico, qui a tratti anche malinconico, grazie all'uso del tremolo picking che in taluni momenti si sostituisce all'arrembante ritmica creata dall'ensemble. Il risultato è davvero avvincente ed esplosivo, anche laddove il clima si preannuncia più tranquillo (ma solo nella prima e nell'ultima parte) come accade in "The Vault", un'altra piccola perla in grado di combinare estremismi sonori di scuola svedese con una componente solistica da urlo che invece apre le porte ai classici dell'heavy metal. "Solar Winter" suona molto fresca, sebbene le chitarre in tremolo picking, disegnino panorami sonici contraddistinti da un delicato mood malinconico in cui ho come la sensazione di scorgere in sottofondo il suono di un violino che aumenta l'efficacia della proposta della band germanica. Ci si avvia verso il finale, ma un paio di interessante guizzi i Sundead hanno ancora modo di regalarli: "Kali Yuga" è un mid-tempo emotivamente assai potente tra saliscendi ritmici notevoli (un plauso complessivo va al batterista Tomasz "Nefastus" Helberg, uno che ha suonato con Debauchery e Belphegor, tanto per citarne un paio). In "Patient Zero" i nostri confermano la loro verve autunnale, sostenuti sempre da una produzione cristallina che enfatizza la potenza strumentale dell'act tedesco soprattutto nella cavalcata conclusiva che chiude il brano, prima dell'ipnotica chiusura ambient di "Remember the Future". Insomma 'Ashes' è un buon biglietto da visita per i Sundead, per cui auspico fortemente un ascolto della loro proposta. Sono quasi certo che potranno far parte delle nuove leve future nel riscoperto ambito del death sinfonico. (Francesco Scarci)

venerdì 5 aprile 2019

Agos - Aonian Invocation

#PER CHI AMA: Death/Black, Bolt Thrower
Dalla Grecia è in arrivo la one-man-band degli Agos, una compagine che vede come suo unico interprete il leader dei Virus of Koch, Van Gimot peraltro ex membro di un'altra manciata di gruppi tra cui gli Acherontas. Direi subito che la precedente appartenenza di Van Gimot nelle succitate band si sente nelle note di questo 'Aonian Invocation', un lavoro di occult black metal che evidenzia l'adesione degli Agos alla scena ellenica. Quindi potrete facilmente immaginare come si traduca in musica la proposta del nostro factotum, che già dall'apertura affidata a "Through the Strait of Messina" (interessante la componente mitologica a livello lirico), si lancia in un black/death mid-tempo dalle tinte oscure ma cariche di quel groove tipico del suono ellenico che unisce aperture melodiche con una solida epicità di fondo, vero trademark della scena. Facile pertanto farsi conquistare dal suono potente, a tratti tribale (la parte centrale di "Mardyakhor" è davvero coinvolgente, cosi come pure la spettrale intro della musa incantantrice di "Trojan Desolation", ove si narra il conflitto tra achei e troiani, in una robusta traccia che mostra tuttavia qualche contorno musicale legato alla matrice mediorientale), rituale ("Devourer of Men" la mia traccia preferita, anche la più lunga del disco con i suoi quasi nove minuti, in cui sottolinerei ancora la potenza del musicista ellenico, con tanto di blast beat e killer riff, messa a servizio nella melodia in una traccia che potrebbe stare su un qualsiasi disco dei Nile) ed etnica ("Glorious Return" ne è l'emblema assoluto con i suoi strumenti tipicamente arabeggianti e la comparsa alla voce di una gentil donzella) offerto dal mastermind ateniese. Insomma 'Aonian Invocation', pur non inventando nulla di originale, regala quasi tre quarti d'ora di musica potente, melodica e coinvolgente che farà la gioia di tutti gli amanti di sonorità estreme, permeate comunque da una buona dose di melodia. (Francesco Scarci)

(Satanath/Deathhammer Records/Heathen Tribes - 2018)
Voto: 74

https://virusofkoch.bandcamp.com/album/aonian-invocation

Norvhar - Kaunas

#PER CHI AMA: Epic/Folk, Ensiferum
Attivi solamente dal 2018, la formazione degli svizzeri Norvhar ci porta in realtà indietro nel tempo al 2005, quando si sono formati col nome di Harmoniks. Le solite beghe interne, lo scioglimento, il silenzio, la reunion e il cambio di moniker, ci hanno condotto fino all'uscita di questo 'Kaunas', avvenuta a febbraio di quest'anno con il rilascio di un bel digipack che include sette tracce di folk metal. Il disco apre con "From Fire..." ed una voce cinematografica che dà il benvenuto con "Good evening, traveller... Come here, come. Don't be afraid. Sit, share my fire, drink my beer... I have a story to share, it must be passed on before I leave. So, sit my friend, and listen..." Ad aprire le danze vere e proprie entrano in gioco i due singoli che avevano anticipato l'uscita di questo cd, "Fest in Midgard" a inizio di quest'anno e "Of Stone, Gold and Blood" uscita a novembre 2018. Un tripudio di suoni folk, a trascinarci nella grande festa pagana dei Norvhar, con epici cori, belle melodie di scuola finnica (penso a Ensiferum e Finntroll in primis) e grandi bevute di birra. Il folk del sestetto di Losanna scivola via che è un piacere anche nella terza song tra melodie folkloriche della tradizione nordica e racconti di un tempo andato, narrati dalle growling vocals del bravo Matt Favrr (responsabile peraltro anche del flauto) e tutta una serie di strumenti alternativi, come lo scacciapensieri e le cornamusa. Il riffing in tutto questo è bello corposo, sorretto da una produzione scintillante, poi spazio ad ottime porzioni solistiche e tanto tanto divertimento. Come quello che introduce "Mystic Forest", una melodia che sembra evocare la Pantera Rosa e ci racconta invece di luoghi mistici ove albergano pace e gioia, pura utopia per i nostri giorni. E allora meglio immergersi nella musica senza tempo dei Norvhar e cantare con loro a squarciagola "Drink, sleep, pray! This is your daily work" nel santuario fatto di magia e antiche leggende, in cui serpeggia il suono di un flauto a rendere il tutto più magico. È musica che trasmette energia, spensieratezza, allegria, il che non guasta affatto, anche nella più cupa "Goblins' Outpost" che descrive appunto come in un mondo pieno di guerra e odio, vivesse in una foresta una potente tribù di goblin. Quante analogie mostra il nostro oggi col mondo fantastico descritto dai Norvhar, ma soprattutto quante storie narrate dai sei svizzeri che trovano punto di contatto con la narrativa di J.R.R. Tolkien. Se devo segnalarvi il mio brano preferito, vi direi "Fields of Fate", la song più lunga (oltre 10 minuti) ma anche la più selvaggia del disco con punte di epico black sinfonico, sgaloppate iper veloci in stile Children of Bodom, un growling davvero furioso, parti arpeggiate, cambi di tempo da urlo, una discreta vena prog di scuola Opeth e una più preponderante matrice folk, e i giochi sono fatti per garantire la top song del cd che ha ancora tempo per chiudere con quella stessa voce narrante che aveva introdotto il disco, nella conclusiva "...to Ashes", e darci l'arrivederci alle prossime avventure targate Norvhar. (Francesco Scarci)

(Self - 2019)
Voto: 76

https://norvhar.bandcamp.com/

giovedì 4 aprile 2019

Ringarë - Under Pale Moon

#FOR FANS OF: Symph Black, Emperor, Limbonic Art
'Under Pale Moon' is the debut album by the new project Ringarë. Have I said new? Well, in fact it’s not by any means a new project. Ringarë is created as a continuation of the long time inactive band Ringar, which was founded in 2004 by Esoterica and Anomalous in Nashville, USA. The duo recorded tons of material for the first effort, which was never released. Some of those compositions were used for Chaos Moon, a side project of Esoterica, while many other creations where laid in rest in shadows. Fortunately, the obscure creature that Ringar was, evolved and resurrected under a new moniker, Ringarë, now with a new member known as Likpredikaren, who takes the duties of the vocals. The reinvigorated duo took those old creations and some new ones and started to record the never born debut album. After months of work and courtesy of the underground label Iron Bonehead Records, 2019 is the year when we can finally taste what the musical vision of those members have to offer. But don´t be fooled by the calendar, once you start listening to 'Under Pale Moon' you begin a time travel back to the '90s.

'Under Pale Moon' could have easily been released alongside classic works like Emperor´s debut, Dimmu Borgir´s 'Stormblast' or Limbonic Art´s imperial debut 'Moon in the Scorpio'. As you can imagine, based on the aforementioned influences, Ringarë’s core sound is a undoubtedly synth-drenched black metal with the distinctive raw production of those old creations. But this first opus has perhaps a more drowning and underground sound, which perfectly fits the monumental and long four creations which conform this impressive debut. The keys are perfectly audible, but they have the necessary subtle nuance not to be overpresented while they are accompanied by the guitars, screams and drums. Anyway, there are moments where the synths have their own moment to shine between the vast darkness, like it happens in several moments of the album. Just listen to the immersive experience that the closing track “Through Forest and Fog” is, where those keys transport you to an ancient castle in a distant realm. This truly hypnotizing and spectral section is also accompanied by some fuzzy guitars, which add a tasteful touch of rawness but without destroying the ethereal and mystic experience. Ringarë surely knows how to mix ferocious sections where the guitars play a major role, while Likpredikaren’s classic yet excellently executed shrieks give us goosebumps, and calmer parts, where the mighty keys have always a distinguishable and excellent melody, which make those memorable tracks even better. All the compositions flow between these aforementioned different sides of Ringarë’s sound with a tasteful naturalness. This aspect makes clear that both members have a remarkable talent to create very well composed songs, which is obviously essential to create a ripping work.

The most obvious conclusion with Ringarë´s debut 'Under Pale Moon' is that the wait was worth of it. This is an excellent debut with purely dark yet truly beautiful and majestic compositions, where the keys play an essential role. Anyway, the compositions themselves are excellent with the classic raw and hypnotic aura of the '90s, which I always welcome. (Alain González Artola)
 
(Iron Bonehead Records - 2019)
Score: 88

Monarch - Sabbat Noir

#PER CHI AMA: Sludge/Drone
Se qualcuno (come il sottoscritto) si era perso 'Sabbat Noir', quinto album del 2010 dei francesi Monarch, andato sold-out, niente paura, ci ha pensato la Zanjeer Zani Productions (in collaborazione con la Necrocosm) a restituirgli vita e dignità. I Monarch (per cui non è raro vedere il loro moniker scritto anche un ! alla fine) sono una band sludge doom drone francese che francamente non conoscevo, nata dalle parti di Bayonne e responsabile del rilascio di ben otto album e ben nove, tra split, compilation ed EP. Non male come biglietto da visita. E per chi vuole sapere cosa realmente si sia perso da questo 'Sabbat Noir', mi verrebbe da citare le parole del sommo poeta e dirvi "lasciate ogni speranza o voi che entrate". Il disco è un'unica traccia di 29 minuti (ma suddivisa in due parti) di dronico sludge che rievoca proprio la discesa agli Inferi del buon Dante in compagnia del fido compagno Virgilio. Perchè questa similitudine? Presto detto: a parte il riffing ultra mega ribassato e in slow-motion del folle quintetto transalpino (che nelle sue fila vede peraltro un membro dei Year of No Light), anche una serie di voci, sussurri e addirittura ululati, che sembrano proprio rievocare le grida dei dannati nei vari gironi danteschi. Bene, tutto chiaro no? La prima raccomandazione è di starvene alla larga se non siete proprio dei fan del genere, rischiereste di venire asfaltati o peggio risucchiati dalla provocante ed alterata proposta della band. Se poi siete dei curiosoni e poco timorati di Dio, prego fatevi avanti e lasciatevi condurre nelle viscere della Terra per farvi disturbare il cervello con simili sonorità (io, dopo la recensione non mi sono ancora ripreso). Se invece amate il genere o siete dei temerari, beh lor signoria si faccia avanti, si goda il sound asfittico e a rallentatore dei Monarch!, soprattutto nella seconda parte, dove i nostri esibiscono il meglio della propria torbida proposta dove accanto al pestilenziale buio della notte e alle grida lancinanti che ne rompono il silenzio catacombale, riesce addirittura a fare capolino una parvenza di apocalittiche melodie corrotte da Satana in persona. Paura ed orrore nelle vie dell'Inferno. (Francesco Scarci)

(Zanjeer Zani Productions/Necrocosm - 2019)
Voto: 72

https://necrocosm.bandcamp.com/album/sabbat-noir

Heaume Mortal - Solstices

#PER CHI AMA: Black Sperimentale
Sebbene uscito da pochi giorni per l'etichetta Les Acteurs de l'Ombre Productions, 'Solstices', atto primo dei parigini Heaume Mortal, include brani in verità scritti tra il 2011 e il 2014. L'espressione musicale della band guarda al versante black, il genere prediletto ormai dalla label francese, come punto di riferimento per i nostri. L'ensemble, che peraltro include membri di Eibon e Cowards, due realtà che abbiamo già avuto modo di recensire su queste pagine, offre il classico sound dissonante, divenuto quasi marchio di fabbrica per la scena estrema transalpina. Lasciatevi investire quindi dalla furia sbilenca dell'opener "Yesteryears", una lunga suite di oltre 13 minuti che nel suo corso vedrà la compagine cedere anche a spartiti post-rock e sludge. Con questa verve cosi eterogenea, la proposta degli Heaume Mortal non si rivela affatto male, soprattutto perché i tre musicisti riescono a coniugare con una certa maturità (ma l'avevo detto che non sono gli ultimi arrivati), il post-black con sonorità più melmose, il tutto sorretto da voci al vetriolo. Forti di una produzione potente che esalta il suono di ogni strumento, la band ci dà in pasto alle proprie visioni destabilizzanti: strana a tal proposito la scelta di avere una song breve ma ficcante come "South of No North", due minuti in cui anche sonorità industriali sembrano convogliare nella musica degli Heaume Mortal. Ma che il sound dei nostri sia particolare, lo si deduce soprattutto da "Oldborn", una traccia che mostra il lato più deviato del trio, con reminiscenze avanguardistiche che riconducono ai Ved Buens Ende, grim vocals che sembrano ispirarsi ad Attila Csihar, momenti noise che probabilmente derivano dall'esperienza nei Cowards di vocalist e chitarrista. L'impianto ritmico è quello tipico del post metal, con dei lenti riffoni stratificati che addensano un sound già di per sé iper-saturo; e a chiudere, ecco un discreto assolo in tremolo picking. A metà disco una sorpresa, la sofferente ed ipnotica cover "Erblicket die Tochter des Firmament" dei Burzum, estratta dal controverso 'Filosofem', a raccontarci qualcosa in più in fatto di influenze della band; io ne avrei fatto volentieri a meno. Meglio invece quando la spettrale "Tongueless (Part III)" inizia a risuonare nelle mie cuffie, con il suo incedere imponente a metà strada tra Void of Silence e Cult of Luna, spruzzati di un forte alone black, a rappresentare probabilmente l'apice musicale di questo 'Solstices', che almeno per il sottoscritto finisce qui. L'ultima strumentale "Mestreguiral" ha qualche analogia con "Tomhet" di Burzum: ricordate quel brano elettronico, ipnotico e alla lunga noioso, che chiudeva 'Hvis Lyset Tar Oss'? Ecco, il paragone credo che sia quanto mai azzeccato, e come nel capolavoro del Count Grishnákh, forse si poteva ridurre di gran lunga la durata, se non addirittura farne a meno. Diverse luci e qualche ombra per il debutto degli Heaume Mortal quindi, un ascolto però è quanto mai dovuto. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2019)
Voto: 74

https://ladlo.bandcamp.com/album/solstices