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sabato 13 gennaio 2018

Kaunis Kuolematon - Vapaus

#PER CHI AMA: Death Doom, Insomnium, Black Sun Aeon
Dall'infinita distesa di lande finlandesi, ecco sbucare i Kaunis Kuolematon, con il loro secondo Lp, 'Vapaus', arrivato a distanza di tre dal fortunato debut, 'Kylmä Kaunis Maailma'. Ci troviamo al cospetto di un quintetto che abbraccia membri ed ex di Sinamore, Routasielu ed End of Aeon, tanto per citare qualche nome, non certo degli sprovveduti pertanto, bravi qui a proporre un bell'esempio di death doom cantato in lingua madre. E 'Vapaus' alla fine, affianca e sorpassa la performance del debutto dei nostri grazie ad una prova carismatica, tipica delle band finniche. I ragazzi di Hamina impressionano lungo i nove brani di questo lavoro, mostrando energia, passione e devozione per un sound che passa in rassegna altre grandi realtà locali, e penso ad Insomnium e Swallow the Sun, non dimenticando le lezioni passate di Amorphis e Black Sun Aeon. E allora dopo la suggestiva intro (che vede peraltro proporre le parole del poeta finlandese Eino Leino), ecco immergermi nel granitico ma assai melodico sound di "Eloton", pezzo assai compatto che vede la presenza di una gentil donzella a smussare le possenti growling vocals del bravo Olli. Il disco prosegue con la più dinamica "Hurskas", massiccia a livello ritmico, quanto assai fresca in termini melodici. Uno splendido break spagnoleggiante le conferisce poi quella marcia in più per prendere le distanze dai maestri e per coltivare una proposta tutta propria, dando largo respiro alle chitarre e a delle melodie che salgono d'intensità e aprono alla più drammatica "Yksin" e ad un'altra chitarra acustica da brividi. Proprio in questo, i cinque musicisti finnici cercano il cambio di marcia rispetto ad altre band che propongono questo genere: una voce pulita, opera di Mikko ed un lento e inesorabile giro di chitarre che richiamano gli Amorphis di 'Elegy', sebbene il rifferama sia qui decisamente più compassato. Poi ecco tuonare "Tuhottu Elämä" (song da cui è stato anche estratto un video), dove maggiore spazio viene concesso alle brillanti clean vocals di Mikko. Quello che continua a convincere è quell'alternanza tra atmosfere più pesanti e tirate a momenti più rilassati ed onirici, proprio come accade verso metà brano che preannuncia un finale da urlo, avvolto in una spirale di affascinanti melodie. Con "Ikuinen Ikävä" si ritorna a suoni più canonici per il genere, ma la traccia si conferma comunque dotata di un certo spessore e di una velata vena cibernetica, pur rimanendo ammantata di una spessa coltre nostalgica. "Ikaros" ripropone l'alternanza vocale tra i due frontman su di un tappeto ritmico costantemente in bilico tra death e doom, proposti però in chiave emozionale. Siamo ormai sul finire, ma c'è ancora tempo per la splendida "Arvet", che ammiccando ai Throes of Dawn, mette in luce ancora una volta le capacità canore del bravo Mikko. A chiudere, ci pensa la più melliflua e darkeggiante "Sanat Jotka Jäivät Sanomatta", ultimo atto di un signor album che merita assolutamente tutta la vostra attenzione. (Francesco Scarci)

(Haminian Sounds - 2017)
Voto: 80

Abhordium - Omega Prayer

#PER CHI AMA: Black/Death, Belphegor, Behemoth
La Finlandia non è solo patria di band dal suono ricercato, folk, prog o power avanguardistico, è anche il luogo d'origine di mostri sacri quali Impaled Nazarene, Horna, Behexen e Azaghal, tutta gente che sa di certo come far male. A quest'ultimo stuolo di band black/death si aggiungono anche gli Abhordium, band che arriva con questo 'Omega Prayer', al traguardo del secondo Lp, proponendo un concentrato sinistro di blackened death metal. Nove i pezzi a disposizione del quintetto di Salo per mostrare i muscoli e la malignità che contorna i pezzi qui inclusi. Si apre con la ritmica frenetica di "The Chronology of Decadence" che sembra individuare nel techno death, la sfera in cui la compagine finnica si muove. In realtà, nell'apocalittico sound perpetrato dai nostri, ci sento un che degli ultimi Immortal unito a un death tiratissimo e brutale che si confermerà anche nelle successive "Channeled be My Hate" e "Asebeia", due brani diretti, killer e brutali, che non lasciano scampo. Si continua a pestare sul pedale e il canovaccio non sembra cambiare nemmeno con "Obsidian Chamber" e "Perpetual Desertification", altri due esempi di come si possa suonare veloci, ferali e assassini, proponendo un death metal che in un qualche modo sembra comunque contaminato dalle melodie glaciali del black svedese, quello dei Setherial e dei Dissection per intenderci, o di gente come Behemoth o Belphegor. Insomma, credo che sia piuttosto semplice da inquadrare la proposta del tutto genuina dei cinque musicisti finlandesi che tuttavia hanno qualche cartuccia in canna da sparare: proprio in quest'ultima citata "Perpetual Desertification", song più compassata delle precedenti, il tiro cambia e va rallentando, colpendo il bersaglio peraltro con dei chorus quasi dal sapore liturgico/esoterico che frizzano il mio giudizio conclusivo sull'album, spingendomi ad una più approfondita analisi del disco, e riponendo per qualche minuto nel cassetto, i miei giudizi su un lavoro che fin qui era risultato troppo monocorde. E di fatti, le sorprese sono dietro l'angolo anche con la marziale "At the Highest Temple" che contribuisce a rendere ancor più interessante il cd, che troppo velocemente e ingiustamente, avevo bollato come semplicemente death metal. Spettacolare infatti la traccia, cosi atmosferica nel suo incedere spettrale e orrorifico. Si torna a mietere vittime con un approccio più death oriented, all'insegna di blast-beat belluini con "Dreary Touch of the Void" e "From the Depths I Slithered", sebbene le vocals si muovano invece in territori più devoti allo screaming del black. Peccato che le sperimentazioni si siano già perse, torneranno però nell'ultima title track che ci informa che gli Abhordium hanno tutte le carte in regola per poter offrire qualcosa di originale e che spesso soffermarsi in superficie è quanto di più sbagliato ci sia al mondo. (Francesco Scarci)

(Self - 2017)
Voto: 70

Inferno Requiem - Nüwa

#PER CHI AMA: Black Old School, Gorgoroth, Setherial
Osannati un po' ovunque, ho deciso di andare controcorrente questa volta e dire che i taiwanesi Inferno Requiem sono dei discreti mestieranti nell'ambito metal estremo e nulla di più. La band è in realtà guidata dal solo Fog, che dopo un paio di EP e un full length, torna alla carica con questo secondo lavoro intitolato 'Nüwa', un concentrato di incandescente black metal old school che attraverso i nove pezzi di questa release, si diletta nel rilasciare minimalistici riff di chitarra, sorretti da harsh vocals e una sciagurata batteria, frutto di una drum machine da incubo che irrompe schizofrenica nel contesto arcigno del disco. L'apertura affidata alla title track è devastante, con riff infernali in stile scandinavo, con Setherial e Gorgoroth in cima alle referenze del mastermind di Taiwan. Con la seconda "Ten Suns", il sound si fa più atmosferico, essendo più carica la componente tastieristica, ma non temete che anche qui non mancheranno le sfuriate ritmiche. È il turno di "Apocalypse Chaos" ove si continua a viaggiare su ritmi incalzanti, tra grida sguaiate e una batteria che diventa brano dopo brano sempre più inascoltabile. "Nefarious Moaning" si muove più su un black mid-tempo con le chitarre in tremolo picking a dare un tocco di malinconia alla proposta, ma l'effetto non è certo dei migliori. Facciamo un salto indietro nel tempo con l'inutile "The Investiture I", e suoni che potevano essere attuali forse 20 anni fa. Dicasi lo stesso per il caotico sound di "Necrobewitchment", dopo aver sorvolato sull'ambient minimal di "Mephitis Leftover". Insomma, un sound aberrante quello degli Inferno Requiem che di certo non raccolgono la palma di band più innovativa dell'anno, almeno per il sottoscritto. Serve ben altro infatti per sconfinferare il mio interesse. Per quanto mi riguarda, rimandati. (Francesco Scarci)

(Pest Productions - 2017)
Voto: 55

https://pestproductions.bandcamp.com/album/n-wa

lunedì 8 gennaio 2018

From Oceans To Autumn - Ether/Return To Earth

#PER CHI AMA: Post Metal Strumentale, Russian Circle, Isis, Explosions in the Sky
Il post metal è un genere che non può essere delimitato in maniera definita proprio perché le strutture e i suoni propri del metal sono presi e mescolati come colori su una tavolozza atti a creare un dipinto totalmente nuovo. I From Ocean to Autumn (FOTA) hanno preso alla lettera questa caratteristica e il risultato è un disco fortemente atmosferico, carico di emotività e variegato nella composizione. Si parla in realtà di un doppio cd, per un totale di dodici brani e un milione di scenari diversi. Rieccheggiano nelle tracce le influenze di band come Earth, Explosions in the Sky, Russian Circle e personalmente mi è parso di scorgere alcuni elementi del capolavoro 'Panopticon' degli ISIS. Siamo davanti ad un lavoro totalmente strumentale che però non risulta mancare di nessuna componente musicale, i brani sono sostenuti e decisi e a volte sembra addirittura di sentirla una voce, lontana e lamentosa come se arrivasse da dietro le nuvole. Il disco si chiama 'Ether/Return to Earth' ma più che un ritorno sembra proprio una partenza, il lancio di una navicella spaziale diretta verso il pianeta abitabile più vicino alla Terra. Dalla navicella si vede la galassia che è infinita e spettacolare, le stelle sono così da far perdere il senso di sé che dolcemente si prende una pausa e si siede ad ammirare la magnificenza del cosmo. L’orchestralità è forse il maggiore punto di forza del disco, ove si susseguono, negli oltre 100 minuti di musica, un turbinio di ambienti e incastri strumentali come a voler replicare tutte le combinazioni possibili del dialogo tra i vari strumenti. L’esperienza d’ascolto è qualcosa che estranea ed eleva, non c’è niente da capire ne da risolvere, le emozioni sono trasmesse in modo diretto ed immediato, tutto ciò che è richiesto all’ascoltatore è la pazienza di osservare l’evolversi della musica. È come assistere alla formazione di una stella all’interno di una nebulosa, con la materia che si addensa lentamente e gli atomi collidono su se stessi generando energia e calore. Una menzione particolare va a “Medium”, brano diviso in due parti: i primi tre minuti sono densi di suoni sospesi a mezz’aria senza ritmica che però entra incalzante nella seconda parte accompagnata dal crepitare di valvole e dall’ululato dei feedback in un climax sonico terapeutico e rilassante. La song riassume le migliori caratteristiche della musica degli FOTA apprezzabili anche per esteso negli epici brani "Quintessence/Core" e "Stratus/Vapor" che insieme superano la mezz’ora di ascolto. 'Ether/Return to Earth' nella sua grazia eterea rifulge di luce propria e può illuminare la mente vessata dal grigiore della realtà quotidiana in un lavoro completo, chiaro nella sua identità e incredibilmente ricco di atmosfere. Consigliato a tutti gli appassionati di musica sperimentale. (Matteo Baldi)

Культура Курения / Regnmoln - Split album

#PER CHI AMA: Post Punk/Black Depressive, An Autumn For Crippled Children
Dalla glaciale Siberia ecco arrivare il quartetto dei Культура Курения (da tradurre in Cultura Fumante), dalla Svezia invece, la one-man-band dei Regnmoln, per uno split album all'insegna del post black depressive, sotto l'egida della cinese Pest Productions. Due i brani a disposizione della band di Novosibirsk per dimostrare di che pasta sono fatti: "Конфискатор" si presenta come un freddo e malinconico esempio di black mid-tempo, spruzzato di reminiscenze shoegaze e di una mefistofelica aura post rock, che si riflette nella splendida voce in screaming del vocalist Andrey Stashkevich. Ne esce una traccia sghemba, che nel finale vive la sua progressione post black tra cristallini suoni disarmonici e harsh vocals. La seconda, "2015 Холодных Зим", mette in mostra ancora le capacità della band russa nel sapersi districare tra sonorità black e post-punk malinconiche che ammiccano alle prime uscite degli olandesi An Autumn For Crippled Children, tra sonorità intimiste, sfuriate black, break acustici e cambi di tempo magistrali. Ben fatto direi. Mi avvicino a questo punto alla proposta del musicista svedese e la prima cosa che si palesa nelle mie orecchie, è una registrazione a dir poco casalinga, un vero peccato in quanto rende decisamente più difficile godere appieno di un sound che, se proposto con tutti i sacri crismi, poteva regalare maggiori soddisfazioni. Mi abbandono comunque al furente depressive black dell'enigmatico mastermind scandinavo che si diletta in "Kött Och Blod" nel proporre un suono rozzo, ma comunque efficace e pregno di melodia, complici le chitarre in tremolo picking, tra sfuriate black e momenti di calma apparente che proseguono anche nella successiva "Infektioner", song angosciante e non solo per quel suo suono troppo ovattato, ma anche per un mood malinconico che ne contraddistingue i primi 90 secondi, prima che il frontman si lanci in un'arrembante cavalcata di cosmic black, che si pone esattamente a metà strada tra Dissection e Darkspace, proponendo taglienti chitarre in un contesto rarefatto. "Tomma Ord" è l'ultima traccia dall'intro acustico e dalla progressione black mid-tempo. Alla fine, lo split Культура Курения / Regnmoln non è altro che un modo interessante per farsi una cultura di due intriganti band dell'underground europeo. Ma, se solo il nostro amico svedese avesse registrato pensando ad una resa acustica migliore, il mio giudizio finale sarebbe stato nettamente diverso. (Francesco Scarci)

Lord Shades - The Uprising of Namwell

#FOR FANS OF: Symph Death/Black
Lord Shades is a French band founded in 2001. Initially, it was a one man project, managed by the current singer and bass player Alex that was the mastermind behind the band´s music, sometimes accompanied by occasional collaborators. Such situation lasted during the demo era, and as soon as the band started to release full albums, new members were added to the band´s line-up. This four-piece line-up has been rather stable during the release of their three albums. 
 
'The Uprising of Namwell' is their last one which closes the trilogy of works based on a fictional universe created by the band members. The storyline of those works covers three different worlds. Firë-Enmek, the land of mortals and a land of suffering, Namwell which is a land of bliss and harmony and Meldral-Nok, a cursed land where only chaos and fire prevail. In this last chapter the main character, Lord Shades, has turned to the dark side and though he has become an evil creature, he is still haunted by almost forgotten memories of his previous life. This is by far the darkest and most chaotic chapter of the trilogy and the concept behind the new album. Taking into account this background, it can guess that the music included in this release must be something dark and epic, but in this occasion variety plays a major role. This is not a standard extreme metal album with an interesting concept behind, mainly because Lord Shades tries to combine different styles, like black, death and symphonic metal, even with certain thrash metal influences to make this complex trilogy a reality. The mixture makes this album an interesting beast, that requires a certain amount of listenings before fully appreciating it. Each song has its peculiar touch, and this can be confusing if you don’t listen to it with an open mind. Anyway, 'The Uprising of Namwell' has a general darker tone than the usual conceptual album with an epic story behind. The last part of this trilogy shows a dark world hit by violence and cruelty, so don´t expect “happy” epic arrangements. A good example of this idea would be the track “Woe to the (Vae Solis)”, which has the aforementioned dark and even decadent atmosphere. This doesn´t mean that this album lacks of beautiful arrangements, because this track is a good example of how Lord Shades successfully introduces atmospheric touches (female vocals and symphonic arrangements), which are a clear contrast to the general tone of track. This gives an extra point of unexpectedness, which is always great. On the other hand, songs like “The Revenge of Namwell” and “Nightly Visions" have a clear stronger tone with a massive death metal influence and they are probably the heaviest tracks of this conceptual work. Regarding the arrangements, the release is very rich in details and the range is quite wide. Those arrangements are usually symphonic-esque, but at certain times they can have a clear folk/ritual tone as it happens with “The Awakening”, which sounds quite close to Middle-East traditional folk music. At the end, the best way to understand the richness and diversity included here, is to check out the long and epic closing track, “A New Dawn”. This song sums up all the Lord Shades efforts in creating an authentic sonic representation of Namwell´s dark universe. 
 
In conclusion, 'The Uprising of Namwell' is a truly ambitious album, both conceptually and musically. The album itself is quite demanding due to its length and complexity, but its worth of it if you like conceptual albums with a wide range of musical influences. Lord Shades has managed to create a worthwhile closure to their epic trilogy. (Alain González Artola)

Fabulae Dramatis - Solar Time’s Fables

#PER CHI AMA: Prog Avantgarde
Riffoni articolati, vocals curatissime, groove e tanta sperimentazione. Potremmo riassumere con queste poche parole 'Solar Time’s Fables', l’ultimo album in studio dei Fabulae Dramatis. Si comincia dall’opener (e singolo) “Agni’s Dinasty”, con la sua ritmica trascinante, la quale passa in rassegna tutte le qualità e peculiarità del sestetto belga, a partire dai bei fraseggi chitarristici. Elemento interessante il continuo interscambio fra i 4 (!) vocalist, dal growl al canto lirico delle voci femminili, che si articolano in innumerevoli intrecci. Arriviamo a percepire una notevole interpretazione vocale, soprattutto nella terza traccia “Heresy”, dove il contrasto vocale maschile-femminile (ad opera di Hamlet e Isabel Restrepo) è accentuato da vere e proprie parti recitate più che cantate. Brano particolare anche strutturalmente, presenta un insolito riff in levare che assume, nella parte centrale, quasi un carattere da ballad, a dispetto dell’introduzione. Da segnalare anche il brano “Sirius Wind”, con l’originale intervento del sax sostenuto da un groove drum-bass, a tratti orientaleggiante. Tante idee e sfumature curate emergono da tutti i pezzi del disco, dai cori e dalle percussioni etniche in “Coatlicue Serpent Skirt” all’elettronica di “Nok Terracottas” o i sitar della strumentale “Forest”. Tutto sempre condito dai pregevoli ricami vocali delle due componenti sudamericane della band, Isabel Restrepo e Isadora Cortina. “Roble Para El Corazon” è il coronamento di questa influenza latina delle due musiciste: trattasi di un vero e proprio tango, con tanto di fisarmonica e violino, rinforzato poi dalla corazza metal della band, che si destreggia bene su queste ritmiche decisamente insolite. Ciò che emerge da questa seconda fatica del “variegato” ensemble, sono sicuramente le numerose idee che riempiono le loro particolari composizioni. Metal e non solo, perché dalla solida base prog, si delineano quelle sfumature e quegli elementi peculiari che animano ogni brano, respirando anche climi “esotici”, rispetto alla fedele spiaggia metallica. Ai Fabulae Dramatis bisogna poi riconoscere il merito di notevole impegno e di grande professionalità, come si può evincere non appena prendiamo in mano il booklet: studiato, preciso e particolareggiato, proprio come il disco stesso. Ascolto consigliato a chi non disdegna un po’ di avant-garde per colazione. (Emanuele "Norum" Marchesoni)

sabato 23 dicembre 2017

La Colpa - Mea Maxima Culpa

#PER CHI AMA: Black/Doom/Drone Sperimentale
Tre anni or sono, alcune anime travagliate cercarono rifugio in un angusto e tetro sottoscala per potersi riunire in segreto ed espiare i propri peccati. Gli incontri divennero assidui, a conferma che il processo di penitenza dava i suoi frutti e fu così che La Colpa prese vita. Ogni volta il cerchio si stringeva per una preghiera senza tempo e senza dio, guidata dal desiderio di trascendere il dolore che perseguita l'anima e il debole corpo che la ospita. L'orazione prendeva forma, prima un suono, poi un altro, poche parole che diventavano sempre più potenti fino a strappare il mal di vivere per riversarlo in un otre colmo di terra ("Soil"). In principio era il metallo che batteva come la pioggia su una squallida tettoia, mentre una voce inumana alitava il suo mantra accompagnato da profonde note a scandire il tempo. Esplosione, suoni distorti e graffianti, grevi di dolore che accelerano la loro corsa verso le profondità recondite del freddo terreno che li chiama a se per il lungo riposo. All'improvviso tutto tace, la supplica viene zittita perché l'espiazione non è completa e il rifiuto innesca una furia inaudita che va scemando e si spegne. Poi è la volta della rassegnazione, quella nera dove mille lacrime roteano ad una velocità incalcolabile mentre trafiggono l'inutile gabbia di carne ed ossa del corpo umano. Le cicatrici ("Scars") sono l'unico segno postumo dello scempio perpetrato, mentre il tempo rallenta e lascia spazio a pensieri, incubi ed urla. Meritiamo il nostro nefando destino, intrappolati e senza speranza, perchè siamo morti e null'altro importa. La strada è ancora lunga, ma si intravede la fine, finalmente la morte dell'anima che cancellerà il dolore, dove i muri di suoni si stringono sempre più per soffocare e stritolare. Rimangono solo frammenti ("Fragments") di una risata beffarda che non ci appartiene, riflessa in un falso specchio che preferisco rompere per estirpare ogni singolo dente e non poter ridere. (Michele Montanari)

(Toten Schwan Records - 2017)
Voto: 75

https://lacolpa666.bandcamp.com/album/mea-maxima-culpa