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lunedì 13 agosto 2018

Kayser - Kaiserhof

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Thrash/Doom, Slayer, Black Sabbath
Kayser non si riferisce al prefisso di una nota squadra di calcio tedesca, nemmeno il nome di una marca di acque minerali, bensì trattasi della creatura formata da Spice (ex-Spiritual Beggars), Mattias Svensson (The Defaced), Bob Ruben (ex-The Mushroom River Band) e Fredrik Finnander (ex-Aeon), una super band che fu scovata a suo tempo dall'attenta Scarlet Records. Questo super gruppo, traendo spunto dalle formazioni di origine, e da altre influenze che si rendono palesi fin dai primi dieci secondi del disco, rappresenta l’anello di congiunzione che mancava, tra Slayer e Spiritual Beggars. Il risultato, devo ammettere, è molto affascinante, perchè rievoca nella mente, echi ormai lontani, di 'Season in the Abyss' degli stessi Slayer, abilmente miscelati alle melodie seventies di 'Ad Astra' degli Spiritual Beggars, con richiami più o meno forti a Black Sabbath e Megadeth, abilmente reinterpretati con il sound moderno e le tecnologie oggi disponibili. 'Kaiserhof' sfoggia un’ottima produzione, affidata ai Caesar Studios (che hanno ospitato anche Soilwork e The Defaced), presenta un ottimo songwriting e buone vocals che si rifanno palesemente agli Spiritual Beggars, band nella quale Christian "Spice" Sjöstrand ha offerto i propri servigi per anni. La band svedese mostra poi tutta la sua grandissima classe attraverso le prestazioni dei singoli: alla buona prova del cantante si aggiunge l’ottima performance dei due axeman, bravi e già affiatati sia in fase ritmica che in quella solistica (da delirio gli assoli in “Like a Drunk Christ” e “Cemented Lies”); preparato come sempre Bob Ruben alla batteria, con il suo stile molto vicino al fenomenale Dave Lombardo. Insomma, se apprezzate le band sopra citate, non dovreste farvi mancare neppure il debutto 'Kaiserhof'; se poi non siete amanti dell’attitudine “hard seventies” degli Spiritual Beggars, non vi preoccupate, perchè qui troverete di che divertirvi anche con quella cattiveria tipica degli Slayer. (Francesco Scarci)

(Scarlet Records - 2005)
Voto: 75

https://www.facebook.com/Kaysertheband

Mindgrinder - Riot Detonator

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Cyber Death, primi Fear Factory, Morbid Angel
Un grido di guerra apre il secondo capitolo targato Mindgrinder, band norvegese, scoperta dalla Nocturnal Art, che già nel 2004 aveva impressionato positivamente la critica con il debut album 'Mindtech'. Il gruppo scandinavo, formatosi per mano dell’ex batterista/tastierista dei Source Of Tide, Cosmocrator, ha registrato 'Riot Detonator' agli Akkerhaugen Lydstudio (Emperor, Zyklon, Windir) nell’inverno 2004/2005. Il presente cd, contenente tra l’altro 2 videoclips, non sembra discostarsi dal lavoro di debutto, dove il cyber metal alla Fear Factory si fondeva con la veemenza dei Morbid Angel. Di quell’album, è rimasta sicuramente inalterata la violenza, che passa da registri squisitamente thrash (riscontrabili nella parte centrale del disco), ad altri che rievocano i Fear Factory di 'Soul of a New Machine' (nelle prime due tracce), ma con gli inserti dei synth sensibilmente ridotti, mentre parecchio pesanti restano i riferimenti ai Morbid Angel, soprattutto nei conclusivi due brani. Comunque, un po’ tutte le influenze death/thrash metal degli ultimi 20 anni, convogliano all’interno delle nove tracce di 'Riot Detonator'; pur essendo ben suonato, con una produzione ok, buoni assoli, e una batteria il cui uso talvolta lascia un po’ a desiderare, il motivo di risultare un super polpettone di stili e influenze alla fine stanca l’ascoltatore. Cosa volete che vi dica: a parte qualche episodio, “The Rebellion” ad esempio, dove le influenze dei Grip Inc. sono assai evidenti nell’uso delle chitarre e nell’assolo conclusivo, il resto dell’album viaggia su binari non proprio eccellenti, che meritano sì una sufficienza, ma solo per l’onestà della proposta. Per il resto roba già sentita. (Francesco Scarci)

(Nocturnal Art Productions - 2005)
Voto: 60

https://www.facebook.com/MINDGRINDERNORWAY

Construct of Lethe - Exiler

#FOR FANS OF: Black/Death
Bleak and barbaric, Construct of Lethe creates worlds of cataclysm governed by furious fates and overwhelming oblivion obfuscating its open originality with a haze that drains the color from the land and the living. In a twisted underworld where a guide wearing an azure-plumed hat gazes down the left hand path toward the sea on which subsists a writhing mass frozen in its romantic frenzy, this confinement on the edge of unreason brings the horrified humans to a hopeless realization. There is no salvation as even the Christian visage, crowned in thorns, wails in despair as he demeans himself by reaching out in deference to his new god.

Where a first listen would easily draw comparisons to the dismal crush of Immolation, Construct of Lethe thoroughly explores its confinement with rich and obsessive precision, finding splendid sorts of intrigue in every dingy corner to unearth a new truth of its island while supping from the dark waters of amnesia surrounding it. A churning of constant terror brings itself out even more horrifically when obfuscated by the bewilderment of amnesiac disorientation. This is no oasis, no life-bringing land from which to unburden the confined, but a place of squalor and screams where the fates seek to strip every semblance of sanity from their quarry as the Stygian passage opens to the paths of horror awaiting their true judgment by long ignored deities.

Throughout its bleak forty and a half minutes, moments of color rise, like the cloaked Hermes reveling in his own deified halo as he sets to the light-bringing task of diverting even the son of another god to an Olympian underworld. The confusion, betrayal, and bewilderment show themselves through the hallucinations in “Fugue State”. The liberation from dogmatic principles as holy suns abate comes in sweeping guitars clawing out of blindness and escaping the cradle of madness in blasting fits of “A Testimony of Ruin”, and the rolling reversal, an Immolation mainstay that inverts convention and sensibility in favor of a plummeting pummeling sound, makes “The Clot” hammer a heart into submission.

The Greco-Roman imagery and mixtures of Latin and Greek language in the lyrics accentuate the inescapable darkness throughout 'Exiler', one caused on Earth by the condemned Christ and his cohort now wailing among the insignificant mass, capturing a dauntingly detailed and unapproachably undulating atmosphere where confusion and captivity create a chaotic mindset manically manifesting myths and terrors. Such flights of fancy fantastically reflect the “Fugue State” across the entire album, endlessly blurring the lines between reality and imagination in order to further forge fear in its every aspect.

The opening in “Rot of Augury” is a strong misdirection, laying its melodic soloing with a bevy of blasting behind it as though calmly guiding sheep into a meat grinder. Stabs of soloing in “Soubirous” bring a moment of calm before fresh tortures are unleashed, taking the tone of the album to glimpse the sanctity of Elysium before being subjected to the “Terraces of Purgation” where puking in the background, angels abominably apostatizing, and Latin chanting create a scene as scary as it is goofy. Nilotic pinches ensure that riffing and lilting guitar moments stay fresh and challenging, brash soloing and varied riffing atop an ever-refreshing cavalcade of drumming pay homage to Morbid Angel as the closing song, “Fester in Hesychasm” shows a band with the stamina and range to expansively explore its esoteric notions. This construct is truly horrifying. (Five_Nails)

(Everlasting Spew Records - 2018)
Score: 80

https://constructoflethe.bandcamp.com/album/exiler

domenica 12 agosto 2018

Grind Inc. - Executed

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Brutal Death, Suffocation
Tolgo dal mio lettore il cd dei Gorerotted e infilo il lavoro dei Grind Inc.; con mia grande sorpresa e stupore, mi viene il dubbio che si tratti dello stesso album, in realtà confrontando la durata e il numero dei brani mi rendo conto che in effetti è 'Executed', il cd di debutto dei teutonici Grind Inc. E ora che faccio, cosa posso dire di diverso rispetto alla precedente recensione? Ok, ci provo... La band, proveniente dalla Germania, è stata fondata nel 2001, come side project di Adriano Ricci dei Night in Gales e Jochen Pelser, ma dopo un paio di demo e l’ingresso di Jan e Chris degli Hatefactor, è diventata una band a tutti gli effetti, e ha firmato un contratto con la Morbid Records che ha pubblicato il presente 'Executed'. Sedici brani per 35 minuti di musica: anche qui, ci troviamo di fronte ad un brutal death metal, privo di qualsiasi spunto innovativo e/o interessante e ispiratosi (male) ai maestri di sempre, Cannibal Corpse e Suffocation. Buona la base ritmica, complice anche una produzione che dà estrema enfasi alla potenza del quintetto tedesco. Il solo problema è, che di band che propongono questo genere, ne esistono a migliaia e, se non si lavora nel tentativo di emergere dalla massa, si rischia di rimanere intrappolati nella mediocrità generale, e divenire quindi il bersaglio preferito delle mie recensioni. Mi fermo qui, non voglio infierire, per ulteriori informazioni, leggasi la recensione dei Gorerotted, tanto per me gli album sono identici... (Francesco Scarci)

(Morbid Records - 2005)
Voto: 50

https://www.facebook.com/grindinc666

Gorerotted - A New Dawn for the Dead

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Death/Grind, Cannibal Corpse, primi Carcass
I Gorerotted sono stati una mediocre band inglese attiva tra il 1997 e il 2008. Il ridicolo nome, una funerea copertina che raffigura il viso di una ragazza in evidente stato di decomposizione, banali titoli gore, sembrano già delineare quale sia l’attitudine macabra della band. Il disco, rilasciato peraltro anche in edizione limitata con incluso un bonus DVD (con estratti live del Summer Breeze Festival, un video ed altri extra), è stato registrato agli Aexxys-Art Studios di Schwandorf (in Germania) da Markus Roedl, mixato da Stephan Fimmers (dei Necrophagist) e masterizzato da Tim Turan (Status Quo, Marilyn Manson, Emperor, Discharge) ai Turan Audio. Il genere? Beh sicuramente l’avrete già capito... truculento brutal death metal influenzato dai primi lavori di Carcass e Cannibal Corpse, mescolato a passaggi thrashy e ad altri (molto più rari, a dire la verità) in cui emerge la discreta tecnica dei sei ragazzi britannici. Per il resto, a caratterizzare questa 'Nuova alba per i morti' sono le solite chitarre grezzissime, sostenute come sempre dalla disumana prova del batterista (batteria che a volte ricorda più il suono di una pentola che di un tamburo), sfuriate grind, vocals che come sempre si altalenano tra il tipico cantato growl e timbriche più demoniache. Terzo full length per il gruppo albionico ed ennesimo lavoro, in cui alla fine, a dominare è solamente la noia. Esclusivamente per amanti dello splatter-gore. (Francesco Scarci)

(Metal Blade - 2005)
Voto: 50

https://www.facebook.com/gorerottedofficial

Davide Laugelli - Soundtrack of a Nightmare

#PER CHI AMA: Instrumental Prog, Devil Doll, Goblin
Nelle torbide elucubrazioni bassistiche di "A Night in Stonehenge", la linea melodica pare prog/ressivamente inabissarsi alla ricerca della sensazione più primordiale. La paura. L'horror-prog strumentale di Davide Laugelli vi sembrerà arrischiato ma affatto inedito: nel sogno avrete la sensazione di fluttuare dalle parti di Devil Doll (la suspense), John Carpenter (l'iperuranio sintetico da cui emergono gelidi i suoni), Goblin (la costruzione architettonica del brano). Suoni sinistramente funzionali, fatta eccezione per la batteria, troppo compressa, specie a basse frequenze (sentite il tùp della grancassa). Sensorialmente opposta la conclusiva "Climbing the Wrong Mountain", emotivamente ascensionale e indubitabilmente claudiosimonetti/ana. L'album si apre con una prosaica renderizzazione dell'Opera 49' di Brahms, la ninna nanna di tutti i carillon per bambini di questo mondo e si chiude con il bi-bip della sveglia collocata sul vostro comodino, incorniciando l'album e fornendo una (fin troppo) precisa collocazione all'interno della vostra psiche. (Alberto Calorosi)

Motorpsycho - The Tower

#PER CHI AMA: Alternative Rock
In comune con 'Black Hole/Blank Canvas' ci sono la durata pachidermica (in entrambi i casi prossima agli ottantacinque minuti) e la singolarità storica (specificamente, la volatilizzazione del batterista). Ma più di tutto una sorta di generalizzata attitudine trasversalmente secante. Là, tra i fervori anni '90 e le sofisticazioni, perdonate, fusion early '00. Qui, di nuovo i bollori anni '90 e le galoppate psych-prog affiorate negli anni '10. Generalmente si esordisce con un granitico riff-proto-metal 21st century crimsoniano, successivamente digressivo verso interludi quasi pastoral-prog (c'è il mellotron in "The Tower", il flauto in "In Every Dream Home") e prolungati tumulti psychotic-jam, vale a dire niente di troppo differente da ciò che trovaste su 'Behind the Sun' a suo tempo. La violentemente going-to-californiana "Bartok of the Universe" è invece aperta da un sconquassato riff che potrebbe riportare alla mente certe malvagità di 'Folk Flest' ("Kebabels Tårn", giusto per stare in tema di torri). Più che altrove, succede che le canzoni si decompongano in prominenti improvvisazioni ternarie modalmente psych-jazz (i 6/8 di "Intrepid Explorer") o jazz-psych (i 12/8 di "A Pacific Sonata"). Come già accadde in 'Child of the Future', si presta rinnovata attenzione alle armonizzazioni vocali, dichiaratamente CSNY/esche ("Stardust" e "The Maypole"), un lavoro senz'altro complicato, trattandosi delle armonizzazioni vocali di figuri quali Tacchinobentstrozzato e Tacchinosnahstrozzato. Il ruffianissimo singolo "A.S.F.E." fuoriesce da Barracuda con un colpo di coda per addentarvi direttamente il cervello. "Ship of Fools" sposta in avanti di qualche decibel la transenna della conoscenza umana relativamente al concetto di roboanza. Il ventiquattresimo babelicissimo album dei Motorpsycho, il primo con Tomas Järmyr, ex Zu, a manovrare i tamburi, vi parrà una supernova di energia e creatività. Avete sentito bene. Il ventiquattresimo album. Roba da non credere. (Alberto Calorosi)

(Stickman Records - 2017)
Voto: 85

http://motorpsycho.no/2017/07/the-tower/

Fotocrime - Principle Of Pain

#PER CHI AMA: Dark/Post Punk
Gli anni '80 in tutto il loro oscuro splendore rifulgono potenti in 'Principle of Pain', album d'esordio degli americani Fotocrime. I Joy Division sono uno dei riferimenti che mi salta più alla mente, dato dalle sonorità delle chitarre quasi strozzate, mai troppo aperte e che illuminano il sentiero come una moltitudine di fiaccole su un viale notturno in pieno inverno. Anche la batteria cadenzata e regolare, riporta alla mente gruppi seminali come i The Cure e i Depeche Mode, il rullante pare un colpo di revolver e le ritmiche sono coinvolgenti e fanno venir voglia di tenere il tempo con il piede. La voce di R. infine agglomera tutto e tiene insieme le canzoni con versi decadenti, timbriche scure e toni bassi in stile vagamente Trent Reznor. La sensazione generale è di equilibrio e di pace, ma non una pace angelica e splendente, più una pace che deriva dall’accettazione di sé, dall’accettazione che il male esiste e che è parte della vita, e che il male può essere bellissimo. Uno dei pezzi che mi ha più colpito è "Confusing World", una traccia in pieno stile post punk, ove la melodia è triste seppure il ritmo del pezzo sia incalzante, fino ad arrivare ad un ritornello orecchiabile in stile Killing Joke. Notevole anche "Gods in the Dark" con la collaborazione di una voce femminile assolutamente azzeccata per il genere e per la canzone, che per l’occasione sfoggia una lauta sezione di sequencer degna dei migliori Kraftwerk. Le rose, i serpenti e i pugnali si impongono nell’immaginario dell’ascoltatore, in un ambiente gotico, notturno quasi vampiresco, dove sembra di stare in un castello medioevale ad un ricco banchetto di carne al sangue, frutta e vino rosso versato in grandi coppe dorate. Gli astanti ridono sguaiatamente e s'intrattengono in orge ed ebrezza, i demoni alati danzano liberi assieme agli spettri, ad illuminare la stanza solo le fioche candele e la luce della luna filtrata delle lunghe tende di seta che pigre si muovono con il vento. Un ambiente da favola, un’atmosfera che fa venire una grande nostalgia di quello splendido periodo di musica che erano gli eighties, del chorus sulle chitarre, degli eyeliner e dei vestiti in pelle con milioni di fibbie. (Matteo Baldi)