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domenica 9 settembre 2018

Mass Disorder - Conflagration

#PER CHI AMA: Thrash/Death, Testament, Sepultura
Se penso al distretto di Setubal in Portogallo, mi viene in mente automaticamente José Mourinho. Oggi scopro che da quelle lande, dalla città di Almada in particolare, arrivano questi Mass Disorder con quello che è il loro full length d'esordio. 'Conflagration' segue a distanza di quattro anni l'EP di debutto dei nostri, ' The Way to Our End', proponendo ed implementando un sound all'insegna di thrash e death metal. "Arson" ha l'onore di preparare l'ascoltatore all'assalto sonoro del quartetto lusitano, che vede tra le proprie fila un paio di ex membri dei New Born Chaos. "Rats" esplode nel mio stereo con la sua miscela iper-tonica a base di thrash metal di scuola Bay Area. Mi sovvengono infatti i Testament di 'The Legacy', con quella loro carica di ferocia accompagnata da una discreta dose di groove, tiratissime ritmiche, ma soprattutto ottimi assoli che negli ululati delle chitarre, arrivano addirittura ad eccheggiare gli Slayer di 'Raining in Blood'. Sicuramente nulla di nuovo sotto il sole, ma sapete che la forza dirompente di questo gruppo, unita ad una certa nostalgia per quei suoni passati, mi ha fatto trascorrere piacevolmente l'ora spesa all'ascolto di questo 'Conflagration'. Si, perchè anche il thrash urticante di "Modus Operandi" non è affatto male, soprattutto quando a deflagrare nelle casse c'è quell'alternanza tra i due axemen nel sciorinare splendidi assoli rigeneranti. La musica poi è la classica cavalcata che non trova soste, visto che s'infila subito in coda "Death Vow", con la voce di Bruno Evangelista ad emulare quella del ben più famoso collega americano, Chuck Billy e i due chitarristi, Nelson Carmo e Valter Aguiar, a dilettarsi in inseguimenti solistici da brividi. Peccato per un finale sfumato, avrebbe certamente meritato qualcosa più ad effetto, soprattutto perchè interrompe quel flusso sonoro che si era costruito con le prime quattro tracce. Probabilmente la scelta è legata al fatto che la voce di un qualche politico/dittatore (non sono riuscito a capire di chi si trattasse) apre "Violence", una song il cui chorus "Destroy, Invade, Erase, Violence" la dice lunga e aggiunge peraltro un'altra influenza ai nostri, ben più evidente qui, ossia i Sepultura di 'Arise'. E allora fatevi asfaltare anche voi dall'irruenza dei Mass Disorder, dalle rasoiate impartite nei solos, da quella furia ritmica sempre ben canalizzata. E ancora, immergetevi nel clima di "Vicious Circle", là dove sembra di trovarsi all'interno di una qasba dell'antico mondo arabo, prima che il rifferama compresso dei nostri si scateni in una song di ben nove minuti, fatto inusuale per il genere. Comunque il pregio dei Mass Disorder sta nel non annoiare mai, grazie e soprattutto al lavoro certosino alle sei corde, qui ancora una volta notevole. Le ultime due tracce sono affidate a "Premonition", in cui sottolinerei la buona performance vocale del frontman, sempre a proprio agio su questo genere di sonorità e le ottime melodie di fondo proposte dalla sezione solistica, vero punto vincente di questo disco;  ed infine "Illegal Ambition". Questa rutilante song sembra coprire quasi ben 19 minuti del disco affrontando ancora tematiche di guerra; in realtà una decina di minuti sono affidati a dialoghi che sembrano provenire direttamente dal video di "One" dei Metallica, mentre gli ultimi tre minuti sono affidati ad una sorta di ghost track che funge da compendio di tutto quanto ascoltato fino ad ora, ossia un mix tra Testament, Sepultura, Slayer e perchè no anche Megadeth, Metallica ed Exodus per quello che è un vero Clash of the Titans, formato 2018. Bravi. (Francesco Scarci)

(Ethereal Sound Works - 2018)
Voto: 75

https://www.facebook.com/massdisorderband

giovedì 6 settembre 2018

Frust - Elements

#PER CHI AMA: Atmospheric Black Metal
Peccato che l'EP d'esordio degli austriaci Frust duri solo poco più di quindici minuti, avrei voluto ascoltare qualcosa di più per capire maggiormente quest'artista. Si perchè trattasi di one-man-band originaria di Kremsmünster, capitanata da Mario Steiner, che propone un 4-track che tratta i quattro elementi della natura. Si parte con "Earth" e il canto litanico di una donna (forse la Madre Terra) a prendere la scena, prima dell'innesco della malinconica chitarra di Mario su cui poggia il cantato etereo ed evocativo di quella stessa donna, in un incedere compassato dai toni vagamente etnico-ritualistici. Inusuale, affascinante, soprattutto quell'aggiunta nel finale di chitarre più aggressive, solo un po' penalizzante la registrazione non troppo pulita. Comunque la proposta del factotum austriaco si rivela particolare nella sua interezza, anzi direi originale, soprattutto perchè nel secondo atto, "Air", si scatena un'ancestrale furia black all'interno di un contesto comunque melodico e violento al tempo stesso, in cui fanno la loro comparsa anche le grim vocals del mastermind austriaco. Con "Water" ho un deja-vu per l'eterea voce che può ricordare la brava e bella Myrkur; però in pochi secondi una cacofonica ritmica brutale ci assale e assume la guida del brano, prima che lasci posto a frangenti dal sapore più post-rock. Si insomma tanta carne al fuoco che rischia di destabilizzare (e non poco) l'ascoltatore, soprattutto perchè negli ultimi 90 secondi della terza canzone, c'è ancora spazio per quelle voci angeliche e lo stesso veemente uragano ritmico. A chiudere l'EP ecco "Fire", gli ultimi tre minuti scarsi di suoni e vocals belligeranti, un infuocato attacco black che prende le distanze dal resto dell'EP e si àncora alle radici della fiamma nera. Intriganti. (Francesco Scarci)

(Self - 2018)
Voto: 70

https://frust-at.bandcamp.com/

mercoledì 5 settembre 2018

Obsolete Theory - Mudness

#PER CHI AMA: Black/Doom, Septic Flesh
Il debut dei milanesi Obsolete Theory ha tutte le carte in regola per essere un album con i controcoglioni: dalla produzione a carico di Øystein G. Brun dei Borknagar all'artwork a cura di Jeff Grimal dei The Great Old Ones, il tutto sotto l'egida della nostra My Kingdom Music. Il risultato? Alquanto ambizioso, oserei dire. 'Mudness' consta di cinque tracce della durata media di 10 minuti che sapranno condurvi nei meandri black doom di questo sestetto milanese devoto a H.P. Lovecraft, e alle reltative atmosfere orrorifiche ed occulte. Il tutto è già certificato dall'opener "Salmodia III", un pezzo ritmato dalla produzione bombastica, dall'aura minacciosa che esplode solo a pochi metri dal traguardo. Prima assistiamo ad una preparazione con atmosfere decadenti in cui si fa notare l'eclettica performance al microfono di Daevil Wolfblood, ma la musica francamente stenta a decollare. Ci riesce fortunatamente la seconda "Six Horses of Death" che irrompe con una bella melodia di fondo e poi di nuovo una ritmica quasi militaresca sulla quale si innescheranno raddoppi vocali, orecchiabili refrain di chitarra che rendono la proposta dei nostri decisamente accessibile, con rallentamenti in stile 'Shades of God' dei Paradise Lost. Death, black e doom s'incontrano nelle linee di chitarra di questa seconda traccia, avvalorando una proposta che sembra carburare sempre con estrema lentezza. Ma il diesel degli Obsolete Theory scalda i motori certamente in "Sirius' Blood", la quarta traccia, dove il flebile suono di un glockenspiel si scontra con un basso pulsante e la marzialità del drumming possente di Sa' Vaanth in una song spettrale, pregna di una certa orchestralità, ma anche di una violenza di fondo che prende il sopravvento attraverso ritmiche tiratissime e una performance vocale spiritata, con gli arrangiamenti in sottofondo che fanno certamente la differenza. Influenzati un po' dai Septic Flesh, irrobustiti da un tocco dei Behemoth e resi drammatici da quel pizzico di My Dying Bride che c'è nelle loro vene e l'affresco partorito dagli Obsolete Theory è delineato. Interessante in ultimo la sezione solistica del brano, ove le linee melodiche si sprecano e la song ne trae sommo giovamento candidandosi a miglior brano del lotto. Se la gioca infatti con "The God With the Crying Mask", brano lento e malefico, forse per la voce del frontman, qui ancor più maligna (e talvolta sussurrata e pulita) che poggia dapprima su un lento rifferama doom che esploderà da li a poco, in un serratissimo riffing black. Tra i brani, non ho ancora citato "Dawn Chant", il terzo episodio del disco che vede i toni compassati sposarsi con le vocals pulite del cantante in una traccia che ancora una volta, vede il brano crescere progressivamente a livello ritmico, imbastendo una notevole veemenza black death nella sua seconda metà. Alla fine 'Mudness' è un sicuramente un buon esordio, con i suoi punti di forza e di debolezza che dovranno essere inevitabilmente smussati col tempo. Per ora va bene cosi, ma dal futuro, mi aspetto molto ma molto di più, perchè i margini di miglioramento sembrano enormi. (Francesco Scarci)

(My Kingdom Music - 2018)
Voto: 75

https://obsoletetheoryband.bandcamp.com/releases

martedì 4 settembre 2018

Newspaperflyhunting - Wastelands

#PER CHI AMA: Psych/Prog/Post Rock
Ci ho impiegato un bel po' di tempo per approcciare i polacchi Newspaperflyhunting, non tanto musicalmente più che altro da un punto di vista vocale. 'Wastelands' è il loro terzo lavoro, un album di otto pezzi che ha provato in ogni modo a catturarmi con una proposta musicale a tratti stuzzicante che tuttavia mi ha fatto storcere il naso invece per la voce del loro frontman. Andiamo però con ordine: si parte con la breve "We Used to Wander", che mette in luce le peculiarità dell'ensemble di Białystok, nel proporre un rock compassato e malinconico, ricco di synth e suadenti melodie, rovinato ahimè (e qui sta il problema principale) dalla pessima voce di Michał. La lunga e strumentale title track ha un'apertura onirica che poggia su melodie astrali di stampo shoegaze/post-rock che inevitabilmente inducono ad un abbandono totale, in una song che piano piano inizia a decollare su riff più elettrici in tremolo picking che ne esaltano l'aura melanconica. Si torna su una song di più breve durata, "A Question", in cui a presentarsi dietro al microfono, c'è questa volta la voce di una gentil donzella (non proprio all'altezza a dire il vero) la cui psicotica performance segue la schizoide frenesia musicale di un brano che poteva uscire solo dalla mente di Bjork. I nostri provano a rifarsi con la successiva "Down the Steps", anche se alla fine risulterà troppo statica, fatto salvo per l'ultimo minuto che sembra completamente prendere le distanze dalla prima parte del pezzo. Difficile comunque calarsi all'interno delle sonorità alquanto difformi di questo disco: "Sleep" ci riprova con la voce femminile, ma la scelta di utilizzare Gosia alla voce (lei è la bassista) non è troppo azzeccata. Lo stesso dicasi per "Hours Pass" dove Gosia prova ad emulare Dolores O'Riordan, con risultati alquanto distanti dall'originale. "Equal to None" sembra voler chiamare in causa Neil Young, mentre la lunghissima "Solaris" (quasi 17 minuti) si nasconde in forse troppo prolisse melodie post rock, peraltro cantate in lingua madre, aumentando quel senso di frustrazione nell'ascoltare la musica di questi Newspaperflyhunting. Insomma, 'Wasteland' è un album con più ombre che luci, che forse potrà ingolosire i fan della band, e pochi altri amanti di sonorità prog anni '70 che sapranno andare oltre alla fastidiosa performance vocale dei due cantanti. Io francamente, non ne sono stato in grado. (Francesco Scarci)

Oddfella - S/t

#PER CHI AMA: Dark/Alternative Rock
Li avevo recensiti lo scorso anno in occasione del loro primo full length, 'AM/FM'. La one-man-band portoghese degli Oddfella, sempre guidata da João Henriques, torna ora con un secondo EP eponimo, che conferma pregi e difetti del loro debut album. In quell'occasione ne esaltavo infatti la musica darkeggiante, ma criticavo aspramente l'assenza di una cantante. Eccomi accontentato visto che quando "Born Again" entra con quella sua vagonata di groove, facciamo la conoscenza anche dei vocalizzi un po' ruffiani dell'artista lusitano (che in rari frangenti mi ricorda Mike Patton), che si collocano su quel tappeto melodico che scorre con lineare semplicità grazie ad un sound che in taluni momenti ammicca anche alle sonorità di Ganesh Rao in "Empyrean". "Swimming Angels" ha un fare più delicato ed oscuro, quasi ad evocare musicalmente i Moonspell di 'Opium', ma con una performance dietro al microfono che stempera l'oscurità in cui si potrebbe piombare all'ascolto del brano, dirottando i miei paragoni con band dal tiro più alternativo. Poco male, perchè il cd si lascia ascoltare e segna comunque una buona progressione (ma non ancora del tutto convincente) rispetto agli esordi dell'artista portoghese, che ha tempo addirittura di lanciarsi in un interludio trip hop. Gli ultimi due pezzi a disposizione per João sono "Bridges", un brano accattivante di musica rock, forse un po' troppo leggerino per i miei gusti, ma che comunque torna a citare i Paradise Lost più elettronici. "Drowning Angels" è l'ultimo episodio dell'EP: suono profondo, caldo, sinuoso, con la voce ora che assurge a ruolo di assoluta protagonista, fatto salvo poi aggiungersi un ottimo lavoro al basso e pregevoli linee di chitarra, che sembrano richiamare quegli arzigogolii tanto cari agli Amorphis. Disco riuscito ma gli spazi di miglioramento sono ancora notevoli, soprattutto se si lavorerà in futuro su una migliore calibrazione vocale. (Francesco Scarci)

(Ethereal Sound Works - 2017)
Voto: 70

https://oddfella83.bandcamp.com/album/oddfella-ep

lunedì 3 settembre 2018

Void Rot - Consumed By Oblivion

#PER CHI AMA: Death/Doom, Hooded Menace
Se pensate che a Minneapolis dopo la morte del compianto Prince la musica si fosse spenta, dopo aver ascoltato il nuovo EP dei Void Rot (conterranei del ben più famoso folletto), uscito per l'ottima etichetta bresciana Everlasting Spew Records, vi dovrete ricredere. 'Consumed By Oblivion' è il loro debut ma qui non parliamo certo di pop, tanto meno di funky, ma di fronte a questa creatura mostruosa con tentacoli che toccano il death metal, quanto il doom, con una sonorità così grave e lacera, che al primo ascolto vi sembreranno i nipoti dei mitici Cathedral di 'Forest of Equilibrium' in una variante accelerata, vi inchinerete e sarete catapultati in scenari inquietanti, bui e neri come la pece. Superba la scelta vocale e la veste sonora ribassata ed ancestrale, dall'effetto caverna oscura: aggressività e nera profondità si sommano nei tre brani che formano il dischetto dei Void Rot che propongono un sound corposo, sludge e lugubre all'inverosimile per questo quartetto dall'intrigante gusto oppressivo, batteria death in velocità e accordi lunghi accompagnati da un insano presagio cosmico, perchè alla fine i nostri cosmonauti oscuri, sanno benissimo come cavalcare il serpente della psichedelia pesante. Un album death/doom diverso per attitudine e capacità di penetrazione nei sentimenti, dotato di un sound violento, intelligente e ricercato all'inverosimile. Difficile paragonarli a qualcuno ma di sicuro sono un'ottima realtà ricca di originalità, una band da seguire sicuramente. Ottimo debutto, splendido lavoro, breve ma intenso. (Bob Stoner)

Pardans – Spit and Image

#PER CHI AMA: Post Punk/No Wave, Morphine
E come un fulmine a ciel sereno arriva quest'album ad allietare le mie giornate. Credetemi, questo disco (che uscirà per la Tambourhinoceros and Third Coming Records ad inizio ottobre) vale come oro colato in tempi moderni, poichè la band di Copenaghen dei Pardans, è un vero e proprio spasso da ascoltare, cosi irruenti, trasversali, malati ed esplosivi. Avevo già apprezzato il precedente lavoro divenendo un loro estasiato seguace e devo ammettere che con il nuovo album, mi ritrovo ad adorarli ancor di più. Atemporali e moderni allo stesso tempo, intellettuali e selvaggi alla stessa maniera, in poche parole, letteralmente fuori moda ma estremamente cool e underground. 'Spit and Image' sprigiona ribellione ovunque, propone una produzione divina, uscita dal Woodhouse Recording di Copenaghen e mixato dagli stessi Pardans in compagnia di Neil Roberto Young e masterizzato da Emil Thomsen. Questo lavoro riecheggia i deliziosi fasti della no wave di fine anni '70, l'avanguardia che rese indimenticabili band come i Contortions di James White o i Teenage Jesus and the Jerks di Lydia Lunch, ma scavando in profondità, si può trovare di più tra le note della loro musica. I Pardans osano calcare anche le orme dei Morphine, grazie al sapiente uso del sax e al violino, spingono l'acceleratore sull'aggressività dei primi Birthday Party, quando il vocalist sale in cattedra emulando un Nick Cave in erba, conservando anche una sfumatura swing e gitana alla Django Reinhardt. La vena drammatica e nevrotica che sorvola il suono della band danese esalta la potenzialità di tutti i brani; l'attitudine divisa tra post punk, jazz e rock in opposition è una vera e propria manna, l'originalità è di casa pur mantenendo legami fortissimi con i maestri del passato. Non posso dire quale sia il brano migliore, perchè tutti offrono spunti eccezionali, che a parlare sia il jazz ubriaco alla Tom Waits o l'isteria dei The Ex, magari con Tom Cora, il dark romantico, depressivo e schizofrenico dei primi Iceage, tutto risulta delizioso e contorto, dissonante drammatico e tagliente, un punk/jazz disturbante, schizoide, oserei dire esaltante. Guardate il video loro live session su youtube e vi renderete conte che la follia di questi splendidi giovani musicisti è un arte superiore non accessibile a tutti. Antieroi geniali e virtuosi, pura arte della follia! (Bob Stoner)

(Tambourhinoceros/Third Coming Records - 2018)
Voto: 90

https://pardans.bandcamp.com/album/spit-and-image

Nagaarum - Apples

#PER CHI AMA: Avantgarde Metal, Thy Catafalque, Fleurety
Nagaarum atto diciassette: tanti infatti sono gli album del mastermind ungherese in soli sette anni. Dagli esordi ambient elettronici di 'Űrerdő', passando per pulsioni sperimentali più orientate al versante black con album quali 'D.I.M.' o 'Homo Maleficus' che mi hanno fatto avvicinare a questo ecclettico musicista, fino ad arrivare a quest'ultimo 'Apples' (un concept sugli aspetti spirituali della scienza dalla mela caduta in testa a Isaac Newton a qualcosa di assai più profondo), una sorta di compendio di tutti i generi musicali concepiti da Mr. Nagaarum. E l'inizio noise della prima parte del disco ("Middle Age" che apre la sezione identificata come "Spiritual Birth") lo dimostra. Si sprofonda successivamente in territori doom sperimentali con "Isaac", ove fa la sua comparsa la voce assai convincente (in versione pulita) del factotum originario di Veszprém, coadiuvato anche dalla narrazione di Roland Szabó, in una song che ha da offrire una seconda metà maestosa, tra stacchi black e fughe sinfoniche che possono ricordare un'altra realtà ungherese, i Thy Catafalque. Suoni dronico celestiali con "Celestial Mechanism", ma con un titolo del genere, cosa pretendevate? Altri sperimentalismi sonori forse? Beh, "Prism" vi potrà sicuramente accontentare con soluzioni delirante tra bordate in stile ultimi Fleurety, linee di chitarra sghembe, suoni psichedelici, vocalizzi urticanti che si intrecciano a voci lisergiche, in un pastone sonoro di difficile catalogazione. Che goduria per le mie orecchie, visto anche un imprevedibile finale ambient. Folgorazioni estreme per "Robert", dove le chitarre si avvitano su se stesse in deflagaranti esplosioni sonore che ci conducono in territori quasi brutal death, qui il caos regna sovrano, dove il growl e il clean si sovrappongono in modo bizzarro prima di disinnescarsi a vicenda e riprogrammarsi in territori electro-post rock. Chi è in cerca di emozioni forti, qui ne troverà a bizzeffe. Giusto il tempo di riposare le membra con un altro fuori programma sintetico ("Hermit") ed entriamo nella seconda parte del disco ("Become a Savant") con la narrazione in apertura di "Nullius in Verba" e le ambientazioni lugubri e decadenti del brano che ci accompagnano fino a quando una soave voce femminile (quella di Betty V.) si prende la scena in "Edmond", una song che potrebbe evocare i Green Carnation più delicati che si miscelano con i The 3rd and the Mortal o i Tristania degli esordi, ancora i Within Temptation o i Trial of Tears, in una song che mi ha davvero conquistato, cosi come tutto il resto del disco d'altra parte, che ha ancora voglia di inglobarci nelle maglie ambientali e cibernetiche di "Revelations" (attenzione che anche qui le sorprese sono sempre dietro l'angolo) o nella tumultuosa tempesta cinematografica di "New Tone". Difficile catalogare questo disco con un genere, visto il suo essere un caleidoscopio di suoni più unici che rari. Fatto sta che 'Apples', nel suo essere lungo e complicato, affascina non poco e il prog rock di "Modern History" è lì a dimostrare che nulla è scontato al suo interno, nemmeno l'oscuro epilogo ambient di "Royal Society". Nagaarum atto diciassette: approvato alla grande! (Francesco Scarci)

(Aesthetic Death - 2018)
Voto: 80

https://ngcprod.bandcamp.com/album/apples